Il Monumento della Duchessa

L’Ospedale Galliera di Genova nacque dall’Opera Pia De Ferrari Brignole Sale, una diremmo oggi ” Onlus” fondata dalla duchessa Maria Brignole Sale sposa di quel Raffaele De Ferrari a cui Genova dedicò la sua piazza più grande, grata per la donazione di 20 milioni di lire – oro con i quali il comune poté costruire grandi moli foranei indispensabili per poter ampliare e ammodernare il porto della città nel 1874 . Maria aveva soltanto 17 anni quando andò in sposa al bel Raffaele rampollo rampante d’una famiglia di banchieri e finanzieri. Soltanto qualche mese dopo il matrimonio, Raffaele si trovò in un guaio non da poco, era nella sua elegante dimora sita nella piazza che più tardi avrebbe preso il suo nome e trastullandosi con una pistola, inavvertitamente, premette il grilletto ed il fato volle che un domestico si trovasse a passargli davanti proprio in quel momento e ci restasse secco. La tesi della disgrazia fu accettata dalle Autorità , la famiglia dell’ucciso ebbe un congruo risarcimento, al giovine duca fu comminata una pena di tre mesi di detenzione domiciliare da scontarsi nella sua splendida villa di Voltri e tutto fu messo a tacere, ma si sa che, in questi casi, più si cerca di nascondere i fatti e più se ne parla, così il gossip news del popolino non la finiva più di infiorare la vicenda con dicerie sempre più pesanti a proposito delle voglie trasgressive della giovine duchessina e delle corna del giovine duca, così la coppia decise di trasferirsi a Parigi dove visse per quasi tutta la vita. Dopo aver accumulato una fortuna fantasmagorica i coniugi De Ferrari ritornarono a Genova ed iniziarono a finanziare opere a favore della loro città e dei loro concittadini. Alla morte di Maria, avvenuta a Parigi nel suo palazzo in rue de Varennes nell’ inverno del 1888, il Consiglio d’amministrazione della sua Opera Pia decise di dedicarle un monumento davanti ad uno dei tre ospedali genovesi da lei fatti costruire e più precisamente a quello intitolato a Sant’ Andrea sulla spianata di Carignano che lei aveva dedicato a suo figlio Andrea morto all’età di soli 16 anni, nosocomio che più tardi fu chiamato Galliera. Per quest’opera fu incaricato Giulio Monteverde, uno dei più insigni scultori genovesi dell’epoca, che propose due progetti per celebrare la magnificenza di questa nobil donna, il Consiglio decise di accettare quello più costoso ( alla faccia di quelli che dicono:” i genovesi hanno il braccino corto” ) del costo di ben 250.000 lire dell’epoca. Il gruppo statuario in bronzo si compone d’un basamento a colonna in granito all’apice del quale é un seggio sul quale é assisa la duchessa vestita elegantemente con al collo una collana di 12 giri di perle, il suo viso è sereno, distaccato, quasi serafico, ai suoi piedi un’umanità dolente é rappresentata da una madre stremata che con tutte le sue forze tiene il suo bambino e scostato da lei un derelitto zoppo si appoggia nascondendo il viso , tra i due un angelo ad ali spiegate , forse allegoria della carità, guarda la duchessa e con un braccio proteso verso l’alto sembra implorare un suo salvifico intervento. Il ” Galliera” ancor oggi, all’inizio del terzo millennio, è uno dei due ospedali più grandi di Genova, lì dove fu edificato anticamente esistette un grande monastero di monache clarisse cappuccine, oggi della loro memoria restano soltanto le mura sottostanti a loro dedicate.

L’ULTIMO VECCHIO PONTE

Nella valle del torrente Bisagno, l’ex circoscrizione di Molassana, il cui nome deriva da ” Mollicciana “( vulgata per terra mollis), chiamata così per indicare una località contraddistinta da un terreno umido e paludoso ma fertile, é formata da tre unità urbanistiche: Molassana, Sant’ Eusebio e Montesignano, quest’ultima località, che si trova sul lato sinistro della val Bisagno, é citata per la prima volta in un documento del 1061 come Monte Asenino e successivamente nel 1142 come Monteasciano, non é ad oggi conosciuta l’origine di questi antichi toponimi dai quali deriva il nome attuale. Nel XVIII secolo Montesignano fu coinvolta nella guerra di secessione austriaca (1746-1747) e successivamente nel 1800, durante l’assedio di Genova, volontari della Val Bisagno si unirono al generale francese Massenà nella difesa della collina di Montesignano e del ponte Carrega che in zona era l’unico importante collegamento tra le due sponde del torrente. Il Ponte Carrega originariamente fu chiamato Ponte delle Carrare in quanto con le sue 16 arcate consentì il transito di carri da una sponda all’altra del Bisagno, il nome si mutò in Carrega più tardi, prima di questo ponte, esisteva un guado oltremodo pericoloso specialmente d’inverno, dato che il torrente Bisagno é soggetto a piene improvvise e devastanti. Nel 1743, su istanza degli abitanti di Montesignano, fu fatta alla Signoria di Genova la richiesta per la costruzione d’un ponte e dopo soli 45 anni (diconsi quarantacinque) l’ istanza fu accolta…..( eravamo lontanucci dal poter essere citati come “Modello Genova” per la realizzazione d’opere pubbliche di grande importanza ). Il ponte Carrega si rivelò subito importantissimo perché in zona erano numerosi i mulini ed inoltre, data la fertilità del terreno, molti erano i campi coltivati che tramite “i besagnini” ( così furono chiamati gli abitanti della val Bisagno) fornirono ortaggi alla città di Genova trasportati su carri e carretti. Oggi il ponte, ancora esiste ed é usato come passerella pedonale, oserei dire miracolosamente esiste scampato dalle terribili inondazioni e dai bombardamenti subiti nel secolo scorso dalla città di Genova.

Quando “La Tomba” diventa rappresentazione teatrale

Nel cimitero monumentale di Staglieno vi sono molti gruppi statuari nei quali é presente una porta bronzea socchiusa, il significato é evidente, segna il passaggio dal mondo materiale a quello spirituale, per esempio nella tomba della famiglia Peirano contraddistinta dal n. 9 nel settore D una porta socchiusa avente una trabeazione sulla quale é rappresentato un bassorilievo in cui é narrato un episodio del vangelo di Giovanni e precisamente quello in cui Gesù pronuncia la frase riportata sopra: ” Chi crede in me anche se morto vivrà ( in eterno )”, colonne ioniche le fanno da stipiti, mentre un angelo dalle seriche vesti ne impedisce il passaggio, di fronte a lui una donna in atteggiamento supplice sembra pregarlo di lasciarla passare, mentre un uomo vestito all’antica ed una donna recante in una mano un serto di fiori sono posti ai lati d’una scala di tre gradini, l’uomo meditabondo guarda la donna tenendo in una mano fiori, la donna che ha di fronte, ha una mano sul cuore, quasi a voler rappresentare la sua compartecipazione al dolore per la perdita imminente. Questo gruppo statuario é opera di Carlo Rubatto ( Genova 1810- 1891 ) artista che si formò frequentando L’ Accademia delle belle Arti di Genova per poi completare i suoi studi a Firenze, pur restando sempre fedele allo stile neoclassico, in epoca matura permeò le sue opere d’una vena di romanticismo, stile che nella seconda metà del XIX secolo s’era imposto prepotentemente perché più gradito alla ricca borghesia committente.