SALVIAMO LA NOSTRA STORIA

A Genova , é risaputo, la carenza di spazio ha fatto si che la città si sia sviluppata verticalmente, il nostro centro storico ne è un buon testimone con i suoi alti palazzi talvolta abbruttiti da sopraelevazioni deturpanti, persino alcuni edifici di culto non hanno potuto sfuggire a questo esasperato bisogno di spazio, sino ad arrivare all’assurdo di costruire un edificio negli anni 30 del secolo scorso sopra un tempio di origini trecentesche dedicato a San Nicolosio. In questa chiesa, sovrastante l’altar maggiore, si trova un dipinto realizzato da Gio. Andrea De Ferrari che sta andando letteralmente in malora. Ma chi fu Gio. Andrea De Ferrari? rispondo in breve, fu uno degli artisti genovesi che conribuì all’affermarsi dello stile barocco nella nostra città, uno dei protagonisti della pittura della prima metà del 1600 a Genova. Il Nostro, nato nel 1598 a Genova, si formò nella bottega di Bernardo Castello e poi in quella di Bernardo Strozzi, ma già a soli vent’anni aprì una propria bottega in casa sua. detto ciò vi vorrei parlare di questo grande dipinto posto in una nicchia marmorea preesistente. Il dipinto raffigura un San Francesco d’Assisi che presenta a Gesù ed alla Madonna circondata da cherubini, il re di Francia Ludovico IX ed Elisabetta regina del Portogallo, ambedue santificati. La tela é monumentale ed originariamente era posta nell’oratorio della chiesa di san Francesco di Castelletto ora non più esistente. I membri del Terz’Ordine Francescano nel 1804 si trasferirono nella chiesa di san Nicolosio, o Nicola che dir si voglia, portando con loro le opere artistiche che erano custodite nella sede demolita, tra queste anche questo dipinto che risale alla fine del primo quarto del XVII secolo. Recentemente é iniziata una raccolta fondi per poterlo salvare dall’ammaloramento che rischia di distruggerlo per sempre. Vi chiederete ma perché salvare un dipinto di una chiesa della quale i più ignorano l’esistenza? Perché salvando questo quadro salviamo anche noi stessi, perché lui è parte della nostra storia, del nostro vissuto, del passato che testimonia la grandezza della nostra città nel ‘600 il suo ” Secolo d’Oro”, per questo vi prego fate si che questo capolavoro giovanile del De Ferrari possa risorgere e testimoniare con la sua bellezza il mecenatismo dei genovesi che, a torto, sono stati sempre descritti con il braccino corto. Grazie a tutti

P.S. vi pubblico l’IBAN della Banca Passadore messo a disposizione per questa raccolta fondi pubblicato sul Secolo XIX :

IT11R03332 01400 000000968449

OTTOMANI BARBARESCHI MORI & C.

Genova era ed é una città multietnica per tradizione, già in epoca medioevale la città era popolata da folte comunità di “foresti ” ( stranieri ) ed anche di schiavi come testimonia un documento datato 1482. Queste persone ridotte in schiavitù provenivano in parte dal Levante ed altre dalle coste africane, prevalentemente erano sudditi ottomani e barbareschi presi prigionieri in battaglia e nelle numerose guerre di “Corsa ” o anche acquistati su altre piazze. La schiavitù nel mar Mediterraneo funzionava a doppio senso, i cristiani schiavizzavano i nemici catturati e loro facevano lo stesso ai cristiani che cadevano nelle loro mani durante le scorrerie lungo le coste liguri, a Genova esisteva un apposito “Magistrato del Riscatto ” con il compito di negoziare la liberazione di nostri concittadini mediante il pagamento d’una cifra che variava a seconda dell’importanza della persona imprigionata. Gli schiavi a Genova, se di robusta costituzione, venivano incatenati ai remi delle galee, altrimenti erano destinati al servizio domestico, alcuni di loro, chiamati “papassi ” godevano di diversi privilegi rispetto ai loro compagni di prigionia, tra i quali la “rappresentanza ” una forma antesignana di sindacalista. I bambini nati dalle schiave seguivano la sorte dei loro genitori, se graziosi, venivano usati come paggetti come si evince da questo bel dipinto di Domenico Parodi ( Genova 1672 – 1742 ), databile al primo quarto del XVIII secolo, che raffigura una dama genovese con il suo paggio. Tutto quanto da me scritto é ben rappresentato nella mostra: “OTTOMANI BARBARESCHI MORI E ALTRE GENTI NELL’ARTE A GENOVA ” FASCINAZIONI SCONTRI SCAMBI NEI SECOLI XVII – XVIII allestita nello splendido palazzo Lomellino di via Garibaldi.

“I VIAGGIATORI” di Bruno Catalano

A Genova da un po’ di tempo si possono ammirare alcune statue bronzee dello scultore Bruno Catalano. Questi viaggiatori, perché di viaggiatori stiamo parlando, con il loro bagaglio a mano sparsi nella nostra città, attirano folle di turisti e curiosi, molti li fotografano, ammirandone la grandezza e la maestria con cui l’artista è riuscito a trovare un equilibrio tra “vuoti e pieni “, altri distrattamente li superano scuotendo la testa pensando siano una stranezza d’arte moderna, nessuno si sofferma a guardarli per più d’un minuto, invece ne varrebbe la pena, perché in queste statue l’artista ha cercato di rappresentare il dolore dello sradicamento dal proprio paese, dalle proprie radici e la speranza d’un migliore destino. La dimensione gigantesca li trasforma in personaggi eroici, pur restando uomini e donne facenti parte del nostro quotidiano, persone che partono con i loro ricordi, loro storia ed anche la precarietà del loro equilibrio tra passato, presente e futuro, le parti mancanti delle statue sono finestre nelle quali riconoscersi , metafore che rappresentano il viaggio della nostra vita.

Giannettino Luxoro… chi era costui?

I Luxoro fecero parte della ricca borghesia genovese, l’ingegnere Pietro Luxoro fece edificare una villa nella parte più orientale della zona di Capolungo (Nervi) nel 1903, la costruzione in stile fin de siècle venne usata dai Luxoro, che erano tre fratelli, come residenza di villeggiatura estiva essendo la casa immersa in un parco prospicente al mare. In questa elegante dimora i Luxoro, appassionati collezionisti di cose genovesi e non solo, accumularono ogni sorta di interessantissimi oggetti che vanno dagli orologi antichi da tavolo, ai mobili genovesi del XVIII secolo, alle statuine presepiali con le quali venivano allestiti splendidi presepi nei giorni dell’avvento ed a tanti altri oggetti preziosi come la stupenda raccolta di acquasantine genovesi in argento sbalzato e cesellato. I tre fratelli non ebbero discendenti a parte Giuseppe che ebbe un figlio chiamato Giannettino, il quale certamente non sarebbe passato alla storia poiché, quando scoppiò la prima guerra mondiale, si arruolò nel regio esercito e, come tanti altri giovani della sua generazione, fu trucidato dalla mitraglia nemica nel corso di uno dei tanti assalti comandati ai nostri soldati per conquistare qualche centinaio di metri di territorio austriaco, ma quando nel 1946 l’ultimo discendente della famiglia morì lasciando per atto testamentario la villa con tutti il suoi preziosi arredi e collezioni al Comune di Genova, la casa museo fu intitolata proprio a Giannettino Luxoro il membro più giovane e sfortunato di questa famiglia. Il museo chiuso da molti anni é stato riaperto il primo Novembre di quest’anno, visitatelo, é un’esperienza molto interessante e poi potete terminare la giornata nella splendida passeggiata di Nervi e prendervi un aperitivo in quell’angolo di paradiso.

Nella foto un particolare della casa museo ci mostra una portantina del XVIII secolo, a Genova, data la tipologia delle strade, molto strette e anguste, di carrozze se ne vedevano poche, per i nobili era molto più pratico farsi trasportare in portantina, ciò evidenziava il loro rango mettendo in bella mostra il blasone di famiglia dipinto sullo sportello ed evitava di confondersi con i comuni cittadini, mercanti ed accattoni che pullulavano nel centro storico.

“Pietro Tempesta” fiammingo ma genovese per forza

Si chiamava Pieter Mullier il giovane, dato che suo padre, anch’egli pittore, aveva il suo stesso nome, il Nostro nacque nel 1637 e si formò ad Harlem nella bottega paterna, si trasferì in Italia nel 1656 all’età di 19 anni dove è documentata la sua presenza a Roma e dove rimase sino al 1668. Nella città eterna aggiornò il suo modo dipingere e presto, grazie alla sua bravura, ebbe importanti commissioni da parte di potenti famiglie quali i Chigi, i Colonna ed i Borghese, soprattutto si affermò come pittore di marine tempestose tanto da esser detto ” Cavalier Tempesta “. Nel 1668 si recò a Genova dove nel suo “Secolo D’Oro ” non mancarono né i lavori, né il denaro per poterli pagare profumatamente. Nella nostra città lasciò numerosi dipinti da stanza ed anche affreschi come anche oggi possiamo ammirare nel bel palazzo Lomellino di via Garibaldi. Continuando a firmarsi Pietro Tempesta, realizzò non soltanto dipinti di genere marino, ma anche iconografie di paesaggio boschivo in cui possiamo scorgere personaggi ed animali dipinti con un pennellata minuta, castelli e costruzioni classiche poste sulle alture fanno da cornice ad un paesaggio che potremmo definire pre-arcadico. Quando la sua fortuna critica raggiunse l’apice, si innamorò perdutamente d’una nobile piemontese di nome Eleonora Beltrami, già sposata ma abbandonata dal consorte, anche il nostro “Tempesta” s’era sposato a Roma con una certa Lucia da cui aveva avuto figli e che, per tenersi in esercizio, ne aveva avuto altri quando il marito era stanziale a Genova, così, il Tempesta, essendo venuto a conoscenza che sua moglie aveva intenzione di raggiungerlo con la numerosa prole, pagò due sicari che l’ammazzarono nei pressi di Sarzana dove era giunta. Ma si sa che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, la cosa fu scoperta ed il Tempesta fu arrestato come mandante dell’uxoricidio. Condotto al palazzetto criminale fu torturato come si deve e naturalmente confessò la sua colpa, quindi fu condannato a 20 anni di prigione e rinchiuso nella torre Grimaldina, ma dato che sembrava un peccato sprecare tanto talento, ebbe il privilegio d’esser , diciamo così, ospitato nel luminoso vano dove era la campana detta del Popolo, e lì poté continuare a dipingere, Dopo 9 anni fu liberato grazie all’interessamento del Borromeo suo protettore ed anche del governatore spagnolo di Milano, uscito di prigione si trasferì nella bella città Meneghina aprendo una fiorente bottega dove si formò il nostro più famoso pittore di paesaggio “Il Tavella “. La morale di questa storia é che da sempre” La Giustizia é uguale per tutti!” ma per qualcuno é diversamente uguale.

IL dipinto nella foto é un paesaggio di Pietro Tempesta realizzato a olio su tela di nobile provenienza, dimensioni cm. 123 x 168 ottimo lo stato di conservazione, collezione privata in vendita. Se interessati all’acquisto potete scrivermi una e-mail a maurosilvio.burlando@gmail.com

IL COMO’ GENOVESE DELLA PRIMA META’ DEL ‘700

” Le XVIII ème siècle est le siècle des femmes” non ricordo più chi lo ha affermato ma, quando si parla di mobili, è certamente vero, per esempio il comò si trasforma e dalla grandiosità dello stile “barocco ” volto stupire ed impressionare, passa allo stile “barocchetto ” o rococò che dir si voglia, uno stile sinuoso e leggiadro in cui l’andamento curvilineo richiama prepotentemente il corpo femminile. Lo stile rococò nacque a Parigi, capitale incontrastata della moda nel’700 e da lì si diffuse a macchia d’olio anche nei vari stati italiani, a Genova ed a Venezia ci furono senza dubbio tra i migliori ebanisti interpreti di questo stile, che, pur ispirandosi ai modi francesi, crearono mobili che, per la loro bellezza ed originalità sono ancora oggi apprezzati in tutto il mondo. La produzione del mobile barocchetto genovese inizia nel 1720 e termina nel 1774 circa con l’avvento del mobile neoclassico conosciuto generalmente con il nome di stile Luigi XVI. Possiamo affermare che il “barocchetto genovese ” si sviluppa in tre fasi: il mobile del 1720, il mobile dal 1730 al 1740 ed infine quello del 1750 a seguire. I mobili hanno tuttavia la stessa impostazione, eleganti, ma all’inizio più rigidi, man mano che passa il tempo le loro linee diventano più morbide, curvilinee ed estremamente raffinate; il comò o cassettone è forse il mobile più significativo, anche perché da questo derivano i cantonali, le ribalte, le ribalte con alzata , chiamati impropriamente trumeaux ed i comodini. Quello mostrato nella foto soprastante é un comò databile al 1740 circa, le gambe curvilinee sono calzate in eleganti zoccoli in bronzo cesellato a mano e dorato al mercurio, tecnica che, fortunatamente, nel XIX secolo fu abolita perché gli addetti ai lavori di doratura avevano la vita molto breve …… le gambe si raccordano con la traversa bassa che contiene il cosiddetto grembiule mistilineo, le catene tra i cassetti non sono più a vista, in questo caso i cassetti sono tre di uguale misura, i montanti sono mossi ad ” S ” e formano un tutt’uno con le gambe, sono chiamati dagli addetti ai lavori ” alette “, il fronte del mobile é a doppia curva e decorato con maniglie e bocchette in bronzo cesellato e dorato, anche il fianco é mosso, mentre il piano, in questo caso in marmo broccatello di Spagna, segue l’andamento del corpo del mobile, lo spessore del piano in “palmi genovesi ” ( il sistema metrico decimale sarà adottato solo dalla metà del XIX secolo ) corrisponde a circa 2,7 cm. Lo scheletro del mobile è in legno povero lastronato con essenze lignee pregiate come il palissandro, il noce d’india, il bois de rose e il bois de violette.

Dedicato alla memoria del mio amico e collega Max Segala