Storia di Limbania santa bambina

Nell’anno del Signore 1190 l’isola di Cipro faceva parte dell’Impero Romano d’Oriente, l’anno successivo, durante la terza crociata, Riccardo I Plantageneto re d’Inghilterra, passato alla storia come “Cuor di leone” più che per il coraggio per la sua spietatezza nei confronti dei saraceni, conquistò l’isola per usarla come base operativa contro i suoi nemici, in un secondo tempo la vendette ai cavalieri templari che a loro volta la rivendettero a Guido di Lusignano che si proclamò re di Cipro, questa premessa serve per capire che nel 1190 quando nacque Limbania la sua patria era come un vulcano pronto ad eruttare. Limbania che apparteneva ad una famiglia agiata, forse per la crudezza dei tempi in cui visse, forse perché sin da giovanissima sentì la “chiamata” del Signore, desiderava consacrarsi a Dio ed entrare in un convento, ma suo padre era di diverso avviso e la promise in sposa ad un nobile cipriota, quando la bimba aveva solo 12 anni. Limbania provò a convincere il padre a desistere, ma questi sdegnosamente si rifiutò anche di parlarne di questa sua presunta vocazione, allora la bimba fuggì di casa, si recò in porto e lì conobbe un capitano genovese che aveva un vascello ancorato al molo pronto a salpare, lo supplicò in lacrime di portarla via con se e questi sulle prime le disse di si, ma approfittando d’ un momento di distrazione della bambina, fece salpare l’ancora e si diresse verso l’ imboccatura del porto filandosela, come s’usa dire , all’ inglese, quando la nave arrivò in mare aperto onde furiose la risospinsero verso il porto sino al molo dove Limbania lo stava aspettando in lacrime, così la bimba salì a bordo e dopo un viaggio periglioso finalmente la nave arrivò in prossimità di Genova, qui i venti e le correnti meteo marine trascinarono la nave verso la terribile scogliera di San Tommaso vicino all’omonimo convento benedettino, alcuni marinai terrorizzati si gettarono in mare avendo perso completamente il controllo della nave, ma non lei che in piedi a prua, immobile come una polena, attese che la nave si arenasse lì dove oggi nel porto di Genova è la Calata che porta il suo nome, scese e si diresse verso il convento, dove visse tutta la sua vita pregando e facendo penitenza. Si dice che prima di staccarsi definitivamente dal mondo, visse per alcuni anni a Voltri dove esiste una chiesetta a lei dedicata risalente al XIII secolo, proprio lì sembra dimorasse e vivesse in letizia con gli uomini e con Dio. Una curiosità, si narra che il padre furioso per la fuga della figlia pare non abbia trovato di meglio che prendere la campana della loro cappelletta e farla buttare in mare urlando : ” Vai via anche tu! Vai da Limbania ” e la leggenda racconta che la campana, non si sa come, dopo qualche tempo fu ritrovata su una spiaggia genovese.

Luigi Pastorino il parsimonioso.

Il cimitero monumentale di Staglieno, con gli splendidi monumenti sepolcrali posti lungo le pareti dei suoi imponenti porticati neoclassici, è uno dei più importanti musei della scultura otto- novecentesca del mondo. La rappresentazione del dolore umano di fronte alla fine della vita mortale, assunse in questo luogo, nel corso del XIX secolo, forme espressive diverse che ben son rappresentate in questo vero e proprio museo a cielo aperto. Uno degli artefici di questi capolavori fu lo scultore Giuseppe Navone nato a Genova nel 1855 che nel 1902 realizzò un gruppo scultoreo per celebrare la dipartita d’un medico chirurgo che di nome faceva Luigi Pastorini. Il Navone apparteneva alla scuola del cosiddetto ” Realismo Borghese ” uno stile che si configurava in una visione molto realistica del defunto spesso circondato dai suoi famigliari o da persone comunque a lui care. Per il Pastorini il Nostro ideò una complessa allegoria nella quale una donna alata rappresentante la” Medicina”, con l’aiuto d’una altra figura alata rappresentante la ” Munificenza ” volgente lo sguardo verso l’effige del defunto, porge un aiuto concreto ad una suora infermiera che sorregge tra le sue braccia un bambino malato. Bellissimo il contrasto tra la delicatezza quasi eterea delle figure alate ed il crudo realismo con cui lo scultore rappresenta la suora cappellona ed il bambino. Emblematico del personaggio trapassato é l’epitaffio che si legge su un pilastro posto sotto il monumento che recita testualmente : ” A Luigi Pastorini medico chirurgo insigne, della religione osservatissimo, che per sovvenire largamente al povero cui legò il ricco suo censo con operosità ligure accumulato, visse con parsimonia antica”. Per coloro che desiderano visitare Staglieno, é stato recentemente creato al suo ingresso un info point nel quale potrete trovare informazioni su visite guidate e sulla collocazione dei più importanti e significativi gruppi sepolcrali.

LA FINE DI GENOVA

Ci sono momenti nella nostra vita che mai vorremmo rivivere, momenti in cui facciamo un’autoanalisi di quello che é stato e di quello che avrebbe potuto essere, degli amici che non sono più, e di quelle strade che hai percorso faticosamente senza arrivare da nessuna parte, é allora, in quei momenti bui che ti fanno star male e ti senti solo, che più solo non si può, vai a Voltri dove finisce la grande Genova, scendi in spiaggia, siediti e guarda il mare, non sarà la panacea per lenire tutti i tuoi mali ma credimi ….aiuta.

Sant’Eusebio il Bosco dei Briganti

Sant’Eusebio é un quartiere di Genova il cui toponimo deriva dall’omonima parrocchia di cui si hanno notizie sin dal XIII secolo, del borgo che sorge intorno a questo tempio si comincia a parlare quando alla fine del XI secolo i monaci benedettini dell’abbazia di San Siro di Struppa si trasferirono in questo luogo fondandovi una nuova chiesa ed un ospitale destinato a dare ricovero ai pellegrini che attraversavano questa valle diretti alle città sante della cristianità. Il luogo, a quel tempo, era chiamato “Luco ” dal latino “Lucus ” che significa bosco sacro poiché il sito era circondato da boschi rigogliosi, che di sacro per la verità avevano poco e niente, nel senso che si prestavano benissimo a dare ricovero ai briganti i quali, compiute le loro ruberie, potevano indisturbati fuggire in queste foreste che davano loro garanzie di incolumità e di ricovero. Una di queste bande fu colpevole d’un efferato delitto del quale mai si seppe il movente: un sacerdote fu assassinato mentre celebrava la messa proprio nella chiesa di Sant’Eusebio che, per questo fatto di sangue, fu chiusa al culto per molto tempo. Alla fine del XIX secolo, sino alla metà del secolo scorso, Sant’ Eusebio fu chiamata “La Svizzera Genovese” per l’amenità del paesaggio e fu meta di scampagnate domenicali da parte di molte famiglie genovesi compresa la mia essendo presenti nel paese numerose trattorie ed osterie. Vivide nella mia mente le colazioni a base di fave, salame, formaggio sardo e vino bianco.