“NOSTALGIA” una mostra imperdibile

Forse non tutti sanno che la parola “Nostalgia” é stata inventata da uno studente in medicina di nome Johannes Hofer che si laureò a Basilea nel1688. La sua Tesi verteva su una patologia già esistente dalla notte dei tempi, ma a cui nessuno aveva pensato di dare un nome, così l’Hofer unendo le parole d’origine greca “nostos” ( ritorno ) e “algos ” (dolore) inventò questo nuovo vocabolo “nostalgia ” che prima o poi noi tutti abbiamo sperimentato, un sentimento che può coinvolgerci in tante maniere diverse, tranne le persone, beate loro, che guardano sempre avanti e non si fermano mai a fare bilanci del proprio vissuto, rivolgendo il pensiero al passato. Alcuni miei lettori penseranno: è un sentimento che contraddistingue le persone d’una certa età, può darsi, ma non credo, per esempio mio padre morì che non avevo ancora compiuto l’età di 4 anni ed anche se così piccolo, provavo nostalgia e dolore per la sua perdita. La mostra allestita nel Palazzo Ducale di Genova dal 25 aprile al 1 Settembre ci mostra tutti i vari aspetti in cui, artisti d’ogni epoca, hanno interpretato questo sentimento con le loro opere. Pubblico il dipinto sul quale mi sono soffermato di più, un olio su tela del 1894 dipinto da Raffaello Gambogi ( Livorno 1874 -Antignano 1943 ) l’opera riproduce, con crudo realismo, un gruppo d’emigranti italiani che dal porto di Livorno s’imbarcano su un bastimento verso il Nuovo Mondo, é qui palpabile il dolore per l’abbandono e per le cose che potevano essere e non sono state.

UN PIATTO CHE DESTA CURIOSITA’

Nel mio lungo percorso di mercante d’arte antica, ho comprato e venduto moltissima maiolica “Vecchia Savona ” quando per vecchia s’intende maioliche del XVII e del XVIII secolo, periodo in cui le fornaci di Savona e di Albissola produssero maioliche tra le più belle ed apprezzate in tutta Europa; é necessario ricordare che il segreto della porcellana dal 1300 circa, cioè da quando Marco Polo portò a Venezia i primi manufatti orientali, fu noto solo nel primo decennio del 1700, prima di questa data la produzione della ceramica fu realizzata da artigiani che comunque riuscirono a produrre opere di grande bellezza e, talvolta, di grande interesse artistico. Il nome di maiolica deriva dal fatto che il maggior centro d’importazione di maioliche fu l’isola di Maiorca in Spagna, qui i manufatti ispano/moreschi con i loro decori “calligrafici “, per molto tempo furono un po’ imitati da tutti, poi ogni regione e città si specializzò nel produrre opere originali che con la loro peculiarità fecero immediatamente riconoscere il luogo di provenienza. La produzione di maioliche in Liguria fu concentrata ad Albissola ed a Savona in Vicus Figulorum ( oggi Borgo Fornaci ); si sono trovate prove che anche a Genova nella Via Giulia ( attuale via XX Settembre ) ci furono fornaci che produssero maioliche, tuttavia la grossa produzione arrivò dalla Liguria di ponente. Come detto in un altro mio articolo, i lavoratori che si dedicarono alla fabbricazione delle stoviglie vennero chiamati ” figuli” e la loro ” arte ” venne definita “sottile “, per distinguerli dai fabbricanti di mattoni “arte grossa ” che vennero chiamati “maoneri ” . Veniamo dunque a parlare di questo piatto decorato in blu su fondo “berettino” (celeste), l’opera della fine del XVII secolo marchiata stemma, si rifà ad un episodio preso dalle “Metamorfosi ” di Ovidio, che vi narro in breve: il dio Pan, nato dall’amore tra il dio Ermes (il Mercurio dei Romani ) e la ninfa Penelope non aveva , diciamo così per usare un eufemismo, un aspetto accattivante, in parole povere in lingua genovese “o mettèiva anguscia ” aveva il corpo coperto di peli, due corna sulla testa, dalla bocca gli sporgevano due zanne giallastre ed aveva le gambe come due zampe di capra, in questo stato se ne andava per i boschi ed un giorno incontrò la ninfa Siringa, bastò solo uno sguardo e lui se ne innamorò perdutamente, lei al contrario, appena lo vide si diede ad una fuga disperata, ma una povera ninfa che può fare contro un semidio ? così quando Siringa si rese conto che non sarebbe riuscita a sfuggirgli, invocò Zeus ( il dio supremo ) di salvarla e il pietoso Zeus ( a cui piaceva scherzare ) trasformò la ninfa in un canneto, Pan lì per lì ci rimase male, ma poi fece buon viso a cattiva sorte , tagliò le canne le unì insieme e se ne fece uno strumento musicale, la “siringa ” appunto. Questa novella, nel piatto rappresentato, ha un finale diverso e meno drammatico, infatti ci mostra Pan che suona una tromba e Siringa un piffero, segno che, tutto sommato, un accordo si può sempre trovare senza scomodare Zeus.

SANTA MARIA DI CASTELLO

Molti anni or sono e più precisamente nell’alto medio evo, quando l’impero romano d’occidente era crollato sotto la spinta delle orde barbariche nel 476 dopo Cristo, a Genova c’erano due cattedrali, una invernale ed una estiva. Quella per l’estate fu costruita nel punto più protetto della città, il cosiddetto “castrum” e da questo mediò il suo nome Santa Maria di Castello. Questo tempio fu la prima chiesa genovese dedicata alla Madonna, le prime notizie della chiesa risalgono al VII secolo, ma di questa prima costruzione restano poche testimonianze, perché l’edificio venne ricostruito nel secolo XI e poi nel secolo XIII. La chiesa venne posta in cima alla collina rispetto alla città vera e propria la “civitas” che si estendeva ai suoi piedi, perché più difendibile, stante che, specialmente nella buona stagione, le scorrerie degli arabi erano all’ordine del giorno, a quel tempo non avevano bisogno di scafisti, di O.N.G. ne di Medici senza Frontiere …arrivavano con le loro veloci feluche mettendo a ferro e fuoco le città, depredando e riducendo allo stato di schiavitù la popolazione inerme. All’esterno questo tempio non entusiasma più di tanto, dato che il restauro ottocentesco della facciata, a mio avviso, non le rende merito, ma all’interno é un vero e proprio scrigno di tesori e di sorprese quali ad esempio il crocifisso sagomato a ipsilon, che per tradizione si dice sia stato portato dalla Terra Santa al tempo delle crociate. Questo crocifisso fu così venerato che venne anche affrescato sulle pareti del convento adiacente alla chiesa rivolte verso il mare, cosicché ogni marinaio genovese in partenza ne percepiva la benedizione.