UNA MADONNA ERRANTE

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In cima alla salita Martin Piaggio, che i genovesi continuano a chiamare salita dei Cappuccini, sopra ad un pilastro marmoreo, fa bella mostra di se una statua della Madonna regina di Genova con la corona  imperiale sulla testa e lo scettro stretto nella mano destra. L’ opera, attribuita allo scultore  Tommaso Orsolino ( Genova 1587 c. – 1675 ), fu realizzata certamente dopo il 25 marzo 1637, data nella quale la Serenissima Repubblica di Genova elesse la Madonna quale sua regina e protettrice. Originariamente la statua non era lì dove oggi la possiamo ammirare, ma era posta sulla porta di Ponte Reale posta nell’omonima via, dalla quale venne rimossa nel 1840. Il Ponte Reale aveva la funzione di collegare il Palazzo Reale con la darsena e la ferrovia in modo da evitare agli augusti personaggi ed ai loro ospiti il traffico della zona portuale, fu completamente demolito nel 1964  per la costruzione della    ” Sopraelevata ” .

 

LE CATACOMBE DEI FRATI CAPPUCCINI

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Con l’ editto di Saint Claud Napoleone Bonaparte nel 1904 stabilì che le tombe dovessero esser poste fuori delle città in pubblici cimiteri e che le lapidi dovessero essere tutte uguali in modo da osservare il principio dell’ egalité propugnato dalla rivoluzione del 1789, per i morti illustri fu creata una commissione che doveva decidere se scolpire o meno  sulla tomba un epitaffio. Le norme vennero di lì a poco applicate anche al regno d’ Italia creando molto malcontento, vi ricordate del carme ” I Sepolcri ” di Ugo Foscolo ? . A Genova l’ uso d’ aver sepoltura in chiesa era molto diffuso tra le classi abbienti che imperterrite continuarono a perpetrarlo alla faccia degli editti di Napoleone, ad esempio se andate a visitare la chiesa dei Cappuccini di Genova intitolata alla S.S. Concezione, vedrete che il pavimento è letteralmente formato da lapidi, alcune poste anche a parete come quella di Nina Giustiniani che ebbe la sventura d’ innamorarsi di Camillo Benso conte di Cavour quando già era maritata col vecchio marchese, il quale venuto a conoscenza della tresca amorosa, ritenne opportuno rinchiudere la moglie nel suo palazzo di via Garibaldi, mettendo in giro la voce che era pazza, una prigione dorata dalla quale Nina si liberò gettandosi dalla finestra dell’ avito palazzo, ma tornando alla nostra chiesa, vi troveremo un falso confessionale che cela una botola chiusa a chiave, sotto di essa è posta  una scala che porta alle catacombe di questo tempio ed alla sua cripta dove per centinaia di anni furono sepolti i confratelli che facevano parte del convento, ma anche i cittadini genovesi  e non solo che continuarono a farsi seppellire in questo luogo sacro. Cosa singolare è riscontrare su diverse lapidi l’ assenza di simboli cristiani, ma scolpiti nel marmo compassi, ali spiegate, piramidi e l’ occhio onniveggente che contraddistinguono i membri delle sette massoniche.

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SINIBALDO SCORZA NOBILE PITTORE

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Sinibaldo Scorza nato a Voltaggio nel 1589, paese dell’ oltre giogo che a quel tempo apparteneva alla repubblica genovese, era di nobile famiglia legata ai Fieschi di Lavagna, si trasferì giovanissimo nella bottega genovese del Paggi, ma più che da questo maestro egli rimase affascinato dall’arte  dei fiamminghi che erano presenti a Genova in quel tempo  in particolare Jan Roos,  Snyders e dal veneto Jacopo Bassano; l’ ammirazione per questi maestri lo indirizzarono verso una pittura naturalistica di paesaggio e di animali, scelta non facile allora, perché i pittori di genere erano considerati minori rispetto a quelli di         ” Storia “. Viaggiò a Torino dove il duca di Savoia lo nominò pittore di corte, scoppiata la guerra tra i Savoia e Genova, fu accusato di alto tradimento e si rifugiò a Roma dove ebbe l’ occasione di conoscere altri pittori d’ oltralpe, che gli consentirono di approfondire i suoi studi sul naturalismo fiammingo, infine, scagionato dalle accuse,  ritornò a Genova dove si stabilì  sino alla morte che lo spense alla giovane età di soli 42 anni nel 1631. Il dipinto mostrato nella foto, appartenente al Museo dell’ Accademia Ligustica di Belle Arti, ci  mostra un pastorello il quale  suonando uno strumento a fiato guarda le sue greggi, questo ramino  sembra appartenere all’ ultimo periodo del pittore, la sua firma, presente sull’opera, venne messa in luce durante un restauro  effettuato presso l’ Accademia. Questa ed altre opere di questo artista, ingiustamente poco valutato sino a non molti anni fa, sono esposte nel Palazzo della Meridiana di Genova nella bella mostra a lui dedicata dalla mia amica Anna Orlando ” SINIBALDO SCORZA favole e natura all’alba del barocco “,

LA CONFRATERNITA DI SANTA ZITA

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Le Confraternite a Genova erano gruppi di persone riunite sotto forma di associazioni laiche con finalità spirituali e caritative. Per svolgere la sua attività ciascuna Confraternita disponeva d’ una cappella ed  aveva a capo un priore ed un ecclesiastico; fra il 1480 ed il 1582 in città esistevano già 134 Confraternite, ognuna aveva un Santo Patrono al quale era intitolata una cappella – oratorio detta ” Casaccia “. Attualmente le Confraternite che operano sotto l’ Arcidiocesi genovese sono ben 180, la tradizione delle processioni devozionali è l’ occasione per le Confraternite di sfilare per le strade indossando i caratteristici abiti che le contraddistinguono .

Nella foto l’ abito dei confratelli di Santa Zita e del S.S. Sacramento ed anime purganti, composto da una cappa bianca ( la cappa è una veste di taglio largo e semplice destinata a ricoprire tutta la persona) il colore distingueva il servizio e lo scopo sociale, in questo caso il suffragio ai confratelli defunti , il mutuo soccorso e la cura dei pellegrini e dei malati poveri. Il tabarro che era una corta mantella di velluto, raso o seta spesso ricamato con fili preziosi. Il cordone invece è  destinato a legare la veste e ricorda l’ antico uso penitenziale di percuotersi durante i giorni della passione di Cristo ed infine il cappuccio che non era indossato come copricapo ma allo scopo di non permettere di riconoscere l’ identità del confratello che svolgeva il servizio, essendo questo prestato per penitenza e non per acquisire popolarità o meriti, inoltre rendeva i confratelli tutti uguali senza distinzione sia gli aristocratici, sia i popolani.

C’ERA UNA VOLTA S.MARIA DEI SERVI

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La guerra non guarda in faccia nessuno, uccide i buoni ed i cattivi, distrugge gli arsenali e le chiese lasciando dietro di se solo polvere e rovina, sia per i perdenti di turno, sia per i vincitori, la guerra è un controsenso, eppure ancora oggi gli uomini continuano a farla, perché evidentemente la “Storia ” non è sufficiente per dimostrarne l’ inutilità.                        A Genova, tra il colle di Carignano e quello di Morcento, proprio alle spalle del grattacielo progettato dal Piacentini  in   piazza Dante, là dove scorreva il rio Torbido, c’era una volta una chiesa dedicata a Santa Maria dei Servi, detta così perché furono i padri “Serviti ” a ricostruirla in stile gotico nel 1327. In quel punto esisteva già dal XII secolo un luogo di culto dedicato a San Girolamo che venne demolito per edificare il nuovo tempio. Durante il secondo conflitto mondiale la chiesa venne completamente distrutta da un bombardamento alleato e solo nel 1972, nel moderno quartiere della Foce, fu costruita una nuova chiesa dedicata a Santa Maria dei Servi dove sono stati riposizionati i pochi reperti rimasti della antica chiesa come il frammento dell’ affresco di controfacciata mostrato nella foto sopra raffigurante la Madonna del Santo Amore attribuibile ad un pittore ligure / lombardo e databile al terzo decennio del ‘400, e l’ altare  maggiore  distrutto in mille pezzi  ma ricomposto con  grande perizia ed amore dai restauratori della Soprintendenza di Genova.

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