“SGUARDI GENOVESI” da non perdere

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Dal 14 febbraio 2020 e sino al 28 giugno a Genova nel Palazzo detto della Meridiana è stata allestita una bella mostra curata da Anna Orlando e Agnese Marengo dedicata ai ritratti realizzati da insigni pittori genovesi che, nel periodo barocco, dipinsero membri della classi agiate dell’ epoca, per le quali il ritratto non era soltanto un modo per tramandare ai posteri i loro caratteri fisionomici, ma una questione di status symbol imprescindibile per coloro che aspiravano a raggiungere i vertici del potere. La mostra divisa in settori si divide in ” Sguardi colti ed eleganti”, ” Sguardi di bellezza”, ” Sguardi del potere”, “Sguardi oltre l’ immagine” e ” Sguardi Innocenti” . Tra questi ultimi mi ha colpito il ritratto a figura intera d’ una ragazzina in vestito rosso realizzata dal pittore Gio Bernardo Carbone ( Genova 1616 – 1683)  nel sesto decennio del XVII secolo.  Dovete sapere che nel seicento una ragazza di 12/14 anni non veniva considerata un’adolescente, ma una giovane donna pronta per il matrimonio, soprattutto nelle famiglie aristocratiche, nelle quali interessi e convenienze di varia natura surclassavano completamente le ragioni del cuore. La ragazzina effigiata, di cui non conosciamo il nome, è una di queste  mini nobildonne pronta alle nozze, ce lo rivelano una serie di indizi tra i quali i fiori che compaiono sul dipinto, quello bianco a forma di imbuto è una tuberosa che per il suo  profumo inebriante  era chiamato il fiore dal profumo proibito, la nostra fanciulla lo coglie e questo potrebbe sembrare un messaggio anche troppo audace stemperato però dalle margherite che si scorgono sul terreno che invece simboleggiano l’ innocenza, la corretta lettura del dipinto è quindi che questa ragazzina si trova in un momento di passaggio tra l’ amore puro e quello carnale.

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veduta di una sala della mostra ” Da Cambiaso a Magnasco  Sguardi Genovesi”

“Ragusea” la cappella segreta

S.Maria di Castello 4 particolare della sacrestia

Uno dei più antichi sestieri di Genova è quello di “Castello”, dove i Liguri e gli Etruschi si insediarono già in tempi remoti, sino a che  la città, alleata di Roma, fu distrutta dai cartaginesi capeggiati da Magone fratello di Annibale durante la seconda guerra punica.   Verso il nono/ decimo secolo d. C. la zona fu fortificata e dall’alto dominava l’ antico approdo naturale dove molti anni dopo sarebbe stato costruito il porto antico. L’esistenza d’una chiesa in loco d’ epoca longobarda si fa risalire tradizionalmente al 658 d.C. sotto il regno di re Ariperto, il tempio attuale, Santa Maria di Castello, eretto in stile romanico risalente al primo quarto del XII secolo veniva usato dai vescovi della città come cattedrale estiva. In questa chiesa, una delle più interessanti di Genova, si rispecchia appieno il carattere dei genovesi: povera all’esterno e ricca di capolavori al suo interno tanto da farne una chiesa museo, ma non di questo volevo parlarvi, ma di un luogo particolare  che pochi conoscono : la cappella Ragusea di cui scrissi un articolo diversi anni or sono. Dovete sapere che gli abitanti di Dubrovnik , città croata che si affaccia sul mar Adriatico ed anticamente era chiamata Ragusa, avevano a Genova fondaci e magazzini, una comunità di tutta evidenza importante se in una delle chiese più prestigiose della Serenissima Repubblica chiesero ed ottennero d’ avere una cappella a loro dedicata detta appunto” Ragusea”, ma è la sua collocazione ad esser veramente singolare, per accedervi occorre attraversare per tutta la sua lunghezza la navata centrale sino ad arrivare alla sacrestia,  un grande vano con le pareti  rivestite  da boiserie in legno di noce risalenti alla seconda metà del XVII secolo celanti sportelli ed armadi  con ante scolpite a punta di diamante destinate a contenere paramenti liturgici ed arredi sacri, ebbene uno di questi armadi in realtà è una porta segreta  dalla quale si accede alla cappella Ragusea e lì, circondata da altre opere d’arte, troviamo uno dei dipinti più significativi del pittore Ludovico Brea, “la pala dì Ognissanti”  firmata e datata 1513 commissionata all’artista da Teodorina Spinola  la quale, anticipando il giudizio di Dio, si fece ritrarre dal pittore insieme ad una miriade di santi, lei e tutti i suoi figli compresa sua figlia Tommasina, quella che s’era innamorata pazzamente del re Luigi XII di Francia, d’amor platonico naturalmente. Interessante notare che la predella in fondo alla pala in cui è dipinto un compianto di Cristo è inserito un inserto di paesaggio in cui si riconosce un tratto della costa ligure tra Genova ed il monte di Portofino.

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Sant’Andrea della Porta sic transit gloria mundi

chiostro di s.andrea della porta

A Genova al’inizio del XI secolo, accanto al valico della porta orientale detta più tardi Soprana, sorse un monastero di monache benedettine di clausura intitolato a sant’Andrea, il complesso monastico si sviluppò nel tempo sino a raggiungere il suo assetto finale alla fine del XVIII secolo, dopo di che arrivarono i francesi con Napoleone, i religiosi furono cacciati e il monastero fu adibito a carcere sinché, all’inizio del ‘900,  fu demolito per  realizzare la via Dante. Del monastero e della sua chiesa rimane solo l’antico chiostro che fu smontato  messo in un deposito ed in un secondo tempo rimontato in un’area a giardino vicina alla casa dei Colombo in vico dritto Ponticello, l’edificio attuale non è l’ originale ma una ricostruzione del XVIII secolo edificata sopra le macerie della vera casa dei Colombo che era un edificio a più piani con forse un fondaco al pianterreno, distrutta quasi interamente nel 1684 dal bombardamento dei galeoni di Luigi XIV. L’ordine inferiore del chiostro ha un impianto rettangolare mentre la parte superiore è realizzata con una serie di colonnine binate sorreggenti degli archi modanati a sesto acuto, le trentadue coppie di capitelli  costituiscono l’ aspetto più interessante e caratterizzante di questo chiostro per il fatto che ci presentano una serie di  interessanti soluzioni figurative realizzate in un periodo di tempo che va dal 1100 alla fine del XIII secolo, lo stile richiama prepotentemente quello dei ” Magister Antelami” che in quel periodo furono attivi a Genova, il termine “Antelami”  deriva da Antelamus un toponimo alto medioevale  che indica una valle situata tra il lago di Como e  quello di Lugano, ( oggi val d’ Intelvi), queste maestranze che si riunirono in Corporazione nel XII secolo, erano anche specializzate nel riutilizzo dei marmi antichi nelle nuove costruzioni.

chiostro di sant'andrea particolare

A sinistra capitello figurato con un angelo ( circa 1158 )  chiostro di S.Andrea della Porta.

FOXE DE ZENA ( Foce di Genova )

 

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…Foxe ti te a ciù bella foxe
te cumme u se cu porta tante stelle
San Pe-e a foxe in faccia a to scugge-a
e passeggiate au ma se fan vuente-a
cantemmu a to cansun foxe de Zena
semmu i to canterin che a fan senti.

( da” foce di Genova” di Piccone )

traduzione per i foresti ( forestieri)

…Foce tu sei la più bella Foce
sei come il cielo che porta tante stelle
San Pietro alla foce di fronte alla tua scogliera
le passeggiate al mare si fanno volentieri
cantiamo la tua canzone foce di Genova
siamo i tuoi canterini che la fanno sentire.

Il quartiere della Foce fu comune indipendente sino al 1878, data in cui fu inglobato nel comune di Genova. Nel 1535 il borgo era composto da una decina di case di pescatori e da una cappella dedicata a San Pietro loro protettore praticamente costruita sulla spiaggia sassosa, la chiesetta venne distrutta da una mareggiata nel 1821. Il 29 giugno, festa di San Pietro, tutte le case venivano illuminate con lampioncini colorati, mentre barche sul mare lasciavano cadere nelle onde lumini accesi, un po’ come anche oggi fanno i camogliesi per la festa della “Stella Maris”. Oggi queste tradizioni sono state dimenticate, come anche l’ antico borgo, distrutto quasi interamente dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, oggi si preferisce fare spettacoli pirotecnici che attirano molta gente, insieme alla disperazione di cani e gatti che, terrorizzati, aspettano tremanti che termini la serie dei “botti”. Ma così va il mondo di oggi, al silenzio ed alla meditazione si preferisce il rumore, che più è assordante e più piace, tranne a qualcuno come me, che in quei momenti guardando l’angelo con le sue ali spiegate posto sopra il tetto della casa contraddistinta dal n. 1 di via Casaregis vorrebbe, insieme a lui, volare via lontano.

PANISSA E PANISSETTE

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Chiamata anticamente “maniccia” la panissa genovese è, dopo la focaccia, lo street food per eccellenza, la si può trovare nelle ” Sciamadde”, antiche friggitorie in cui viene servita alternativamente a torte salate e farinata, la ricetta è semplicissima, tanto da esser considerata per lungo tempo cibo da povera gente: farina di ceci, acqua e sale. Le “Sciamadde” erano e restano locali tipici, poco più d’un forno a legna ed un bancone al di la del quale un sudatissimo “fainotto” ( che potrebbe tradursi in farinajolo, venditore di farine ) traffica con grandi testi di rame e contemporaneamente serve la clientela di passaggio, concludendo le Sciamadde possono considerarsi uno dei primi posti dove fu inventato il fast-food. Il nome sciamadda deriva dalla parola fiammata e si riferisce probabilmente alla fiamma delle fascine utilizzate per alimentare il fuoco del forno. Ma se la panissa è buona, le panissette sono una cosa che” ‘ntender non la può chi no la prova…” in pratica si tratta della panissa tagliata a listelle e fritta in un tegame in olio extra vergine d’oliva. Chi non le conosce le provi …ne assaggi una e non smetteresti più.

ZEFIRO E FLORA A PALAZZO REALE

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Nelle ” Metamorfosi ” di Ovidio si legge che in un giorno di primavera una splendida fanciulla di nome Flora passeggiava spensieratamente per i campi, Zefiro, che nella mitologia greca era la rappresentazione divina del vento che soffia da ponente, la vede e se ne innamora perdutamente, ma, invece di corteggiarla per farla innamorare a sua volta, taglia tutti i preliminari e senza tanti complimenti la rapisce e se la sposa, come dono di nozze le consentì di regnare sui fiori, per questo a Flora è legata l’immagine della floridezza e della nascita. Nel Palazzo Reale di Genova c’è una salotto detto del’Aurora dove sulla volta affrescata sono dipinte le nozze tra Zefiro e Flora, l’affresco fu realizzato dal pittore bolognese Jacopo Antonio Boni ( 1688 – 1766 ) nella prima metà del XVIII secolo, I Savoia usarono questa stanza come sala da pranzo, soprattutto in occasione d’incontri politici.

IL CUPOLONE PER LA SANTA DELLE DOMESTICHE

chiesa di santa zita

I Lucchesi, sin dal XII secolo avevano fondaci e botteghe alla foce del torrente Bisagno, avevano scelto Genova per tre ragioni, la prima perché sotto la protezione  del vessillo crociato della città potevano esercitare i loro commerci verso i porti del Mediterraneo orientale con relativa tranquillità, la seconda perché il porto di Genova era un vero e proprio crocevia di mercanti ed un posto dove chi voleva fare affari trovava terreno fertile e la terza, che essendo nemici giurati di Pisa  con la quale Lucca era perennemente in guerra ed essendo Pisa vista dai genovesi come un bruscolo nell’occhio, solo per questo fatto, i lucchesi erano considerati grandi amici di Genova.  Nella zona dove sorge la chiesa attualmente, sin dal XII secolo esisteva un piccolo tempio strutturato come un oratorio dove inizialmente si adorava “Il Volto Santo ” ed in un secondo tempo Santa Zita, una domestica lucchese salita all’onore degli altari per la sua vita tutta dedicata al  lavoro ed ad aiutare i poveri.  Zita visse a Lucca, nata nel 1218 a Monsagrati da una famiglia poverissima, fu mandata a servizio presso i nobili Fatinelli di Lucca  all’ età di 12 anni.  Nella casa di questa famiglia restò per tutta la vita, malvista e maltrattata da tutta la servitù perché le fu affidata la gestione della casa, ricambiò sempre il bene con il male. Il suo miracolo più suggestivo fu che avendo l’ abitudine di portare gli avanzi delle cene ai poveri fu denunciata per questo, fermata sull’uscio di casa le chiesero di mostrare cosa avesse nascosto nel grembiule dove solitamente portava pane e cibarie per i poveretti e queste si tramutarono miracolosamente in fiori. Antistante alla chiesa, era una piazza sempre intitolata a Santa Zita, dove esisteva un pozzo d’acqua sorgiva e diverse osterie e locande dal nome suggestivo quali: ” Il Cillo” ,”La Locanda dei Cipressi”  e  ” Al Cancello di Ferro”,  sulla piazza venivano celebrate le più importanti manifestazioni tra le quali la ” Fiera di Santa Zita”  che ancora ai nostri giorni viene fatta nel quartiere della Foce nella domenica più vicina  alla festa della santa,  è una fiera gastronomica destinata alla vendita di alimenti e di prodotti agricoli, di solito viene anche fatta una processione religiosa con i Cristi lignei organizzata dalla “Confraternita di Santa Zita” che ha sede nella chiesa omonima. Originariamente questa confraternita aveva una statua d’ argento rappresentante la santa, rubata o pardon sequestrata dai francesi durante la dominazione napoleonica ed un Cristo in legno intagliato e scolpito del Maragliano che si salvò perché sepolto sotto il pavimento della chiesa. Il tempio originale fu spazzato via da una delle innumerevoli piene del torrente Bisagno e solo alla fine del XIX secolo venne posata la prima pietra di quello che é oggi la chiesa di Santa Zita con il suo enorme cupolone dal diametro di oltre 31 metri. Al’ interno alcune pregevoli opere d’arte appartenenti alla chiesa primitiva quali ad esempio una statua di Anton Maria Maragliano che raffigura Santa Zita circondata da angioletti.

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