LA MORTE PUO’ESSER VISTA COME UNO SPOSO?

Costruito alla metà del XIX° secolo su progetto di Carlo Barabino e di Giovanni Battista Resasco, il cimitero monumentale di Staglieno è da tutti considerato come uno dei più interessanti ed importanti camposanti del mondo per la quantità delle tombe monumentali che si susseguono in doppia fila nei suoi lunghi corridoi. tra queste ce n’è una realizzata dallo scultore Giovanni Battista Villa ( Genova 1832 – 1899) per il cavalier Antonio Montanaro che vi voglio raccontare per la sua originalità. Una fanciulla vestita all’antica e coronata da un serto di fiori, con un’ampolla accende la fiamma ad un candelabro avente sette bracci, curioso il fatto che il numero sette sia ricorrente nelle sacre scritture, sette sono i vizi capitali e sette le virtù, sette sono i sigilli spezzati dall’angelo nell’Apocalisse di San Giovanni etc. etc. ritornando alla nostra scultura a sinistra, completano l’iconografia, un’anfora dell’olio, un ramo di palma e tralci d’ulivo che adagiati sul pavimento trasmettono messaggi allegorici di gloria e di pace. Questa scena è stata ispirata all’artista dalla parabola delle vergini sagge ( Vangelo di Matteo 25, 1-13 ) che a differenza delle stolte andarono incontro allo sposo nella notte portandosi dietro, oltre che le lampade, anche i vasi d’olio per alimentare le fiamme, restando in vigile attesa d’un appuntamento del quale non conoscevano né il giorno né l’ora, così come avviene per la fine della nostra vita. Singolare è l’identificazione dello sposo con la morte, intesa non come la fine di tutto ma come rinascita in Cristo, contestualmente la fiamma ci ricorda che la memoria del defunto deve essere sempre alimentata per poter superare le nebbie dell’oblio. La scena rappresentata è posta all’interno d’una imponente struttura architettonica neo-rinascimentale con al centro una grande croce che come fondale sovrasta le immagini scolpite, originariamente il bianco statuario della vergine saggia spiccava in forte contrasto con il bronzo dorato del candelabro oggi non più visibile dato l’accumulo pluricentenario di polvere grassa sopra il monumento. Questo originale soggetto realizzato dal Villa fu poi replicato dal Nostro per un’altra tomba nel camposanto di Buenos Aires. Giovanni Battista Villa, formatosi alla scuola di scultura dell’Accademia Ligustica di Belle Arti, lavorò soprattutto a Genova nel periodo del passaggio stilistico dallo stile realista ad un pre-simbolismo soffuso di mistero, così come detto dalla prof. ssa Giovanna Rotondi Terminiello.

I LAVATOI DEI SERVI

I Lavatoi dei Servi furono l’unica opera pubblica realizzata a Genova nell’evanescente periodo della Repubblica Democratica patrocinata dai francesi, originariamente furono costruiti in via dei Servi sul lato opposto del Rio Torbido, una strada di bottegai, artigiani e popolino per cui quest’opera rispose ad una precisa esigenza di servizio pubblico. Il Barabino, che ne fu l’artefice, sul progetto scrisse di suo pugno: ” …fatti nel 1797 in tempo de’ birboni…” questo per chiarire quanto dovesse essere amato di lì a pochi anni dopo questo “rivoluzionario” periodo storico. La costruzione in stile neoclassico ha un fronte a cinque fornici sormontati da un timpano triangolare sul quale si può leggere: “AL POPOLO SOVRANO, GLI EDILI, LIBERTA’, EGUAGLIANZA, L’ANNO PRIMO DELLA REPUBBLICA LIGURE DEMOCRATICA MDCCXCVII”. Molti anni dopo, negli anni 70 del secolo scorso, uno sciagurato disegno fu portato a compimento, la distruzione quasi totale della “Cheullia” uno dei più antichi e caratteristici quartieri di Genova, con essa scomparvero in una nuvola di calcinacci e macerie la via Madre di Dio, il borgo dei Lanaioli , la via dei Servi ed il passo di Gattamora dove era la casa di Nicolò Paganini. I lavatoi furono risparmiati, smontati e ricostruiti sotto via del Colle vicino a quello che rimane delle antiche mura erette dai genovesi per far fronte agli eserciti dell’imperatore Federico Barbarossa, che giurò di trucidare tutti gli abitanti di Genova stante che si rifiutarono ostinatamente di firmargli un atto di sottomissione. Da allora sono lì abbandonati e preda di vandali e dell’incuria, muto grido di protesta ai giardini sottostanti che furono pomposamente chiamati Baltimora e che i genovesi invece chiamano, in senso dispregiativo, di Plastica. Recentemente il Comune ha deciso un restyling di quest’area in modo da renderla fruibile a tutta la popolazione, é stato detto: ” Il progetto di recupero ( dei giardini Baltimora ) parte dall’obiettivo di rendere i giardini un luogo vivo ed accogliente, dove l’armonia della natura possa innescare la vita sociale, restituiamo alla città un giardino da vivere….” Speriamo che sia vero. qualche segno tangibile in tal senso si comincia a vedere.

CASTELLACCIO DI NOME E DI FATTO

A Genova, dopo il capolinea della funicolare del Righi, imboccando via Peralto, che anticamente era un percorso militare sterrato, si arriva al Forte Castellaccio, visibile solo d’inverno quando cadono le foglie dagli alberi altrimenti è praticamente invisibile circondato come é da una folta vegetazione. Il sito fa venire in mente la favola della Bella addormentata nel bosco, dove una fata malvagia, con un’incantesimo, nascose la reggia e tutti i suoi abitanti in un’intricata foresta di rovi, anche qui sembra che i genovesi abbiano fatto di tutto per dimenticare questa fortezza, che nata come difensiva fu usata anche per scopi molto diversi da quelli per la quale fu costruita. Le prime notizie riguardo ad opere militari in questo sito risalgono all’inizio del XIV secolo quando i “Guelfi ” vi edificarono un castello con un fossato del quale non é rimasto più nulla, dalle illustrazioni dell’epoca sembra avesse due torri quadrate circondate da mura; nel ‘500 e nel ‘600 venne rappresentato come un corpo massiccio e con una specie di torre nella parte centrale, sin dal XVI° secolo qui venivano eseguite le condanne a morte per impiccagione, il sito veniva raggiunto per una via che si chiamava Salita dell’ Agonia e, avvenuto il decesso del reo, la bara veniva trasportata percorrendo la Salita della Morte ( il nome delle due vie fu poi cambiato a seguito di un’accorata richiesta dei residenti ) , successivamente nel 1818, con l’annessione al regno di Piemonte e Sardegna, furono iniziati dei lavori di completa demolizione della antiche strutture e di ricostruzione che trasformarono il Castellaccio nella fortezza che ancora oggi é esistente. Il nuovo Castellaccio fu un forte autonomo avente una capiente cisterna per la conservazione dell’acqua, magazzini per i viveri e due forni che potevano sfornare 640 razioni. il suo scopo non era puramente difensivo ma anche quello di sedare con le sue artiglierie le eventuali sommosse popolari né….. perché ” boja Faùss” questi genovesi riottosi ad accettare le decisioni di quelli che contano, così ” balenghi e ciaparat” che appena gli si fa uno sgarbo cominciano a tirare pietre e tutto quello che gli capita sotto mano in testa a chi comanda, è meglio tenerli sempre con la coda tra le gambe ( persino ai Grifoni che reggono lo stemma della città fu imposto di rappresentarli da allora in avanti con la coda tra le gambe in segno di sottomissione ). La dotazione delle artiglierie del forte comprendeva otto cannoni da 32, quattro da 16, cinque da 8 , tre obici lunghi e due corti, oltre che cinque mortai e e dodici cannoncini. Arrivati al XX* secolo il Castellaccio fu usato durante la prima guerra mondiale come campo di concentramento per i prigionieri austriaci e teatro di fucilazioni di partigiani durante la seconda, insomma un passato pregno di tragedie da dimenticare. Una curiosità, sino alla fine degli anni quaranta del secolo scorso dal Castellaccio un pezzo d’artiglieria sparava un colpo di cannone a mezzogiorno.

VILLA SERRA ..UN EDIFICIO SINGOLARE

A Genova, vicino alla centralissima Piazza Corvetto, svetta una costruzione in stile neogotico realizzata come un piccolo castello, che da tempi biblici é in restauro: il Museo e la Biblioteca dall’attore. Questa singolare costruzione che ha su uno dei suoi spigoli una torre sulla cima della quale si gode un panorama stupendo spaziando a 360° da est a ovest sull’intera città, apparteneva ai marchesi Serra da cui il toponimo. Nel XIX° secolo fu adibita a caffè alla moda e frequentata dalla Genova “Bene “, Luigi Augusto Cervetto nel suo scritto ” L’ Acquasola dai tempi lontanissimi al presente ” edito nel 1919 definisce la Villetta Serra così :” …. osservandola ad una certa distanza essa sembra una fantasia di poeta. ” Questo ritrovo era illuminato alla sera da luci disposte artisticamente e rallegrato da concerti musicali, il caffè veniva aperto in primavera e chiuso all’inizio dell’autunno, sinché nel 1888 fu venduto dai Serra al Comune di Genova per la cifra di 550.000 lire. Il Municipio fece tagliare alcuni alberi secolari per poter costruire nel giardino adiacente un teatro che alternava spettacoli diurni e serali mentre l’edificio fu adibito a sede del Genoa per 13 anni, poi del Club Alpino Italiano per 31 anni sino al 1958, dopo di ché, come detto sopra, fu adibito a museo e biblioteca dell’ attore. Speriamo in questo secolo di poterlo vedere senza impalcature e riportato alla sua originale bellezza.

L’APOTEOSI di SAN FILIPPO NERI

Girovagando per Genova, vicino a largo della Zecca, chiamato così perché sede della Zecca di Genova, trasferita lì nel 1842 da piazza Caricamento dove aveva la sua storica sede ora non più esistente, si diparte una strada dichiarata patrimonio mondiale dell’UNESCO, la Via Lomellini, una via imperdibile per il curioso viaggiatore, perché è la cartina di tornasole che presenta in modo esemplare il centro storico di Genova. Come quando a teatro si apre il sipario e comincia uno spettacolo, l’effetto di questa strada e pressappoco lo stesso, uno splendido palazzo barocco appartenuto ai marchesi Pallavicini ed altre dimore secentesche fanno da cornice a bar, focaccerie con tavoli all’aperto e negozi di alimentari, qui é la casa dove nacque Giuseppe Mazzini con il suo bell’ingresso neoclassico ora museo del Risorgimento e lo stupendo oratorio di san Filippo Neri capolavoro del periodo rococò, vicino è la chiesa filippina che con la sua facciata disadorna e grigiastra viene ignorata dai più, ma se entrerete in questo tempio terminato nel 1712 e costruito per volontà del nobile Camillo Pallavicini , resterete attoniti nell’ammirare la volta sagomata a botte decorata a fresco dal grande quadraturista Antonio Haffner (1654 – 1732 ) con l’apoteosi di San Filippo Neri dipinta dal grande pittore bolognese Marcantonio Franceschini ( 1648 – 1712 ). Tra le stupende opere d’arte qui custodite ogni tanto si nota una stella a cinque punte che é il simbolo dei padri filippini. Per costruire questa chiesa fu demolito il palazzo degli Adorno, dove visse con il marito Giuliano quella che poi salì alla gloria degli altari con il nome di Santa Caterina da Genova, in una cappella laterale a sinistra, per tradizione, si dice che lì era la camera da letto della santa. il cui corpo incorrotto giace in una teca di cristallo nella chiesa della S.S. Annunziata di Portoria.

L’Acqua santa di Genova

Nell’estremo ponente della città di Genova, tanti tanti anni or sono, in una boscareccia di castagni secolari dove era ed ancora scorre il torrente Leira , secondo una leggenda, una sera dei pastori videro una luce arcana riflettersi sulle acque e vicino a questa una statua lignea della Madonna sotto la quale sgorgava una fonte sulfurea che presto si disse avesse poteri miracolosi. Le prime notizie d’una cappella costruita in quei luoghi risalgono al 1465, intorno a questo centro di devozione sorse presto un abitato a cui fu dato il nome di Acquasanta, detto inter nos pare che anche in epoca pre – cristiana esistesse in loco un tempietto pagano dedicato alla ninfa Eja dalla quale sarebbe derivato il nome del torrente ” Leira”. La fama di questa fonte si diffuse presto in tutto il genovesato, tanto da far si che nel 1683 fu posta la prima pietra di quello che é il santuario attuale. Questo tempio terminato nel 1718 su progetto dell’architetto lombardo Carlo Muttone é uno dei santuari mariani più belli della Liguria, al suo interno vi é un altar maggiore spettacolare realizzato da Francesco Maria Schiaffino e dal suo discepolo Carlo Cacciatori nel 1730. La statua della Madonna miracolosa non é lì ma é custodita in una cappelletta tardo settecentesca poco distante, vicina ad un mulino che é adibito a “museo della carta”. La carta genovese era rinomata in tutta l’ Europa del XVIII° secolo, in quest’area si contavano più di 60 cartiere, la carta si faceva con le “strasse” e cioè con degli stracci di lino e canapa che venivano battuti da dei “pilli” ( una specie di pestelli) in vasche di pietra sino a ridurli in poltiglia che poi passata nei telai e nei feltri si trasformava in carta. Questa fiorente industria andò in crisi all’inizio del XIX° secolo con l’ avvento della macchina a vapore sino a sparire quasi del tutto.

L’antica cartiera dei “Piccardo” attiva dal XVIII° secolo ed oggi adibita a museo della carta.