Senza “raieu au tocco” non c’é Natale

I Raieu (ravioli) au tocco sono il piatto principe per la festa di Natale nella tradizione genovese, a casa mia era impossibile immaginare un Natale senza i ravioli, quelli fatti a mano con il ripieno misto di carne e borragine e conditi con “il Tocco” (si pronuncia tuccu ). La ricetta é antica ed é vivamente sconsigliata per chi ama le preparazioni veloci, il nome “tocco ” deriva dal fatto che per fare il sugo si prende un pezzo di manzo intero salato quanto basta, che viene messo in un tegame di terracotta a cuocere lentamente su un trito di cipolle e carote con olio extra vergine di oliva (poco) ed un pezzo di burro (abbondante ), a cui vengono aggiunti in seconda battuta funghi porcini secchi ammorbiditi in acqua e in parte tritati, prezzemolo ed aglio tritati, vino rosso, due o tre cucchiai di conserva di pomodoro diluiti con del brodo caldo, il brodo poi si versa pian piano in modo che la carne si consumi lentamente senza mai attaccarsi al fondo del tegame e per fare ciò la carne deve essere girata e rigirata continuamente per 3/4 ore sino a che non si consuma riducendosi ad un terzo della consistenza che aveva ad inizio cottura. Come detto è un piatto un po’ impegnativo, ma il risultato é fantastico.

Filastrocca di Natale in Zeneize

….”Gloria l’artisscimo Segnò, nostro poae, nostro fattò. Gloria a-o figgio Re Divin, ch’o l’é vosciuo nasce bambin, comme mi comme voiatri tutti, con ‘na sola differenza, che malgraddo a seu potenza o l’è vosciuo nasce figgieu in to mezo a l’aze e a-o beu; un po de paggia en a seu chinn-a e pe faghe a seu cascinn-a c’o se poese ariparà da-o gran freido de zenà. Dunque ammiaelo, ammiaelo assae. Bambin cao, Bambin celeste Caldamente queste feste mi ve prego a benedì quante semmo chi a sentì. Benedime mae papà, benedime mae mamà, fae che questa compagnia segge tutta benedia e con feste e gioie e riso s’adormiaemo in Paradiso.

traduzione per i foresti ( non genovesi )

Gloria all’ Altissimo Signore, nostro padre , nostro fattore, Gloria al Figlio Re Divino che ha voluto nascere bambino, come me, come voi tutti, con una sola differenza, che malgrado la sua potenza é voluto nascere bambino in mezzo ad un asino ed a un bue; un po’ di paglia nella sua culla e per fargli la sua cascina per potersi riparare dal gran freddo di gennaio. Dunque guardatelo guardatelo bene, Bambino caro, Bambino celeste caldamente queste feste io vi prego di benedire quanti siamo qui a sentire. Beneditemi mio papà, beneditemi mia mamma, fate che questa compagnia sia tutta benedetta con feste, gioie e riso ci addormenteremo in Paradiso.

Da un canto della Valbisagno d’un anonimo

nella foto le luminarie poste al monumento di Vittorio Emanuele II in Piazza Corvetto. E … BUON NATALE A TUTTI! da Mauro Silvio

IL COMO’ LUIGI XVI A GENOVA

Sul finire del secolo XVIII a Genova, con l’imporsi dello stile neoclassico portato in auge da artisti come Antonio Canova e Thorvadsen, si assiste ad un graduale cambiamento nella costruzione dei mobili da parte dei bancalari ( falegnami ) genovesi, che, come in altre regioni italiane, cominciarono a costruire i loro manufatti ispirandosi in parte ai ritrovamenti effettuati durante gli scavi di Ercolano e di Pompei . Il periodo del primo neoclassicismo chiamato Luigi XVI è posizionato tra il 1774 ed il 1790, tuttavia esiste un periodo cosiddetto di transizione che allungò di qualche anno questo spazio temporale, questi mobili sono distinguibili dagli altri perché conservano alcune caratteristiche del rococò, modificate però secondo i nuovi dettami della moda che, anche in questo caso, ha Parigi e la Francia come riferimento. In questo mio post andiamo a descrivere un comò genovese perché, anche in questo caso, dal comò derivarono tutta una serie di mobili e mobilini che a lui faranno riferimento. Il comò illustrato nella foto é uno splendido mobile genovese, anche se il ricco repertorio decorativo utilizzato per gli intarsi riprende alcuni elementi presenti in analoghi mobili intarsiati nell’area milanese. Il fronte del comò è dritto a due cassetti e da un tiretto soprastante sostenuto da una catena , i montanti sporgenti dal corpo del mobile sono sagomati a parallelepipedo e desinenti verso il basso con sostegni sagomati a piramide rovesciata terminante con bicchierini in bronzo ingentiliti da un motivo fitomorfo sulla loro sommità, il piano in marmo verde delle alpi è leggermente sporgente e segue l’andamento del mobile. Il comò realizzato in legno povero, é lastronato al centro in bois de violette sagomato a lisca di pesce, filettato in bosso con motivi lanceolati ed incorniciato da una fascia in acero tinto in verde con intarsi che ricordano grifoni contrapposti probabilmente desunti da motivi delle “grottesche”, il tutto impreziosito da maniglie e bocchette in bronzo cesellato e dorato a fuoco. Non sappiamo chi fu l’artefice di questo splendido comò, contrariamente a quanto avvenne in Francia, dove i mobili, obbligatoriamente, dovettero avere i marchi del mastro costruttore, a Genova l’obbligo si fermò all’iscrizione alla Corporazione dei “Bancalari”, quindi diciamo che é estremamente raro trovare una firma su un mobile genovese , io, in tanti anni di lavoro, l’ho trovata solo due volte.

LA CHIESA DELLA MIA INFANZIA

Santa Margherita di Marassi non è un tempio che richiama visitatori e turisti, posta dietro la stadio di calcio e collocata su una piazza sopraelevata a metà di via Bertuccioni, la parrocchiale si distingue per le sue forme armoniose ed eleganti. Le prime notizie d’un edificio religioso collocato in loco risalgono addirittura al X secolo ma i primi scritti che ne attestano storicamente l’esistenza sono del 1027, si sa che fu scelta quella posizione sopraelevata per salvaguardarla dalle piene del torrente Bisagno, che, anche a quel tempo, provocavano gravi danni alle case limitrofe al corso d’acqua ed alle popolazioni della valle. Dopo esser passata al clero secolare, poi ai Francescani, poi nuovamente al clero secolare ed ai Carmelitani, fu infine affidata ai P.P. Minimi di san Francesco da Paola. Durante la seconda guerra mondiale, nel 15 Novembre del 1942, subì gravi danni da parte d’un bombardamento della R.A.F. le cui bombe sfondarono il tetto e provocarono incendi che, fortunatamente, non distrussero, se non in parte, le opere d’arte contenute nella chiesa tra cui dipinti di pittori genovesi quali Bernardo Castello e di Gio Battista Carlone. I miei primi ricordi di questo tempio sono le candele, si centinaia e centinaia di candele che rischiararono a giorno la chiesa, accese per grazia ricevuta dai famigliari dei reduci ritornati dalla guerra e dai campi di prigionia, o da quelli, come mia nonna, che pregarono per il ritorno dei loro figli dispersi sui campi di battaglia nelle steppe russe. All’età di 10 anni la mia famiglia si trasferì in un altro quartiere e lì non tornai più, il ricordo più grosso che mi é rimasto della chiesa è l’affresco risalente alla metà del XIX secolo che decora il catino dell’abside rappresentante l’ultima cena di Gesù, quando ero bambino mi chiesi chi fosse la ragazza alla destra del Nostro Signore, per questa domanda ricevetti un sonoro scappellotto sulla zucca da Padre Pietro, il quale mi spiegò che non si trattava d’una donna ma di san Giovanni.

STORIA D’UNA MADONNA DIMENTICATA

Molti dei palazzi nobiliari genovesi iscritti nei “Rolli” (*) ebbero , diciamo così, una vita travagliata, alcuni vennero pesantemente danneggiati dai bombardamenti nella seconda guerra mondiale, ma già nel 1684 la flotta da guerra del re di Francia Luigi XIV, detto re Sole, con i loro mortai, avevano causato gravi danni alla nostra città, poi nel periodo di decadenza, l’incuria, l’abbandono, i danni dati dal tempo e dagli agenti atmosferici fecero il resto, tuttavia i più prestigiosi sono ancora lì a ricordarci che la nostra bella città tra il XVII ed il XVIII secolo ebbe palazzi così splendidi da incantare un artista del calibro di Rubens che delle dimore genovesi scrisse un libro decantandone la bellezza e la maestosità. Uno di questi è il palazzo De Mari a Campetto, dopo molti passaggi di proprietà, come già scrissi in un mio post precedente, fu acquistato da una società che lo adibì in parte a scopi commerciali e così in primis la UPIM trovò casa lì al pian terreno ed al primo piano, dopo le subentrò un altro grande magazzino l’ OVS. Prima di fare il nuovo allestimento, i dirigenti dell’OVS decisero di restaurare gli interni rinfrescando i muri ed i soffitti degli spazi adibiti alla vendita, fu in questo periodo che accadde un fatto singolare, un muratore che martellava un intonaco ammalorato da una chiazza d’umidità, si accorse che il muro dava un suono sordo come se li fosse una cavità, allora chiamato il capo cantiere, si decise di creare una piccola apertura per vedere cosa ci fosse dietro e fatta questa operazione restarono stupefatti, la parete nascondeva uno splendido “pregadio ” (**) cioè un altarolo in marmo fior di pesco con sopra una Madonna della Misericordia con il beato Botta in marmo bianco di Carrara, tutto ciò inserito in un nicchione decorato a stucco con le tipiche modanature e volute dello stile barocchetto genovese, opera databile alla prima metà del XVIII secolo. Oggi il visitatore attento lo può ammirare protetto da una lastra di cristallo., un piccolo capolavoro da molti anni dimenticato e riportato casualmente alla luce.

(*) i ” Rolli ” erano degli elenchi in cui venivano iscritti i palazzi nobiliari più prestigiosi , tra questi, i padri del Comune estraevano a sorte quali dovessero ospitare personaggi di alto rango che arrivavano a Genova in nome e per conto della Serenissima Repubblica.

(**) I “Pregadio ” erano posti nei palazzi nobiliari per poter assistere alla celebrazione della messa in casa , senza necessariamente recarsi in chiesa nei periodi di cattivo tempo o quando non si desiderava incontrare nessuno.