VICO DEGLI INDORATORI

L’antico “Carrubeo ” ( una volta i caruggi a Genova si chiamavano così ) fu sede delle attività artigiane degli “indoratori” legati alla corporazione degli “scutai ” . Al civico n. 2 vi nacque santa Caterina da Genova il cui corpo incorrotto riposa dentro una bacheca di cristallo nella chiesa di S.S. Annunziata di Portoria. Vico degli Indoratori é ubicato nel sestiere di Soziglia, zona del centro storico genovese dove le botteghe artigiane esercitavano le loro arti, gli “orefici ” nel Campus Fabrorum ( oggi Campetto ) e anche i “macellai” ed i “pollaioli ” avevano qui le loro botteghe. Gli alti palazzi di questa zona anticamente avevano le logge aperte, favorendo così il passaggio delle persone e facilitando i rapporti umani e commerciali, anche tra plebei e ricchi patrizi che poco distante avevano le loro avite dimore, cosa che stupì grandemente Charles Dickens, quando vide tutto ciò con i suoi occhi durante il suo soggiorno genovese. L’arte dell’ indoratore consisteva nell’applicare una sottilissima lamina d’oro su un manufatto impreziosendo non solo armature, scudi ed elmi, ma anche oggetti in legno come per esempio i candelabri ( a Genova dorati rigorosamente solo nella parte a vista ) ed oggetti chiesastici.

nella foto antiche logge medioevali in vico degli Indoratori

“QUARESIMALI” UNA DOLCE TRADIZIONE

I ” Quaresimali ” sono dei tipici dolcetti realizzati dai pasticceri genovesi nel periodo della Quaresima, la loro origine é molto antica perché a Genova, come in altre regioni italiane, nel periodo penitenziale della Quaresima in cui non si poteva mangiare carne e derivati animali, si creò una ricetta per poter consumare un dolce senza contravvenire alle regole della fede cattolica. Ad inventare questi dolcetti furono un gruppo di monache agostiniane della chiesa di san Tommaso oggi non più esistente che, forse sin dal XVI secolo, riuscirono ad inventarsi dei biscottini preparati solo con farina, zucchero, mandorle e l’acqua di fiori d’arancio. I Quaresimali, sono preparati solitamente in tre diverse forme : a forma di losanga arricchiti da marmellata di fichi o limoni. a ciambellina con foro al centro, a pallina tonda scavata al centro e riempita da zucchero colorato semplice o aromatizzato, tutti quanti spesso decorati con una glassa colorata e semi di finocchio in modo da renderli più appetibili e gustosi.

P.S. buona Pasqua a tutti i miei lettori

I “CARTELAMI” LIGURI DELLA QUARESIMA

In Liguria dal XVII secolo, durante il periodo della Quaresima, era in uso esporre nelle parrocchie i ” Cartelami” che erano delle sagome bidimensionali dipinte, alcune volte, da valenti pittori. Queste sagome potevano essere realizzate in cartone ( da cui presero il nome ), in tela, latta o in legno. Le sagome modellate con figure a grandezza naturale venivano, come detto, dipinte per mettere in scena i protagonisti della Settimana Santa ed avevano la “mission” di emozionare, suscitando nell’animo degli spettatori sentimenti di partecipazione ed intense emozioni essendo questi manufatti molto realistici. La Spiritualità barocca, al giorno d’oggi, può sembrarci eccessiva, ma é proprio tipica di quest’epoca, che seguì alla Controriforma trentina, voler meravigliare e stupire i fruitori di opere d’arte profane e sacre proponendo immagini di forte impatto emozionale, che portavano i fedeli a rivivere in questo “Teatro del Sacro” i drammi descritti nei Vangeli, anche in prima persona partecipando a processioni durante le quali ci si flagellava o i Sacri Monti, che erano delle vere e proprie ricostruzioni delle stazioni della via crucis lungo un percorso montano. Ritornando ai Cartelami quelli realizzati in legno furono tra i manufatti più resistenti tra i cosiddetti “effimeri” che , per loro natura, sono di difficile conservazione. Dopo la Santa Pasqua i Cartelami venivano riposti nelle sacrestie e negli oratori.

Nell’ immagine ” Cartelami” fotografati nella mostra “Barocco Segreto” realizzata lo scorso anno a Genova nel palazzo detto ” Della Meridiana “

LA GENOVA DI CHARLES DICKENS

Charles Dickens ( 1812 – 1870 ) fu uno degli scrittori più impegnati e prolifici, con i suoi romanzi mostrò i profondi contrasti e le ingiustizie della società vittoriana della seconda metà del XIX secolo, a Genova soggiornò nel 1844 e nel 1853, le sue prime impressioni sulla nostra città non furono del tutto positive pur restando colpito dal suo porto ” maestoso “, dai suoi palazzi ” arrampicati sulle colline ” e dai suoi ” giardini sopra giardini “, paesaggi che definì non dissimili ad una quinta teatrale. Il Nostro descrisse Genova come una visione onirica, un coacervo di suoni, colori e odori che lo proiettarono in un mondo per lui alieno, maestosi palazzi e chiese monumentali vicine a fruttivendoli, i cosiddetti ” besagnini” , che con gli acquaioli vendevano i loro prodotti per le strade ricolme d’ una folla eterogenea composta di popolani, soldati, preti, monaci e “signori ” che per non sporcarsi i piedi si facevano trasportare in portantina, piano piano Genova gli entrò nel cuore sino ad affermare: ” Genova é un posto che cresce dentro di voi giorno dopo giorno. sembra che ci sia sempre qualche cosa da scoprire . Potrete perdervi venti volte, se volete e poi ritrovare la strada tra difficoltà inaspettate, vi troverete di fronte ai più strani contrasti: cose pittoresche, brutte, meschine, magnifiche, deliziose e disgustose si parano davanti al vostro sguardo ad ogni angolo”, Dickens definì Genova come ” una città che non si finisce mai di conoscere” da villa Bagnarello nel quartiere di Albaro si trasferì con la famiglia nella splendida villa delle Peschiere in centro città, da lì si spinse nel centro storico, ammirò i palazzi di strada Nuova ( via Garibaldi) così ben descritti da Rubens, i ” caruggi ” con i loro ” palazzi molto alti e dipinti con ogni tipo di colori “. Concludendo il suo soggiorno affermò che la ” Superba “, così come la definì il Petrarca, é talmente affascinante e ricca di tesori e segreti come quasi nessun’altra città in Italia.

Nella foto il centro storico con la porta Soprana posta nella cinta di mura dette ” del Barbarossa”