IL GESU’ DEGLI ABISSI

Era un giorno uggioso, di quelli in cui il “Caligo” spegne i colori e tutto il paesaggio assume una tonalità di grigio fumo, il mio umore poi non era migliore, avevo perso l’amore, il lavoro era in una situazione di stagnazione, per usare un eufemismo, dovevo assolutamente staccare la spina almeno per qualche ora, così decisi d’andare a Camogli, presi il vaporetto per San Fruttuoso dove é la splendida abbazia risalente al XII secolo ove i corpi dei Doria riposano in eterno nelle loro arche di pietra., mi sedetti sulla spiaggia a guardare il mare che aveva il colore d’una lastra d’ardesia e già mi sentii un po’ meglio, dopo di che mi misi la maschera e le pinne , entrai in acqua e cominciai a nuotare verso il largo, ad un certo punto lo vidi, era lì sul fondo che mi guardava con le braccia aperte verso di me, essendo una giornata autunnale e infrasettimanale, non c’era in sito il solito via vai di turisti, barche e motoscafi, eravamo soli Lui ed io, presi un grosso respiro e scesi verso il fondo, Gesù sembrava guardarmi, circondato da un’aureola di castagnole, protendendo le sue braccia verso di me quasi a volermi abbracciare, è difficile descrivere l’emozione che provai, è stato bello arrivare alla sua mano e stringerla tra le mie, poi risalii in superficie pinneggiando lentamente. Quando riaffiorai tutti gli affanni e le preoccupazioni che mi affliggevano da giorni non c’erano più, anche il “caligo ” s’era diradato e dalle nuvole un raggio di sole fece capolino ridando i colori a quella splendida spiaggia ed anche alla mia vita.

P.S. La statua del Cristo degli abissi é una fusione in bronzo posta sui fondali di San Fruttuoso di Camogli nel 1954 a 17 metri di profondità , la statua alta due metri e mezzo fu realizzata dallo scultore Guido Galletti e creata dalla fonderia artistica Battaglia, per realizzare il bronzo della statua furono fuse medaglie ,campane e persino le eliche d’un sottomarino americano.

in Vico del Duca c’é una graziosa……

A Genova, i nativi ben lo sanno, non c’é una piazza, via o vicolo che abbia una statua o qualcos’altro che, in qualche modo, rappresenti il nome a cui è stata dedicata, così in piazza Colombo di Cristoforo non c’é traccia, in piazza Dante non c’é nulla che ricordi il sommo poeta, in via Garibaldi non c’é niente dell’eroe dei due mondi e così via. Vico del Duca non fa eccezione, all’inizio di questo caruggio (vicolo) c’è una nicchia incassata nella parete d’un antico palazzo, ma dentro non ci sono duchi ma i tre re Magi, in compenso, in vico dei tre re Magi non si trova neppure il basso rilievo d’un cammello. In Vico del Duca c’é altro….. Già in tempi remoti i vicoli che dal porto salivano verso piazza delle Fontane Marose, quello che anticamente veniva chiamato monte Albano, era zona di prostituzione e lo è rimasta, un’ istituzione, diciamo così, che viene portata avanti dalla bellezza di 600 anni, invece nella Via del Campo, celebrata dalla bella canzone di Fabrizio De André, é quasi scomparsa. In vico del Duca e nelle aree limitrofe centinaia di professioniste si alternano al lavoro senza soluzione di continuità, un servizio “pubblico” che può essere liberamente professato stante che in Italia la prostituzione non è proibita, a tal proposito vi voglio raccontare di un fatto singolare che mi accaduto, tempo fa volevo andare a vedere una mostra di maioliche antiche allestita al palazzo Spinola di Piazza Pellicceria, splendida dimora “museo ” facilmente raggiungibile percorrendo la via di San luca, ma io ero in via Garibaldi, così pensai di raggiungere il palazzo da Vico del Duca, dopo 50 metri m’ero già perso, vidi una “graziosa” e le chiesi come potevo raggiungere il palazzo, lei molto cortese e disponibile mi diede precise indicazioni che io seguii ma dopo cinque minuti di cammino mi persi nuovamente, vidi un’altra signorina molto sexy che mi guardò e sorridendo mi disse : “Vuole andare a Palazzo Spinola ? ” io risposi di si , lei con molta professionalità tirò fuori dalla borsetta una piantina del Centro Storico e mi fece vedere quali vicoli dovevo ancora percorrere, a questo punto pensai che il Comune di Genova avrebbe dovuto riconoscere a queste ragazze un compenso da pseudo guide turistiche in quanto suppliscono alla cronica mancanza di cartelli ed indicazioni per raggiungere uno dei più bei palazzi del centro storico di Genova.

LA PORTA SOPRANA

La porta di Sant’Andrea posta sull’omonimo colle spianato all’inizio del ‘900, era chiamata “Soprana ” perché si trovava rialzata rispetto alla città vecchia, faceva parte del complesso difensivo eretto nel XII secolo dai genovesi per far fronte alle minacce dell’imperatore Federico Barbarossa, il quale, saputo che i genovesi non ne volevano sapere di diventare suoi vassalli e di sottomettersi alla sua autorità, furibondo contro tale impudenza, aveva minacciato di scagliare il suo potente esercito contro Genova, di raderla al suolo uccidendo tutti i suoi abitanti. Messe da parte per una volta le lotte intestine tra le diverse famiglie nobili, tutta quanta la popolazione, uomini, ragazzi, donne compresi anche diaconi ed i preti si misero all’opera per costruire una nuova cinta di mura più possente rispetto alla precedente risalente al X secolo, la porta Soprana era quella che consentiva l’ingresso alla città da est, rivolta idealmente verso Roma. All’interno della porta si leggono diverse iscrizioni poste su lapidi marmoree, in una di queste si legge la seguente frase latina: “SI PACEM PORTAS, LICET HAS TIBI TANGERE PORTAS, SI BELLUM QUERES, TRISTIS VICTUSQUE RECEDES ” che in pratica significa: se vieni in pace ti è lecito toccare ( attraversare ) queste porte, ce cerchi la guerra ti ritirerai infelice e sconfitto. Una curiosità, quando la porta Soprana e le sue torri furono restaurate nel1890 sotto la direzione del D’Andrade, in una di esse fu ritrovata la ghigliottina che nel periodo della dominazione napoleonica fu usata a Genova per le esecuzioni capitali.

C’ERA UNA VOLTA IL “GRAN CHIANTI”

A Genova, all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso, nella mitica Sottoripa, c’era un localino ed ancora c’é che si chiamava “Gran Chianti”, uno, se non il primo, a servire solo panini e vino. Il locale é piccolo e si mangiava rigorosamente in piedi, dato che spazio per sedie e tavolini non ce n’era, la varietà dei panini che si potevano richiedere era veramente considerevole, si spaziava dallo speck con il burro di malga alla porchetta romana, dal prosciutto della Foresta Nera al vitello tonnato , dall’arrosto di vitello con lattuga alla “Cima alla genovese “, dal salame di Sant’Olcese ai coglioni di mulo ( questi non ho mai avuto il coraggio d’assaggiarli , anche se sapevo che era un salume chiamato così per la sua caratteristica forma); verso il mezzogiorno, una folla eterogenea formata da ragazzi, impiegati, portuali e turisti ( a quel tempo pochi ), si metteva ordinatamente in fila aspettando il suo turno per mangiare l’agognato panino ch’era sempre croccante perché appena sfornato, nessuno cercava di fare il furbetto per guadagnare qualche posizione, ne spingeva, ma tutti guardavano la piccola vetrina posta sulla strada pensando a quale panino si sarebbero fatti fare. Il locale ancora c’é, da molto tempo ha cambiato nome adesso di chiama “Gran Ristoro ” e forse il nome è più appropriato.