Da Collegio per i Gesuiti a Università

A Genova, nella prestigiosa via Balbi, tra il 1634 ed il 1636 fu realizzato su un’area venduta dai Balbi ai Gesuiti uno splendido palazzo, l’architetto che lo progettò fu Bartolomeo Bianco e per molti anni l’edificio fu adibito a collegio per i Gesuiti, solo nel 1773 la Serenissima Repubblica di Genova lo adibì ad Università degli studi. Un anonimo viaggiatore del 1818 nella sua ” Descrizione della città di Genova” così lo descrive: “….sono da ammirarsi due belle facciate, sulla gran strada…. lo stile della sua architettura lo rende uno dei più pregiati di Genova, ….Per una grande e maestosa marmorea scala, avente in testa due leoni in marmo maestrevolmente scolpiti da Domenico Parodi di Filippo (*) …intorno a cui al di sopra son 12 colonne di marmo disposte, quattro innanzi in due gruppi, e otto ai lati, ascendesi al cortile. E’ questo pur circondato da portici spaziosi aventi un bel colonnato in marmo e a ordine dorico in gruppi distribuito, cioè quattro per parte e due ai lati minori in faccia, più otto colonne ai quattro piloni agli angoli del quadrato, in tutto in numero di trentadue.” Nel secondo quarto del XVII secolo i Carmelitani chiesero ed ottennero il permesso di costruire una loro chiesa nella via Balbi proprio a ridosso dello splendido collegio dei Gesuiti , cosa che questi ultimi non gradirono ed in barba alla cosiddetta carità cristiana, fecero fuoco e fiamme per impedire ai Carmelitani di costruire la loro chiesa che, paradossalmente, fu progettata dallo stesso architetto ( Bartolomeo Bianco ) che aveva precedentemente progettato il loro collegio, dalle male parole presto passarono ai fatti, dispetti di tutti i generi, sassaiole e ferimenti, sinché la giustizia secolare giudicò inesistenti le ragioni dei Gesuiti ( i Carmelitani avrebbero tolto a loro l’aria ) e la vertenza fu risolta a favore dei monaci del Carmelo.

( *) in realtà i leoni furono scolpiti da Francesco Biggi ( Genova 1676 -1736 ) uno dei più valenti collaboratori di Filippo Parodi, di Domenico Parodi é il solo progetto.

Niobe, la regina blasfema a Palazzo Reale

Nel Palazzo Reale di Genova e più precisamente nella sala detta degli “Arazzi “, se ne può ammirare uno della manifattura di Faubourg Saint-Marcel di Parigi databile al primo decennio del XVII° secolo, realizzato in lana, seta, filo d’argento dorato, su anima di seta da Francois De la Planche e da Marc De Comans su cartoni di Toussaint Dubreil. L’arazzo rappresenta ” L’empietà di Niobe “, ora per coloro che non hanno dimestichezza con i miti greci e con le ” Metamorfosi ” di Ovidio spiego che Niobe, figlia dello sfigatissimo re Tantalo, ricordato per il suo singolare supplizio infertogli da Zeus, regina ricca e potente, partorì 7 figli e sette figlie bellissime. In occasione d’una festività dedicata a Leto alias Latona madre di Febo Apollo e di Artemide, pretese che gli onori ed i sacrifici destinati alla dea fossero piuttosto a lei dedicati, giacché lei ne aveva partorito 14 di figli, mentre la dea solo due. Ora si sa che gli dei dell’ Olimpo s’incavolavano per un nonnulla, figuriamoci per una mortale che osava paragonarsi a loro, così Lete chiamò a rapporto i suoi due figli chiedendo loro di vendicarla, immediatamente Apollo prese il suo arco d’argento e uccise i sette figli maschi di Niobe e Artemide ( la Diana dei romani ) in un secondo tempo, fece fuori le sette figlie. La povera Niobe disperata chiese perdono a Zeus il re degli dei che, pietosamente, si fa per dire, la trasformò in una roccia sul monte Sipilo in Lidia dalla quale sgorga una sorgente perenne, che non é altro che le lacrime della regina blasfema condannata a piangere per l’eternità. L’iconografia rappresentata nell’arazzo ci mostra in basso a sinistra la regina Niobe circondata da una folla festante mentre sullo sfondo è la statua di Leto a braccia aperte con nelle sue mani i simboli che contraddistinguono i suoi figli il sole e la luna.

Mazone al Santuario di N.S. del Monte

Dopo il sacco di Genova del 935 d.C., perpetrato dai saraceni che avevano messo a ferro e fuoco la città, su di un monte che domina la parte orientale di Genova, i genovesi in fuga scorsero una luce straordinaria che fu interpretata come un buon augurio. Alcuni anni dopo i genovesi vollero consacrare questo monte all’ Assunta edificandovi sulla sommità una cappella che custodiva una immagine della Vergine. Questa cappelletta nel 1183 fu demolita ed in sito fu costruita una nuova chiesa ed un monastero da parte dei monaci dell’abbazia di Santa Croce di Mortara. Nel XV° secolo il complesso religioso fu abbandonato dai Mortariensi ed andò presto in rovina, a questo punto arrivarono i Francescani che sulle macerie della chiesa primitiva ne costruirono una più ampia a tre navate ed un nuovo convento. Nei primi anni del XVII° secolo ebbe inizio la costruzione del Tempio oggi esistente terminato nel 1658 in forme barocche. Tra le tante opere d’arte custodite nel santuario si può ammirare il polittico dell’ Annunciazione e santi che recentemente é stato attribuito quale opera giovanile del pittore Giovanni Mazone ( Alessandria 1433 – Genova 1511 ), questo maestro possedeva una fiorente bottega a Genova nella contrada di San Siro e pur essendo un artista di primo piano al suo tempo, il “Rinascimento ” e più tardi il ” Manierismo ” lo fecero presto dimenticare, le sue opere furono trascurate, disperse, smembrate e talvolta irrimediabilmente perdute, solo dopo molti secoli lo storico Alizeri dichiarò che il Mazone fu un artista di primo piano nella seconda metà del 400, pittore che talvolta esercitava anche la professione di intagliatore e scultore, peraltro arte assai diffusa tra i pittori dell’epoca, per esempio per costruire le cornici ai loro dipinti, cornici talvolta monumentali e veri e propri capolavori d’intaglio, perché le cornici, a quel tempo, non erano considerate semplici raccordi spaziali ma parti integranti del dipinto stesso.

Niccolò Paganini ( Genova 1782 -1840 ) un genio homeless

Se giunti a Genova vi inoltrerete nei Giardini Baltimora, quelli che i genovesi chiamano “Giardini di Plastica ” , e da questo si capisce come siano stati da sempre considerati una “chiavica “, ad un certo punto vi troverete davanti ad un muretto infestato da erbacce sul quale é posta una malinconica targa marmorea quasi invisibile ai frettolosi passanti, su quella targa é scritto che il grande violinista Niccolò Paganini aveva casa lì in vico Gatta Mora, distrutta nel 1971 come tutto il quartiere di via Madre di Dio per far posto ai giardini ed ad un moderno complesso in ferrocemento. Ci voleva un Principe per onorare questo personaggio che diede lustro e fama alla nostra città, un violinista considerato anche oggi, all’inizio del terzo millennio, il più grande. Domenica 24 Ottobre 2021, il principe Pallavicino, presidente dell’omonima fondazione, il suo direttore artistico Vittorio Sgarbi ed il sindaco Bucci hanno inaugurato, innanzi all’ ingresso del Teatro Carlo Felice, una grande statua in bronzo dorato che lo rappresenta realizzata dallo scultore Livio Scarpella da Brescia. Lo Scarpella, prendendo spunto da un disegno di Jean Auguste Dominique Ingres che ritrae Paganini in posa statica, ha reinterpretato questa immagine dandole vita, il bronzo colpito dalla luce non è più semplice rappresentazione d’un eccelso violinista, ma, anche grazie allo studio fisiognomico e psicologico fatto dal Nostro, sembra divenire un tutt’uno con il suo strumento. Paganini suonò per l’ultima volta in questo teatro nel 1836, lo chiamarono violinista del Diavolo e lui non fece mai nulla per smentire queste dicerie ed anche in questa statua sul suo viso grifagno un qualcosa di diabolico si può scorgere ancora.

NON CANNONATE MA PICNIC PER I SOLDATI DEL RE

A Genova nel secolo XI° , a 161 metri s.l.m., sorgeva una chiesetta dedicata a Santa Tecla oggi non più esistente, in sito, già al tempo della guerra di Successione austriaca ( 1747 ), fu progettata la costruzione d’un forte dall’omonimo nome, che avrebbe dovuto difendere dall’alto i quartieri d’ Albaro e di San Martino. Nel 1800 la fortificazione di Santa Tecla, collegata con il forte Richelieu, costituì il baluardo che avrebbe dovuto difendere la città dagli attacchi di nemici provenienti da oriente, per far ciò, il forte fu munito di 6 cannoni da 24, cinque da 8 , cinque obici lunghi e ben 200 cannoncini. Fatti bellici di rilievo riguardanti questa fortezza francamente non ne ricordo se non uno veramente singolare: durante i moti genovese del 1849, dopo che il re Vittorio Emanuele II firmò l’armistizio di Vignale con L’Austria, il forte fu occupato dagli insorti, ma quando le truppe regie circondarono la fortezza ed intimarono la resa ai suoi occupanti, questi, dopo circa una mezz’ora, ammainarono la loro bandiera ed aprirono le porte, quando i soldati sabaudi penetrarono nel fortilizio, con circospezione pensando ad un’imboscata, insieme ad un silenzio assordante non trovarono nessuno… solo una mensa imbandita e null’altro. Il forte di Santa Tecla restaurato a partire dal 1982 fu chiuso in attesa che il comune di Genova decidesse la sua destinazione, intanto, nelle lungaggini burocratiche, un gruppo di vandali riuscì a penetrare nel complesso deturpando, distruggendo ed incendiando il tetto della caserma. Oggi il forte é nuovamente in fase di restauro, fortunatamente presidiato dai volontari della Protezione Civile.
Stemma marmoreo sabaudo posto sulla porta del forte di Santa Tecla ancora esistente nel 2021

UN’ALLEGORIA FASCINOSA

Nel centro storico di Genova e più precisamente nella Via Lomellini dichiarata dall’ UNESCO patrimonio mondiale dell’ Umanità, dove chi scrive abitò per tre anni, é una chiesa dedicata a San Filippo Neri, in questo tempio che con il suo oratorio é considerato quale uno dei più splendidi esempi dello stile rococò genovese, é la cappella di San Francesco di Sales, qui é collocata una statua il cui artefice fu Domenico Parodi ( Genova 1672 – 1742 ) figlio del grande Filippo allievo del Bernini, dal quale aveva ereditato la bottega e soprattutto i suoi collaboratori tra i quali Francesco Biggi. La statua in marmo bianco raffigura l’allegoria della “Purezza” che il Nostro immagina come una giovinetta coronata di fiori ed avvolta in una serica tunica recante in mano una colomba, i suoi occhi sono socchiusi, l’espressione del viso trasmette pace e serenità così come è illuminata da un dolce sorriso. La colomba fu usata dagli artisti, oltre che per raffigurare la purezza, anche quale allegoria dell’ “Innocenza”.

Il “Poverello di Assisi ” a Genova é nel quartiere dei ricchi

La chiesa di San Francesco d’ Albaro fu costruita a lato d’un antico percorso viario che dal quartiere di San Martino conduceva al mare. Già nel XIII° secolo esisteva in quest’area una chiesetta dedicata a San Michele Arcangelo non più esistente, l’attuale parrocchiale, con annesso convento, fu costruita a partire dalla prima metà del XIV° secolo e terminata nel 1476. Quando la chiesa dei Santi Nazario alias Nazaro e Celso costruita nel X° secolo sulla “Ripa Maris ” sopra una scogliera fu distrutta dalle violente mareggiate che in inverno flagellano quel tratto di costa, la chiesa di San Francesco, nel 1544, fu dedicata anche a loro. Albaro é un quartiere genovese che sino al XIV° secolo secolo era scarsamente popolato, poi tra il XVI ed il XVIII° secolo fu la grande nobiltà genovese a diventare protagonista in quest’ area costruendo palazzi di villeggiatura e grandi ville con splendidi giardini rendendo il paesaggio così idilliaco ed ameno da far scrivere nel 1630 a Anton Giulio Brignole Sale : “…imitando l’ Alba col nome ( Albaro in lingua genovese è Arbà ) viene a superarla in vaghezza”. Ora, nel terzo millennio, questo quartiere di Genova é sempre sinonimo di agiatezza e zona Chic. Singolare é che proprio qui sia sorto un tempio dedicato a San Francesco ” il poverello di Assisi “.

THEATRUM MORTUORUM

Genova, data la conformazione del suo territorio, offre pochi parchi in pianura, uno di questi é la spianata dell’ Acquasola all’inizio del Viale IV Novembre. Dalla parte opposta del viale è un elegante palazzo neoclassico che è oggi adibito a Tribunale dei minori, ma quando fu edificato tra il 1843 ed il 1846 su progetto dell’ architetto Celestino Foppiani aveva una funzione ben diversa, lo chiamavano ” Regio Teatro Anatomico ” , sulla sua elegante facciata neoclassica, al piano terreno dell’edificio, vi sono sei tondi con i profili di personaggi che furono famosi anatomisti quali Andrea Vesalio ed il Morgagni, questo dovrebbe chiarire a cosa era destinato questo palazzo, in pratica vi si portarono i cadaveri provenienti dall’ospedale di Pammatone che qui venivano lavati ed ai quali si faceva l’autopsia. Il Foppiani, artefice di questa costruzione, fu assai criticato dai suoi contemporanei perché, si disse, aveva voluto privilegiare la bellezza estetica della costruzione rispetto alla praticità per quel che doveva servire, in sostanza sacrificò gli spazi interni, che risultarono angusti, le luci erano scarse e le prese d’aria insufficienti proprio lì dove erano poste le sale d’anatomia. Meno male che successivamente ne fu cambiata la destinazione d’uso.

A Genova non si butta via niente

Gironzolando per il centro storico di Genova, se capitate in via al Ponte Calvi, ad un certo punto vi troverete a passare davanti al Palazzo Fabiani che prende il nome dal suo ultimo proprietario. Nell’ingresso di questo palazzo risalente al XVI° secolo, restaurato una trentina d’anni or sono ed oggi adibito ad uffici, in una nicchia, troverete un albero di maestra d’un vascello cinquecentesco, ma che ci fa lì un albero di nave? ebbene durante i lavori di restauro si notò la presenza dell’albero che fu reimpiegato come trave portante del solaio del grande salone del terzo piano nobile, una caratteristica tipica usata nelle costruzioni genovesi in cui é sempre presente la tendenza al riutilizzo di qualunque materiale sia lapideo che ligneo, in questo caso proveniente dal disarmo d’una nave, perché alle navi erano destinate le essenze migliori e le stagionature più accurate. Dopo aver accertato che l’albero s’era spezzato e quindi avrebbe dovuto esser rimosso dalla sua sede originale, il tronco é stato sostituito con una nuova trave. Esaminando il manufatto con la dovuta attenzione si é constatato che il tronco é in pitchpine, una essenza lignea tipica delle zone fredde del nord e da uno studio degli anelli di crescita della pianta, si é accertato che l’albero in origine fu scortecciato in modo da eliminare l’alburno ( parte più esterna del tronco che é meno robusta ) perché il durame ( parte più interna del tronco ) é maggiormente dura e meno attaccabile dagli insetti, si può ipotizzare che il taglio sia avvenuto intorno al 1510 . L’albero di questa nave di cui ignoriamo il nome, ha una decorazione policromatica che comprende un’invocazione con una formula che serviva per allontanare gli influssi magici maligni e lo stemma della famiglia “Castello” in una iconografia che è tipica del periodo cinque/seicentesco. Nulla si sa invece di quando, quest’albero di nave, sia stato impiegato come trave di sostegno di questo bell’edificio.