Talvolta l’Odio cancella la Memoria

L’anno scorso, girovagando senza meta per il centro storico di Voltri, passando in via Guala diretto verso piazzetta Santa Limbania, mi sono soffermato a guardare il portale d’ un antico palazzo che ha un soprapporta marmoreo sovrastato da un cartiglio avente al centro un blasone scalpellato per spregio e sostenuto ai lati da due aquile aventi le ali mozzate. Scalpellare gli stemmi araldici delle famiglie cadute in disgrazia non fu per me una novità, nel centro storico di Genova ce ne sono molti, ma questo mi colpì in modo particolare perché qui non ci si limitò a distruggere la memoria di chi abitava in questo palazzo, ma si volle anche infierire sulle aquile che reggevano lo stemma rendendole mutile, mi accorsi allora della scritta posta sulla trabeazione sottostante la quale recita testualmente: “NON IST HIC OBLIQUO OCULO MEA COMMODA QUISQUAM LIMET: NON ODIO OBSCURO MORSUQUE VENENET Hor.” Allora i miei studi classici si perdono nella notte dei tempi, ma il significato della epigrafe latina, presumo presa da uno scritto di Orazio, mi pare si possa tradurre così: “Non c’é nessuno qui (che ) con occhio malevolo limiti il mio benessere, né (potrà) dissimulare l’odio o morsi velenosi “. Allora mi son chiesto ma di chi sarà stato questo palazzo? e chi fu il nobile caduto in disgrazia che con tanta tracotanza e fierezza si fece scrivere quanto sopra sulla porta della sua casa?” Io non lo so. Se qualcuno dei miei lettori lo sapesse lo invito a raccontarcelo.

Augusto Rivalta scultore

Al cimitero monumentale di Staglieno di Genova e più precisamente nel settore D, contraddistinta dal numero 10, c’é la tomba di Carlo Raggio realizzata dallo scultore Augusto Rivalta nel 1872. Il Rivalta nato ad Alessandria nel 1837, completati gli studi all’ Accademia Ligustica di belle Arti nel 1859, si trasferì a Firenze, dove lavorò nello studio di Dupré. Rivalta fu uno dei primi artisti che aderirono allo stile cosiddetto del “realismo borghese”. In questo monumento funebre, il realismo borghese si rivela come lo stile più adatto per esprimere questa nuova concezione della morte, con questo suo descrittivismo preciso nel definire gli abiti e lo stato psicologico emozionale dei vari personaggi che circondano il letto del trapassato. In questa iconografia, rappresentante un momento tragico della vita d’una famiglia, non ci sono angeli consolatori, ne altre figure simboliche che possono alleviare la sofferenza dei presenti e neanche la speranza di redenzione per chi non é più, ma é volutamente sottolineato solo il senso della perdita. Per sdrammatizzare un po’ il mio articolo, vi racconto una vecchia barzelletta genovese che mi é venuta in mente guardando questo monumento funebre. I parenti costernati ed addolorati circondano il capo famiglia morente il quale con un filo di voce si rivolge alla moglie dicendo: ” Cilla dove sei ? ” e la moglie prontamente gli risponde : ” sono qui Cillo vicino a te ” e lui di rimando le chiede : ” e i miei figli ? ” la moglie replica : ” sono tutti qui stai tranquillo ” e lui ribatte : ” e a me lalla ? ” risponde la moglie . ” é qui anche lei ” e lui sempre con un filo di voce le dice:” ma si può sapere chi é andato ad aprire la bottega stamattina?”