NATALE A GENOVA

Come in tante città d’Italia, anche a Genova la festività del Natale é molto sentita sin dai tempi più remoti, le cronache ci raccontano di doni fatti non solo dai ricchi, ma anche dalle classi meno abbienti nei confronti dei loro congiunti. In questa festività la pianta del’ alloro assume particolare importanza, un rametto d’alloro era conficcato in cima al “pandolce”, tipico dolce della santa ricorrenza, per invocare la buona sorte, il membro più giovane della famiglia doveva toglierlo prima del taglio del pandolce, mentre il più anziano doveva prendere la prima fetta e metterla da parte per poi regalarla al primo mendico che avesse bussato alla porta; bei tempi antichi…. oggi, con quello che si legge quotidianamente sui giornali, se qualcuno ci suona insistentemente il campanello di notte, chiamiamo subito i carabinieri. Ritornando al nostro “alloro” i rami venivano esposti fuori dalle botteghe dei “Besagnini ” ( venditori di frutta e verdura) consuetudine considerata da tutti come l’inizio del periodo della festa, ai tempi della Serenissima Repubblica di Genova ( ma anche ai nostri giorni ) veniva posto innanzi al palazzo Ducale un tronco di alloro simbolo di pace e prosperità, il Doge in persona ( oggi lo fa il sindaco ) usciva dall’avito palazzo salutando la folla festante e dopo averlo cosparso di vino, gli dava fuoco, questa cerimonia detta “Confuoco ” si ripete da tempi remotissimi, documentata dal XIV secolo risale probabilmente ad un periodo molto più antico. Desidero concludere questo breve articolo con una vecchia filastrocca genovese : Viva o Natale/ viva o vin bon/ viva o pandoce/ viva o torron/tutto o l’é bon! E buone feste a tutti i miei lettori.  Cordialmente  Mauro Silvio Burlando

Nella foto Piazza Colombo fotografata di notte con le luminarie di Natale.

San Siro il precursore dei disinfestatori

Girovagando per il centro storico di Genova e percorrendo il lungo caruggio che da via San Lorenzo arriva a piazza Banchi, ad un certo punto passerete sotto un grande archivolto detto della porta di san Pietro perché da lì, nel X secolo, si accedeva alla città da ponente, una porta ora non più esistente, giacché nel XII secolo fu demolita quando furono erette le nuove mura dette del “Barbarossa” che potenziarono le difese della città, stante che l’imperatore aveva deciso di sterminare tutti i genovesi uomini, donne, vecchi e bambini poiché s’erano rifiutati di pagargli i tributi. Proprio qui, su un muro, ignorato dai più, c’é un’antico basso rilievo dì epoca medioevale che ritrae al centro il mitico san Siro di Genova con ai lati gli stemmi scalpellati di due famiglie nobili genovesi sormontati da due elmi. Il san Siro vescovo di Genova vissuto nel IV secolo dopo Cristo é ricordato nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine ( attuale Varazze ) per aver sconfitto un mostro detto ” Basilisco ” che viveva in un pozzo inquinando le sue acque e con il suo fiato puzzolente ammorbava l’aria di Genova. Siro, dopo essersi ritirato in preghiera, si recò al pozzo, vi calò dentro un grosso secchio, ordinò alla bestiaccia d’entrarci dentro e, tiratolo su gli ordinò di buttarsi a mare, cosa che l’orrido animale fece immediatamente, penso non solo per obbedire all’ordine del santo vescovo, ma anche perché vivere in un pozzo non deve esser stato il massimo della goduria per lui. Ovviamente questo mitico animale si immagina volesse rappresentare allegoricamente l’eresia ariana che il nostro Siro combatté strenuamente. Il Basilisco, per chi non lo sapesse, era citato sin da tempi remotissimi come un mostriciattolo velenoso, mezzo serpente e mezzo gallo con ali di pipistrello e con gli artigli d’un avvoltoio. Singolare il fatto che in questo antico basso rilievo, dove il bastone vescovile é visibile solo nella parte terminale superiore ed inferiore, San Siro venga rappresentato con la faccia scura, forse perché pur essendo nato a Molliciana ( attuale Molassana ) zona alle spalle di Genova dove le piene del torrente Bisagno rendevano il terreno fertile e molle, Siro é un nome che deriva da Siriaco cioè abitante della Siria e quindi africano.

UN CAPOLAVORO SEGRETO

A Genova, vicinissima alla centrale piazza Corvetto, c’ è una piccola chiesa dedicata a santa Marta che in qualche modo richiama un po’ il carattere dei genovesi, poverissima all’ esterno, è un vero e proprio scrigno di tesori al suo interno, uno dei più splendidi esempi dello stile rococò genovese. Questo tempio fu originariamente un monastero delle monache benedettine di clausura, le monache potevano assistere alla Celebrazione Eucaristica senza esser viste da nessuno dal loro inaccessibile matroneo posto in alto sopra il nartece. Ancora oggi a questo matroneo si accede da un appartamento sito al terzo piano di un anonimo edificio di piazza Corvetto vicino ad un negozio che vende piante e fiori, il parroco mi ha consentito di visitarlo, il luogo é suggestivo e carico di pathos, sarà stato per la luce soffusa ed una melodia a me sconosciuta suonata da un anonimo organista, ma quando alzai gli occhi al basso soffitto che mi sovrastava restai letteralmente a bocca aperta dall’ emozione, lì vidi uno splendido affresco rappresentante l’adorazione dei pastori a Gesù bambino realizzato dal pittore genovese Domenico Piola, ( Genova 1627 – 1703 ), uno degli artisti più rappresentativi della Genova barocca che lo realizzò nell’ ultimo quarto del XVII° secolo.

Camogli con i piedi nell’acqua

Camogli é un posto dove si torna sempre volentieri, tranne nei giorni festivi, quando la baraonda delle auto in cerca d’un improbabile parcheggio, ti mettono addosso un’ansia per la quale non vedi l’ora di andartene il più lontano possibile da lì. Molti anni or sono, accompagnai una mia amica belga a Camogli e quando uscimmo dallo stretto caruggio e sbucammo sulla passeggiata fronte mare, lei a bocca aperta cominciò a piangere dicendomi che mai aveva visto cosa più bella. Anche poeti come Nicolò Bacigalupo l’hanno celebrata scrivendo: “Camuggi, bella najade accuegà coi pé in te l’aigua e a testa sotto i pin che ombrezzan dal’ artua de Portofin a valle ti te spegi in ma , ricca e bella t’han reiso i brigantin che andavan da -o- to porto carega…..” Truduzione per i foresti ( non genovesi ) “Camogli bella Najade sdraiata con i piedi nell’acqua e la testa sotto i pini che ombreggiano dall’ altura di Portofino, a valle ti specchi in mare, ricca e bella t’hanno reso i brigantini che caricavano nel tuo porto…..” Camogli é ricordata anche nei canti popolari liguri dove uno dei più divertenti recita : ” Oulidin oulidin oulidena sabbo a Camoggi domenega a Zena , oulidin oulidin oulidà sabbo a Camoggi domenega a Prà.

Artemisia, il genio e la passione

Quotidianamente siamo ormai abituati a leggere su giornali di violenze, stupri ed omicidi perpetrati tra le mura domestiche, proprio tra quelle mura che invece dovrebbero garantire sicurezza e protezione. Singolare il fatto che quando si legge qualcosa di edificante, la notizia passa subito in secondo piano rispetto al fatto violento, al quale, non solo viene dato più risalto, ma quasi subito crea tra alcuni dei fruitori della notizia, desiderio di emulazione, allora pensiamo:” che tempi oscuri sono questi dell’inizio del terzo millennio”. Conoscendo un po’ la storia però ci si rende conto che anche nel passato le cose non giravano per il verso giusto, esempio lampante fu Artemisia Gentileschi violentata a soli 17 anni dal collega di lavoro e di bisbocce di suo padre Orazio, il pittore Agostino Tassi, che avrebbe dovuto insegnarle la “prospettiva”, essendo lei, l’unica tra i figli del Gentileschi, a voler diventare pittrice, invece abusò di lei approfittando d’ essersi trovato solo con la ragazza. Il Tassi cercò di evitare d’essere denunciato promettendo ad Artemisia e a suo padre Orazio di sposarla, ma dopo qualche mese i Gentileschi vennero a conoscenza che il Tassi era già sposato e con prole a carico, per cui venne denunciato, imprigionato a Tor di Nona e processato, e proprio durante il dibattimento, di fronte ai giudici, Artemisia senza paura ne vergogna, confermò quanto letto dal capo dei notai che con voce monocorde lesse quanto segue: ” quando fummo alla porta della camera lui mi spinse dentro e serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto….havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntatomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro che lo sentivo che m’incedeva forte e mi faceva gran male che per l’impedimento che mi teneva alla bocca non potevo gridare…E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli ….” Il Tassi, ovviamente, negò tutto, per cui il giudice ritenne opportuno, per conoscere la verità, ricorrere alla tortura, come era d’uso nel primo quarto del XVII secolo e quindi ordinò ad un aguzzino di sistemare le corde intorno alle dita e di stringerle ma non a lui ma a lei……sottoposta alla tortura detta della “Sibilla”, che consisteva nel legare delle cordicelle alle mani dito per dito, cordicelle che poi venivano strette sino a stritolare le falangi, la tortura cominciò, e mentre l’aguzzino girava lentamente il randello a cui erano collegate le corde che le straziavano le mani, Artemisia gridò guardando negli occhi il Tassi : ” E’ vero, E’ vero, E’ vero! ” e poi rivolgendosi a lui gli rinfacciò: ” …Questo è l’anello con cui mi sposi, questi sono i tuoi giuramenti !” il giudice interruppe la tortura che durò il tempo di un miserere. Artemisia barcollando stremata dal dolore si allontanò ed il Tassi venne riportato in galera dove per la verità restò per poco tempo. Lei diventerà un genio immortale, mentre lui verrà ricordato solo per quel’ atto di violenza nei confronti d’una ragazzina. Nel Palazzo Ducale di Genova è stata allestita una bella mostra dedicata a questa straordinaria pittrice visitabile dal 16 Novembre 2023 al 1 aprile 2024.

Nella foto il dipinto olio su tela realizzato da Artemisia a soli 17 anni raffigurante “Susanna ed i vecchioni” si dice che nelle fattezze del vecchio barbuto la pittrice abbia raffigurato suo padre mentre il personaggio più giovane sarebbe il Tassi.

Bibliografia : ” Artemisia ” di Alexandra Lapierre ed. Mondadori