SAN LUCA UNA CHIESA GIOIELLO

IMG_2938

Lungo l’antico Carrubeus rectus, antica arteria viaria occidentale che collegava la città di Genova con il suo ponente, ( oggi via San Luca ) c’era ed ancora esiste una piazzetta intitolata all’evangelista Luca, in questo spazio fu fondata nel 1188 la chiesa di San Luca, tempio gentilizio della potentissima famiglia degli Spinola. La chiesa è un’autentico scrigno di tesori d’arte, gli affreschi databili al tardo XVII secolo furono realizzati dal pittore Domenico Piola   ( Genova 1627 -1703 ), uno dei più rappresentativi artisti del periodo barocco e da suo figlio Paolo Gerolamo con l’ausilio del quadraturista Anton Maria Haffner ( 1654-1704)  figlio d’una guardia svizzera al servizio del papa, che preferì gli studi d’arte alla carriera militare. Nella foto gli affreschi della cupola che rappresentano l’ incoronazione di Maria Vergine in cui  è di tutta  evidenza la lezione del Correggio  le cui opere  il Nostro aveva visto a Parma.

INVITO A PALAZZO

grechetto collezione carige

Sabato prossimo 5 ottobre si potranno  visitare palazzi che solitamente non sono aperti al pubblico  perché sede di lavoro d’ istituti bancari. Due di questi appartengono alla Cassa di Risparmio di Genova ed Imperia, uno è la sede centrale in via Cassa di Risparmio alla quale si accede da piazza De Ferrari e l’ altro è palazzo Doria sempre di proprietà CARIGE in via Davide Chiossone. La manifestazione è promossa dall’ ABI ed è alla sua XVIII edizione. I palazzi saranno aperti dalle ore 10 alle ore 19 ed i visitatori saranno accompagnati da personale specializzato così potranno maggiormente apprezzare le opere pittoriche, ma non solo, esposte nei vari ambienti. Nella foto  un dipinto olio su tela di Giovanni Battista Castiglione detto il Grechetto ( Genova 1609 -Mantova 1664) che rappresenta un episodio del Vecchio Testamento : Giacobbe incontra Rachele al pozzo e se ne innamora, il nostro rappresenta l’attimo dell’ innamoramento mettendo in evidenza la bellezza e la femminilità seduttrice della fanciulla contrapposta alla virilità del giovane Giacobbe circondato da pecore e capre che fanno da comparse, mentre il paesaggio circostante ha quasi una valenza onirica. L’ ingresso è gratuito, cosa che i genovesi da sempre apprezzano.

MEGHI DE ZENA ( MEDICI DI GENOVA)

 

Nei tempi antichi a Genova i medici per poter esercitare la loro professione dovevano superare gli esami di laurea innanzi ai membri del Collegio di Medicina ed un pubblico di notabili, dapprima nella chiesa di San Francesco di Castelletto, oggi incorporata in parte in uno stabile in salita San Francesco ed in parte distrutta e successivamente nella cattedrale di San Lorenzo. Ai candidati non era chiesto dove avessero studiato, ma se avessero collaborato nella bottega d’ un medico conosciuto, in pratica valeva di più sapere da chi avevano imparato l’ arte di medicare piuttosto che in quali studi si erano distinti. comunque era presa in considerazione anche la frequenza presso atenei oltre il confine del Genovesato. Solo dalla metà del ‘500 furono predisposti studi universitari di medicina, per le lezioni veniva usata la lingua latina tranne per quelle di anatomia, dopo quattro anni, per laurearsi, occorreva superare un esame, poi altri esami per essere abilitati come dottori, quando finalmente erano riconosciuti idonei alla libera professione, i neo medici dovevano sempre indossare abiti lunghi sino ai talloni per questo chiamati talari, non potevano partecipare a funerali se non d’un collega o d’ un parente prossimo e non potevano portare abiti a lutto se non per brevi periodo per non spaventare i loro pazienti, inoltre, in caso di pestilenze, dovevano indossare una maschera sagomata a becco di cicogna che conteneva erbe aromatiche e profumate atte ad evitare il contagio, dato che al tempo si pensava che la peste fosse portata da sostanze volatili maligne, a tal proposito ho letto che come cura del terribile morbo veniva consigliato di frantumare pietre preziose, di amalgamarle con acqua e trangugiare la pozione ottenuta, pare che la guarigione dipendesse dalla purezza delle pietre….una soddisfazione per i poveri era constatare che, pietre o non pietre, anche i ricchi morivano come le mosche.

Nella foto navata destra della cattedrale di San Lorenzo

L'immagine può contenere: persone in piedi, spazio all'aperto e spazio al chiuso
Rimuovi

Ottieni più “

UN CAPOLAVORO DIMENTICATO

IMG_2986

L’Abbazia di San Nicolò del Boschetto a Cornigliano (GE) nacque per volontà del nobile Magnone Grimaldi nel 1311, un secolo più tardi i Grimaldi donarono la piccola chiesa che avevano costruito ed una casa rurale ai Benedettini che qualche anno più tardi ottennero dal papa Martino V l’ autorizzazione a costruire un monastero. La fabbrica fu finanziata dai Grimaldi, dai Doria, dagli Spinola e dai Lercari che scelsero l’ abbazia come sepolcreto per i loro defunti, così il complesso crebbe e si arricchì di opere d’arte, poi arrivò il periodo della decadenza quando durante la guerra di secessione austriaca  nel 1747 il monastero fu occupato dalle truppe d’oltralpe che arrecarono pesanti danni alle strutture ed alle opere d’ arte, infine il colpo di grazia lo diede Napoleone Bonaparte nel 1810 con le sue leggi che sopprimevano gli ordini religiosi, il convento fu espropriato e l’ingente patrimonio artistico disperso, la chiesa fu trasformata in fabbrica  ed il convento in abitazioni. Nel 1870 i Delle Piane ripristinarono l’abbazia e la riaprirono al culto. Tornando ai giorni nostri, dopo una chiusura durata diversi decenni recentemente è stata riaperta in occasione delle giornate dei “Rolli” e molte persone l’ hanno riscoperta. La prima cosa che stupisce è la vastità della chiesa e i vuoti che la contraddistinguono, gli altari si possono ammirare al Victoria and Albert Museum a Londra, resta poco di quella che doveva essere la magnificenza e la grandiosità delle opere contenute, ma quel che resta stupisce per la sua incredibile bellezza. Tra le opere che sono ancora in sito forse la più interessante è la lastra tombale di Paolo Doria commissionata dallo stesso  nel 1474. La lapide marmorea si compone d’ un riquadro centrale e d’una cornice, in testa della quale è posta l’epigrafe non coeva, nel riquadro  sette angioletti disposti simmetricamente sorreggono una ghirlanda con lo stemma dei Doria che fu abraso dai monaci, nella cornice cordonata da una maschera leonina si dipartono due tralci di vite che si svolgono a girali con grappoli e pampini questi ultimi risolti con sette lobi anziché con i cinque di natura, ai quattro angoli vi sono putti musici. Singolare il fatto del numero 7 ricorrente nell’opera che richiama i sette sigilli dell’angelo dell’Apocalisse,  le 7  virtù teologali e cardinali ed i 7  vizi capitali. La scultura d’altissimo pregio è stata attribuita ai fratelli Gagini o alla loro scuola ed in particolare a Michele D’Aria.

IMG_2983

Il chiostro maggiore  in stile rinascimentale  di forma quadrata fu costruito tra il 1492 ed il 1519, il pozzo al centro probabilmente apparteneva alla primitiva cappella trecentesca.

UN DUOMO DI MILANO A GENOVA

P1050988

L’architetto Luigi Rovelli ( Milano 1850 – Rapallo 1911) fu senza dubbio uno dei principali protagonisti dello stile eclettico in Liguria, egli seppe amalgamare il gusto della committenza alto borghese locale con modelli neo-rinascimentali, neo-gotici  e neo-romanici che ebbero grande successo specialmente nelle residenze di villa e nell’edilizia funeraria. Nel cimitero monumentale di Staglieno, per esempio il Rovelli progettò la cappella Raggio nel 1896, Armando Raggio, il committente, fu un finanziere ed industriale genovese che fece costruire questa cappella per accogliere le spoglie della moglie. Il Nostro progettò un edificio in stile gotico adorno di guglie e d’archi rampanti ancora oggi conosciuto come ” Il Duomo di Milano”, alto oltre 28 metri e occupante una superficie di 35 mq. fu interamente rivestito in marmo bianco di Carrara dai fratelli Repetti di Lavagna che impiegarono più di 150 tonnellate del prezioso materiale, sin dal tempo in cui fu realizzato fu annoverato tra i monumenti più grandiosi di questo museo a cielo aperto.

I RISSEU DELLA CERTOSA DI RIVAROLO

IMG_2999_InPixio

Nell’anno del Signore 1280 il nobile Bartolino Di Negro, ricco mercante genovese esperto di commercio e di finanze, non sapendo come far fruttare le sue terre poste nell’interland di Genova, fece donazione di alcuni suoi possedimenti in Rivarolo (GE) a Bozone Priore generale della grande Certosa di Grenoble, perché fosse edificato un monastero dell’ordine certosino, frati  che erano rinomati anche per la loro bravura nel far fruttare le terre coltivate. I certosini nel 1295 entrarono in possesso dei terreni e cominciarono a fabbricare la  chiesa ed il  convento, tuttora esistenti nonostante che, essendo collocati fuori delle mura di Genova, abbiano sopportato i danni della soldataglia austriaca nel 1746 e poi, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi voluta da Napoleone, i monaci furono allontanati e la chiesa fu utilizzata prima  come deposito di polveri ed in seguito come ospedale militare. Nel complesso vi sono due chiostri, il primo risalente al 1519 più piccolo destinato ai monaci, il secondo, mostrato nella fotografia, con 32 colonne toscaneggianti probabilmente risalente  al 1530 era destinato ai laici ed è circondato da una pavimentazione a risseu  tipica del genovesato che consiste in un mosaico realizzato con acciottolato di pietre solitamente bianche e nere con le quali venivano pavimentati gli spazi esterni.  I Risseu sono stati parzialmente restaurati e sono veramente belli anche se un po’ criptici, nel senso che solo alcuni si riescono ad interpretare compiutamente come quello sottostante in cui è leggibile  la parola Cartusia ( da Chartreuse dove risiedeva la casa madre dell’ordine certosino fondato da San Bruno nel 1084 ).

IMG_2997

A BANDEA DE SAN ZORZO ( la bandiera di san Giorgio)

torre grimaldina bis

Il salvifico vessillo della vera croce, così veniva definita la bandiera di Genova da Jacopo da Varagine nella sua “Legenda aurea”, fu usato sin da tempi remoti, quando l’esercito bizantino stazionava a Genova nel VII secolo ed aveva portato con se il culto per San Giorgio, un soldato romano vissuto alla fine del III secolo dopo Cristo in Cappadocia che,  convertitosi al cristianesimo, fu giustiziato sotto l’ imperatore Diocleziano perché si rifiutò d’adorarlo come fosse una divinità. La bandiera, composta da una croce rossa in campo bianco, sventolava sopra le galee della Repubblica Genovese e questo presto diventò sinonimo di potenza  e predominio sui mari, tanto che il re d’ Inghilterra Riccardo I Plantageneto, ricordato come Riccardo Cuor di Leone, chiese al doge di Genova di concedergli l’ uso del vessillo genovese per le sue navi, cosa che gli venne accordata dietro il pagamento d’ un tributo annuale, a proposito è da qualche secolo che l’ Inghilterra non paga il tributo e considerando anche gli interessi maturati  viene fuori un bel gruzzoletto. Molti credono che l’ emblema dei soldati crociati partiti alla volta della Terra Santa per liberarla dall’occupazione mussulmana  fosse la croce rossa in campo bianco ma così non fu, ogni nazione aveva una croce di diverso colore, gli inglesi per esempio portavano una croce bianca in campo rosso, i fiamminghi l’ avevano verde, i tedeschi nera in campo bianco, gli italiani gialla o azzurra ( curioso che i giocatori della squadra di calcio della Nazionale italiana vengano chiamati ” Azzurri”)  ed i genovesi rossa.

pe Zena e pe san Zorzu

Litografia raffigurante la battaglia della Meloria tra galee Genovesi e Pisane presa da: ” Storia popolare di Genova ” di Mariano Bargellini edito da Enrico Monni  nel 1869

 

UN CROCIFISSO IMPRESSIONANTE

IMG_2936

Nel centro storico di Genova vi è la bella chiesa gentilizia della famiglia Spinola dedicata a San Luca, qui nella cappella della Vergine addolorata già detta del “Crocifisso” è un Cristo crocifisso in legno intagliato e scolpito dipinto in policromia dello scultore Domenico Bissone (*) che  fu commissionato all’artista da Gio Domenico Spinola, impressionante per il realismo con cui fu realizzato, l’ artista in quest’opera esalta i simboli della sofferenza ed esprime il culmine del dolore dell’uomo Dio, ( …quando giunsero nel luogo detto Cranio là crocifissero Lui e i due malfattori… Luca 23.3).

(*) Domenico Bissone ( 1597 – 1645 ) figlio di Francesco Gaggini fu chiamato Bissone dal suo luogo di nascita, trasferitosi a Genova ebbe una bottega nella contrada detta “Scuteria” dove fu  chiamato Domenico da Bissone. Nel 1607 gli fu commissionata una cassa processionale per l’oratorio di santa Croce di Sarzana andata perduta, questa opera  gli diede notorietà e fama, numerose “Casacce ” ( oratori ) gli commissionarono lavori d’ogni genere, forse il più famoso dei quali è ” Il Cristo Moro “, un Cristo crocifisso intagliato e scolpito in legno di giuggiolo eseguito per l’ oratorio di San Giacomo della Marina  oggi esposto nella chiesa di San Donato nel centro storico di Genova.

UNA MADONNA GRAZIOSA DI LUCA

 

particolare

Nella bella chiesa di Santa Maria della Cella a Sampierdarena (GE) vi è una pala d’altare che raffigura La Vergine con il Bambino Gesù, San Giovanni Battista, angeli ed in alto Dio Padre. Il dipinto databile all’inizio degli anni 60 del ‘500 è stato realizzato da Luca Cambiaso ( Moneglia 1527- El Escorial 1585), nella foto mostro il particolare più interessante dell’opera pittorica che ci illustra quanto il Correggio lo abbia influenzato in questo periodo.  Il Nostro, rinunciando ad ogni enfatizzazione,  esprime qui una poetica tesa ad una perfetta integrazione tra lo spazio naturale e le figure disponendole nella profondità dello spazio collegando i vari livelli con i loro movimenti, l’angioletto in primo piano  genera attenzione nei confronti del fruitore dell’opera, mentre  la protagonista assoluta di questo capolavoro è la Madonna, mediata dalla Madonna di Bruges di Michelangelo, che ci viene rappresentata con il braccio sinistro posto sull’elemento geometrico formato da un cubo di pietra. La Vergine, con la sua naturalezza, mitiga il geometrismo tendenziale del Cambiaso e lo porta al punto d’arrivo d’una ricerca cominciata agli inizi degli anni cinquanta , una grazia ed una delicatezza tipicamente Correggesca  che qui raggiunge il suo apice, definita dal Magnani  d’una ambigua precarietà.

UN MONUMENTO PER IL BUFFONE DI DIO

IMG_2946_InPixio (3)_InPixio

Nel centro storico di Genova e più precisamente in via Lomellini dichiarata patrimonio dell’umanità dall’ UNESCO, c’è una chiesa dedicata a San Filippo Neri. Filippo nato a Firenze nel 1515,  ancora giovane si trasferì a Roma che a quel tempo era in preda alla miseria ed alla corruzione, prese i voti nel 1551 e si dedicò alla missione evangelica di aiutare i ragazzi di strada e ricondurli sulla retta via con metodi a quel tempo assolutamente avveniristici, infatti non percosse o castighi venivano usati per correggere i ragazzi, ma il divertimento, il gioco ed il canto che avvenivano in quello che poi  sarebbe diventato l’ Oratorio. Il papa Gregorio XIII innalzò questo istituto in Congregazione   nel 1575, alcuni anni  dopo la morte di Filippo Neri avvenuta nel 1595, egli fu proclamato santo, venne chiamato il Buffone di Dio  oltreché il Santo dell’allegria. La chiesa Genovese a lui dedicata  fu edificata per volere di Camillo Pallavicini  su progetto di Pietro Antonio Corradi, finita nel 1676  è sicuramente tra i più importanti esempi del barocco genovese, tra le opere d’arte ivi custodite  spicca un gruppo scultoreo  in marmo di Carrara composto dalla statua di San Filippo  sull’altar maggiore  opera dello scultore carrarese  Domenico Guidi ( 1625-1701 ) posta sopra una gloria d’ angeli  opera scultorea del francese Onorato Pellé (1641 -1718) emblematiche dello stile barocco genovese.

LE PORTE DELLA SALA DORATA

IMG_2631

Nella metà del XVI secolo il ricchissimo Tobia Pallavicino si fece costruire a Genova in Via Nuova      ( ora via Garibaldi) uno stupendo palazzo progettato da Giovanni Battista Castello detto “Il Bergamasco”, che oltre ad essere architetto fu anche pittore (  lui fu l’artefice degli affreschi sul soffitto dell’ingresso ) . Tobia aveva fatto la sua fortuna avendo ottenuto il monopolio del commercio dell’allume di Tolfa che al tempo era una sostanza imprescindibile per la conservazione dei pellami. Nel 1704 il palazzo fu acquistato dalla famiglia Carrega che diede il via ad una serie di lavori di ristrutturazione e d’ampliamento affidando la decorazione a Lorenzo De Ferrari                ( Genova 1680 c. – 1744)  che qui coadiuvato da Diego Carlone per gli stucchi, creò il suo capolavoro “La Galleria Dorata”,  un ambiente raffinato e particolare per la sua unicità, infatti in questo salone gli affreschi del Nostro mediati dall’Eneide di Virgilio, il mobilio e le suppellettili formano un unicum di grazia e bellezza, il top del barocchetto genovese. Ma, purtroppo, le cose belle piacciono e sono oggetto di rapina,  così due splendide porte in specchio e bronzi dorati ed una consolle sono solo copie delle originali che furono portate a Parigi nel XIX secolo e lì ancora oggi custodite.

LA CACCIA AD UN AFFRESCO PERDUTO

b.strozzi

Luigi Centurione, che nel terzo decennio del XVII secolo era proprietario del Palazzo Lomellino di via Garibaldi,  nel 1623 si rivolse a Bernardo Strozzi,  al tempo frate cappuccino che come pittore era grandemente apprezzato da committenti pubblici e privati, per affrescare il primo piano nobile del suo palazzo.  Lo Strozzi  avrebbe dovuto portare a termine il suo lavoro in diciotto mesi ma alla data del 24 novembre 1625 l’ artista, in un documento indirizzato al Senato della Repubblica, si lamenta di non esser stato ancora adeguatamente pagato. Il Centurione di fronte all’impudenza dello Strozzi che aveva osato, diciamo così sputtanarlo, di fronte ai maggiorenti di Genova, accusò il pittore di non aver rispettato il contratto ” né nei tempi,né nel lavoro, né per altra cosa…” così si aprì un procedimento legale che comportò la brusca interruzione del lavoro del pittore ed il Centurione fece in due sale picchettare e scialbare alcuni affreschi che non gli piacquero,  mentre tenne quelli realizzati nella sala centrale. Quando, all’inizio del XVIII secolo, la proprietà del palazzo passò ai Pallavicini, per dare maggior importanza al secondo pino nobile, i nuovi proprietari fecero ampliare lo scalone che lo collegava al primo piano e questa ristrutturazione comportò l’ innalzamento d’un nuovo muro portante che restrinse la sala centrale che fu conseguentemente controsoffittata nascondendo gli affreschi dello Strozzi dei quali si perse la memoria. La storica dell’arte Mary Newcome ed il Merlano nel 2004 ebbero l’ intuizione di far fare un foro nella controsoffittatura e si accorsero che questa aveva preservato dai rigori del tempo gli affreschi del grande pittore genovese ritenuti perduti, riportandoli alla luce. L’iconografia  dell’opera si ispira alla Fede che sbarca nel Nuovo Mondo ( L’ America ) e nei pennacchi, a scene della vita degli indios  tra cui anche alcune di cruento cannibalismo.

b.strozzi 1

IL PALAZZO SQUARCIAFICO

 

palazzo tagliafico (2)

…in piazzetta Squarciafico ( ora Invrea * ) è un palazzo del quondam Ippolito Invrea: in esso dentro nel portico e nella facciata ha dipinte immagini di Dei col Ratto delle Sabine sotto il fregio il già mentovato Ottavio Semino, a cui servirà sempre di gran lodi l’abbaglio o vero o esagerato del celebre Giulio Procaccino il quale,come narra il Soprani,osservando le dette pitture a quei di sua comitiva disse: ” Avete voi si bell’opra di Raffaello e prima d’ora non me la faceste vedere?”. Queste facciate dipinte sono un glorioso reliquato del buon gusto del secolo decimoquinto e ovunque se ne rinvengono fanno un decoro pubblico….è gran danno che invece di rimettersi questo bel modo si vada piuttosto estinguendo e anziché far dipingere nuovamente si imbianchi il dipinto. Così si legge nella Descrizione della città di Genova redatta da un anonimo nel 1818 a proposito del Palazzo Squarciafico che nel XIX secolo era proprietà della famiglia Invrea che poi diede il nome alla piazza. Il palazzo fu edificato nel 1565 su preesistenti palazzi medioevali dei quali ne ingloba una torre.  Singolare il fatto che l’ anonimo scrittore evidenziasse con rammarico l’ atteggiamento dei genovesi più portati a rifare che a restaurare.

 

* nota di chi scrive

C’ERA UNA VOLTA PICCAPIETRA

san camillo 1

La chiesa di Santa Croce e di San Camillo è uno dei pochi edifici di Piccapietra che si è salvato dalla ristrutturazione, alcuni dicono distruzione,  del quartiere avvenuta a partire dagli anni ’50 del secolo scorso. Piccapietra è un antico quartiere genovese il cui toponimo deriva dal fatto che i suoi  abitanti erano prevalentemente scalpellini e tagliapietre. Il nuovo piano regolatore salvò questo tempio dalla distruzione ed oggi circondato come è da palazzate in ferro/cemento e vetro ci sembra una zattera in mezzo ad un oceano ostile. L’autore dell’ edificio fu l’architetto lombardo Carlo Muttone, la facciata presenta due ordini di lesene con capitelli a stucco, sopra il portone due angeli reggono lo stemma dell’ordine dei Camilliani. Il fondatore di quest’ordine Camillo de Lellis nato nel 1550 a Bucchianico, dopo aver fatto lo scavezzacollo in gioventù, a 25 anni si pentì della sua vita dissoluta e si fece frate cappuccino fondando la Congregazione dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi i cosiddetti Camilliani per l’appunto, nel 1594 arrivò a Genova da Milano e con l’ aiuto del nobile Centurione  fece costruire un primo tempio poi demolito  vicino a quello attuale che fu edificato nel 1671. La titolazione alla “Santa Croce” ricorda il ritrovamento della croce su cui fu morì  Cristo da parte di Elena madre dell’imperatore Costantino nel 326 d.C.

MARC’ANTONIO FRANCESCHINI ed i FILIPPINI

IMG_2950

Il pittore Marc’Antonio Franceschini ( Bologna 1648 – 1729 ) dopo esser stato allievo di Giovanni maria Galli, divenne uno dei collaboratori più apprezzati di Carlo Cignani, sotto la direzione di questo insigne maestro il Nostro dipinse ad olio ed a fresco molte opere a Bologna, Modena, Piacenza ed a Reggio Emilia, riscuotendo fama e consensi. Nel 1714 si trasferì a Genova con suo figlio Giacomo, Giacomo Boni ed il quadraturista Mario Hoffner perchè i “Filippini”  gli diedero l’ incarico di affrescare la volta del tempio dedicato a San Filippo Neri in Via Lomellini, inoltre il Franceschini avrebbe dovuto dipingere otto tele che avrebbero dovuto illustrare la vita del santo,  tele che il Nostro realizzò a tempera, per completare il lavoro impiegò sei mesi, oltre all’affresco della volta che  celebra la Gloria di San Filippo Neri, sono suoi anche i medaglioni laterali monocromi ed i quadri sotto il cornicione che illustrano alcuni episodi della vita del santo.

QUARTO DEI MILLE

quarto

Nel 1915,  a Quarto ( Genova ) sul capo di fronte allo scoglio da cui si imbarcarono nel 1860 i mille soldati volontari al seguito di Giuseppe Garibaldi diretti a Marsala, fu eretto un gruppo monumentale in bronzo realizzato dallo scultore Eugenio Baroni ( Taranto 1880 – Genova 1935 ) per ricordare ai posteri l’evento. Il monumento fu inaugurato alla presenza delle massime autorità cittadine  e di Gabriele D’Annunzio che tenne un discorso commemorativo. Il Baroni, allievo di Scanzi all’ Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, fu influenzato nella sua arte da Rodin e dal simbolismo di Leonardo Bistolfi per giungere poi ad uno stile impregnato d’un espressionismo molto personale. Non molti anni or sono, i nomi di quei garibaldini che per puri ideali accettarono di sacrificarsi per una patria che ancora non esisteva, sono stati impressi in una stele bronzea inchiavardata sugli scogli antistanti al mare così come aveva auspicato Cesare Abba.  20190303_162144

C’ERA UNA VOLTA IL DIO PENN

dio Penn

Borzonasca è un paesino che fa parte della città metropolitana di Genova, è collocato nell’alta valle Sturla, lì dove il torrente omonimo confluisce nel torrente Penna, confina con il parco naturale dell’Aveto, recentemente assunto all’onore delle cronache per i branchi di cavalli selvaggi che vi vivono. Borzonasca fu dominio dei conti Fieschi di Lavagna che qui costruirono roccaforti e castelli, perché questa zona era strategica essendo un crocevia tra la costa ed il retroterra. Qui, presso la frazione di Borzone, a metà strada tra l’abbazia di Sant’Andrea ed il paese di Borzonasca, c’è una incisione rupestre tra le più grandi di Italia, un’incisione che lascia senza fiato. Una leggenda locale afferma che i monaci della vicina abbazia, una volta all’anno, si recavano sotto questa rupe a pregare, perché in questo viso scolpito nella roccia riconoscevano le sembianze del Cristo. L’incisione rupestre fu scoperta in data relativamente recente,  all’inizio si pensò che fossero stati i monaci della vicina abbazia a scolpire la roccia, ma quando gli studiosi fecero un esame accurato della rupe, con immenso stupore, si resero conto che questo enorme manufatto risaliva a diverse migliaia d’anni fa, probabilmente all’epoca paleolitica, quindi molto prima che i romani conquistassero la Liguria, quando le popolazioni celtiche che qui vivevano adoravano il dio delle montagne chiamato Penn, ( il monte Penna era ritenuto la sua casa) e prima che questo mito fosse sostituito da quello di Giove Pennino. Un’altra cosa mirabolante è che al verso di questa roccia pare sia scolpito un altro viso, come fosse un Giano bifronte, si sarebbe appurato ciò mediante l’uso di un drone, ma questo onestamente non l’ho appurato di persona ma mi è stato detto da un personaggio incontrato in loco. 

LA RIVOLUZIONE DI CARAVAGGIO

bernardo strozzi

A Genova è stata allestita una splendida mostra nel palazzo della Meridiana dal nome: “Caravaggio e i Genovesi, Committenti, collezionisti, pittori” curata da Anna Orlando, una storica dell’arte che, oltre ad essere una studiosa stimata a livello internazionale, è anche una profonda conoscitrice del patrimonio collezionistico privato. La mostra, pur non essendo grande, ( le opere esposte sono una trentina) è interessantissima perché mostra alcuni dipinti inediti  di collezione privata per la prima volta esposti al pubblico.  La Orlando, partendo dal presupposto che il patriziato genovese fu tra i principali committenti del grande pittore lombardo, asserisce che: ” La rivoluzione di Caravaggio è fatta di luce, di realismo, di teatralità e di enfasi” e questo potente messaggio pittorico non poteva essere ignorato sia dai pittori che lo conobbero personalmente nel suo soggiorno romano, sia da quelli che videro le sue opere straordinarie nelle case dei Giustiniani, dei Doria e degli Imperiale. Caravaggio soggiornò a Genova nel 1605 ed anche se la sua presenza in città fu di breve durata, la poetica caravaggesca ed il suo modo di far pittura conquistarono senza se e senza ma quella parte di collezionisti aperti ad una nuova visione che non fosse quella del tradizionale tardo manierismo imperante a Genova all’inizio del XVII secolo, così vicino a ” l’Ecce Homo”  attribuito al Caravaggio,  troviamo opere dei liguri Strozzi, Fiasella, Assereto e tanti altri che, per la bellezza dei dipinti esposti, vi lasceranno senza fiato. Nella foto un olio su tela di Bernardo Strozzi detto il Cappuccino o il prete genovese ( Genova 1581 – Venezia 1644  ) di proprietà del Museo dell’ Accademia Ligustica di Belle Arti in mostra al Palazzo della Meridiana.

SANTA CATERINA ED IL MIRACOLO DEL SUO CORPO INCORROTTO

IMG_2788

Forse non tutti sanno che nelle chiese genovesi sono conservati i corpi incorrotti di un beato e di tre santi, uno di questi appartiene a Santa Caterina da Genova. Caterina nacque nel 1447 a Genova da una delle più nobili famiglie della Repubblica “I Fieschi”, pur avendo sin da giovane espresso il desiderio di ritirarsi in convento, il padre la diede in sposa appena diciassettenne a Giuliano Adorno a cui non diede eredi. Ad un certo punto della sua esistenza ebbe una visione in cui Cristo la esortava a cambiare il suo stile di vita e da allora Caterina si dedicò anima e corpo alla cura ed all’assistenza dei malati sino alla sua morte avvenuta nel 1510. Caterinetta, così veniva chiamata dai suoi conoscenti, venne messa in una cassa di legno nella chiesa dell’ospedale di Pammatone e murata in un punto dove era malauguratamente stata posta una condotta d’ acqua che perdeva e che alla fine fece tanto gonfiare il legno da scoperchiare la cassa, singolare è la descrizione di come fu rinvenuto il corpo dopo diciotto mesi dalla morte: la cassa di legno era marcita ed i vermi avevano divorato i vestiti e le tele che fasciavano il corpo di Caterina  ma questo risultava incorrotto e con la carne così palpabile che in toccarla pareva carne disseccata…. Dopo la sua canonizzazione nel 1738 il corpo di Santa Caterina fu posto in un’ urna di cristallo e bronzo sorretto da un complesso monumentale in marmo realizzato da Francesco Maria  Schiaffino visibile nella chiesa della S.S.Annunziata di Portoria.

ANSALDO PRECURSORE DEL BAROCCO

ansaldo_513PB_salomèoffreaerodiadelatestadelbattista

Andrea Ansaldo nato a Voltri (GE) nel 1584 fu definito dal Soprani “pittore prospettico” per la sua grande abilità di costruire lo spazio sia nelle sue opere da cavalletto, sia nella pittura a fresco, suo primo maestro fu Orazio Cambiaso, figlio del grande Luca, del quale si sa poco e niente, poi vengono le influenze dei toscani che passarono da Genova come il Lomi  ed il Passignano ed anche i  lombardi, che fecero grande la pittura milanese del primo ‘600, quali il Cerano, il Morazzone ed il Procaccini ed infine i grandi maestri fiamminghi che, attratti dal mecenatismo  delle famiglie genovesi, soggiornarono a periodi alterni nella nostra città. il Nostro è il pittore che meglio esprime il passaggio tra la vecchia scuola e le nuove tendenze che porteranno alla rivoluzione barocca.  All’inizio Ansaldo privilegia la centralità della figura,  come nel Sant’ Erasmo di Voltri, poi lo schema iconografico si fa più libero ed al grande interesse per l’intensità del colore e per le preziosità delle vesti e dei gioielli, si unisce una poetica in cui è presente un forte contrasto chiaroscurale. Andrea Ansaldo fu l’ artefice degli affreschi della cupola della chiesa dell’Annunziata del Vastato, e guardando quest’opera magistrale si può affermare senza ombra di dubbio che questo maestro realizzò la prima grandiosa affermazione dello stile barocco a Genova. Nella foto la Salomè custodita nel museo di Palazzo Bianco di Via Garibaldi a Genova. A Cadice in Spagna, nella cattedrale vecchia,  si trova una  pala d’ altare a lui attribuita in cui è rappresentato un San Sebastiano, qui i contrasti luce ombra hanno il sopravvento sul colore, la scena è scarna, l’ attenzione del fruitore è concentrata sul martire che è l’ unico protagonista della scena e  l’ angelo dipinto in secondo piano non fa che esaltarne la figura.  L’atto di morte del pittore redatto nel 1638,  che si trova nella chiesa di Santa Maria Maddalena di Genova lo definisce: ” Pictor egregius et magnae existimationis” .

Cadice A.Ansaldo

UNA CONVERSIONE CAPOLAVORO

valerio castello pal.spinola

Nel centro storico di Genova, a metà di via san Luca, vi è una piazzetta nascosta dove è uno dei più bei palazzi della città : il Palazzo Spinola di piazza Pellicceria sede della Galleria Nazionale. Oggi 25 Gennaio si festeggia la conversione di San Paolo e per me è occasione per presentarvi questo bel dipinto conservato in questa prestigiosa casa museo, si tratta d’ una grande pala d’altare realizzata dal pittore Valerio Castello                ( Genova 1624 – 1659 ) negli anni 40 del ‘600 per la chiesa di San Paolo di Prè oggi non più esistente, nel 1797 il grande dipinto fu portato nella chiesa di Santo Stefano dove purtroppo fu danneggiato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, ciononostante, il genio di questo artista, prematuramente stroncato dal’epidemia di peste che a metà del secolo XVII  decimò la popolazione di Genova e uccise gran parte dei pittori protagonisti della svolta artistica generata dalla influenza che ebbe Rubens ed i pittori fiamminghi sugli artisti locali, il genio  del Castello dicevo affiora prepotentemente in questo quadro dove è raffigurata la conversione di Paolo sulla via di Damasco,   un’iconografia ed un modulo compositivo in parte ispirato dalle opere del grande maestro fiammingo, specialmente dal ritratto equestre di Gio Carlo Doria dal quale il Nostro ha mediato l’energica postura del destriero.

LA MADONNA DEI CAMALLI

madonna dei camalli

A Genova, nel’area del Porto Antico sul lato mare della palazzina detta del Millo, si trova un bassorilievo in marmo bianco di Carrara che raffigura una Madonnina con in braccio Gesù bambino insieme a San Giovanni Battista protettore della città e Sant’Erasmo protettore dei naviganti e dei pescatori. L’opera databile al XVIII secolo è protetta da una semplice teca in legno provvista di vetro sorretta da una mensola  decorata con marmi policromi. La Madonna è rappresentata con lo scettro in una mano,  ricordiamo che dal 1637  la Madre di Dio fu eletta regina della nostra città e da quel momento fu rappresentata con le insegne regali: scettro e corona imperiale, in alto, spuntano tra le nuvole cherubini ed angeli che le fanno da corona. Prima della ristrutturazione del porto antico realizzata su progetto di Renzo Piano, quest’area anticamente era adibita al carico ed allo scarico delle merci trasportate dalle navi e  questa Madonnina era chiamata la Madonna dei “camalli”,  camallo è una  parola che deriva dal’arabo ” Hammal” che significa facchino o scaricatore che dir si voglia ed i camalli avevano la consuetudine di passare innanzi a questa Madonnina, di segnarsi e invocare la sua protezione prima di iniziare il loro lavoro.

Santa Maria di Castello una chiesa museo

img_2898

A Genova nel medioevo c’erano otto “Compagne” ognuna delle quali faceva riferimento ad una zona della città. La Compagna era una specie di sodalizio  nel quale i nobili ed i ricchi mercanti abitanti nella stessa zona  che avevano interessi in comune, si organizzavano dandosi un capo detto Console e  un vice Console  ai quali veniva conferita la potestà di governare, comandare le imprese e giudicare le vertenze tra gli associati, concludendo avevano funzioni amministrative, giudiziarie  e militari ( potevano armare galee). Una delle più antiche Compagne era quella di ” Castello” che risiedeva nell’omonimo sestiere. Il nome di Castello deriva da Castrum poiché su questa collina nacque il primo  insediamento fortificato della città. La chiesa di Santa Maria di Castello fu il primo tempio mariano di Genova ed una delle più antiche chiese della città, si hanno notizie della chiesa sin dal 658 dopo Cristo. Ricostruita nel XI secolo e poi nel XIII sembra che, per un lungo periodo di tempo, sia stata adibita come cattedrale estiva, perché essendo ubicata nel borgo fortificato, era più facile da difendere dalle incursioni dei pirati barbareschi. Al’ interno della chiesa vi sono innumerevoli opere d’ arte, un vero e proprio museo della pittura e della scultura medioevale, la più famosa è quella del Crocifisso barbuto che si dice miracoloso, secondo la tradizione sarebbe stato portato a Genova dalla Terra Santa al tempo delle crociate, conservato in primis nel convento di San Silvestro ed in secundis, dopo che  si verificò un miracolo, nella chiesa di Santa Maria di Castello, la cosa singolare è che il vero crocifisso ligneo  fu restaurato, privato della barba posticcia e dei capelli ed  esposto nella navata centrale della chiesa, ma nessuno lo considera, tutti vanno a pregare davanti alla  copia  del Cristo realizzata nel secolo scorso e posta nella cappella dove era custodito l’ originale. Sul prospetto della  chiesa affacciato sul mare, originariamente era dipinta a fresco una grande immagine di questo Cristo in croce e sino al’inizio del XIX secolo ogni nave da guerra che entrava o usciva dal porto lo salutava con una salva di cannone.

copia cristo moroCopia del crocifisso miracoloso in legno intagliato e scolpito dipinto in policromia realizzato  il secolo scorso e posizionata dove era l’ originale, nella cappella detta del Crocifisso.

170 TONNELLATE DI MAGNIFICENZA

 

 

20190106_150752

Il monumento dedicato a Raffaele De Ferrari finalmente ha ritrovato una collocazione a Genova, non senza aver suscitato un mare di polemiche, ma si sa che per i genovesi il “Mugugno” è un diritto irrinunciabile. Il gruppo scultoreo è stato posto in fondo a via Corsica nel quartiere di Carignano antistante alla piazza dedicata a San Francesco di Assisi. Originariamente il monumento era sito in Piazza Principe vicino alla casa-reggia di Andrea Doria, fu smontato e collocato in un deposito a cielo aperto in Val Polcevera, per molti anni in balia degli agenti atmosferici ed ai ladri di rame che ne fecero scempio, per consentire i lavori della metropolitana genovese, credo la più breve tratta del mondo, la più costosa e per la quale fu impiegato più tempo che per realizzare il tunnel sotto la Manica. Finalmente, anche grazie alle perorazioni del’ associazione ” A Compagna de Zena” fu restaurato e ricollocato al’onore del mondo. Il gruppo scultoreo fu dedicato al De Ferrari, uno dei più grandi mecenati che la nostra città abbia mai avuto, dopo che egli donò alla città venti milione di lire oro per la costruzione della nuova diga foranea. Per realizzare il monumento fu incaricato nel 1896 l’artista Giulio Monteverde   ( Bistagno 1837-Roma 1917 ) uno degli scultori più rinomati del suo tempo, che avrebbe dovuto rappresentare un’allegoria. Il Monteverde ideò un gruppo scultoreo in cui la protagonista è la Magnificenza,  rappresentata come una matrona coronata e  rivestita da un’ampia  tunica accompagnata dal suo genio alato completamente nudo, cosa che al tempo destò molta ilarità tanto da ispirare un’ opera al poeta Rapallo dove egli ironizzava a proposito del sedere nudo del genio, co-protagonista il dio Mercurio che oltre ad essere messaggero degli dei fu anche dio dei mercanti, del commercio (il nostro Raffaele faceva il banchiere di professione) e, aggiungo sommessamente, dei ladri. La effige del De Ferrari è rappresentata in un medaglione che è posto sul basamento in granito della statua, quasi a voler avere un atteggiamento di basso profilo in un’opera alta 13 metri e pesante 170 tonnellate.

PASQUALE NAVONE EREDE DELLA TRADIZIONE MARAGLIANESCA

pasquale navone chiesa di san Nicola

Pasquale Navone nacque a Genova nel 1746 nel sestiere di San Vincenzo, si ipotizza che la sua formazione artistica quale scultore su legno sia avvenuta in una bottega d’ un allievo del Maragliano forse Pietro Galleano. Anche se nacque sette anni dopo la morte del Maragliano, fu ritenuto da molti suo discepolo per le affinità stilistiche con le quali realizzava le sue sculture che senza dubbio richiamavano prepotentemente lo stile del grande Maestro. Nonostante che il Nostro fosse un convinto sostenitore dello stile neoclassico che lentamente stava prendendo piede a Genova, la sua bottega intagliò senza soluzione di continuità figure presepiali tardo barocche alla maniera del Maragliano sino alla sua morte che avvenne all’età di soli 45 anni. Nella foto sopra è raffigurato un gruppo scultoreo in legno intagliato e scolpito dipinto in policromia che rappresenta San Nicolò  innanzi alla Madonna con ai suoi piedi le anime purganti   collocato in un altare della chiesa di San Nicola da Tolentino  che si trova  nella circonvallazione a monte di Genova, mentre sotto è rappresentato un particolare dello splendido presepe allestito nel museo dell’ Accademia Ligustica di Genova realizzato con figure presepiali del Navone, eccezionali per il loro stato di conservazione, sia delle statuine lignee, sia degli abiti e degli ornamenti con cui sono rivestite, l’ allestimento scenografico è opera di Giulio Sommariva e degli alunni dell’Accademia, le statuine provengono dal museo Luxoro di  Capolungo ( Nervi)  per molti genovesi assolutamente sconosciuto.

IMG_2823

 

I MACACHI DI ALBISOLA

IMG_2774

Nei presepi della Liguria di ponente sono molto diffusi i “macachi” di Albisola. I macachi originariamente erano prodotti quasi esclusivamente da popolane,  che dovendo occuparsi della prole o di vecchi famigliari  erano gioco forza escluse dal lavoro nelle fabbriche delle ceramiche albisolesi. Le statuine prodotte da queste artiste inconsapevoli vennero chiamate così in senso dispregiativo, perché le sembianze delle statuine erano più simili a quelle delle scimmie che agli esseri umani, ma i macachi costituirono comunque una produzione originale, che non ha uguali in nessuna tipologia presepiale fatto eccezione ai “Santon” provenzali che vengono prodotti ancor oggi e con i quali potrebbero avere avuto una origine comune.  Macaco , che in dialetto significa uomo da poco o sciocco, come detto sopra, fu un termine affibbiato a queste statuine dai ceramisti albisolesi d’inizio ‘900 per sminuirne il valore artistico, in realtà queste statuine popolari godettero di grande diffusione ed ancor oggi sono molto richieste dal mercato antiquario. Concludendo i macachi di Albisola hanno resistito nel tempo, sino a dedicare a queste artiste popolari un monumento realizzato dallo scultore  Umberto Piombino        ( Genova 1920 – 1995) la cui copia in bronzo è collocata nella piazza del comune di Albisola Marina.

Nella foto un presepe con i macachi allestito nella mostra ” Presepi di Liguria, tradizioni,arte,devozioni, curiosità.” nel Museo dei beni culturali Cappuccini di Genova

“Bernardo Strozzi prima e dopo” cappuccino per bisogno, prete per opportunità

Bernardo Strozzi, Vergine addolorata

Bernardo Strozzi ( Genova 1581- Venezia 1644 ), uno dei più grandi pittori che abbia avuto i natali nella nostra città, si fece cappuccino nel convento di San Barnaba perché alla fine del XVI secolo se avevi la sfortuna di nascere in una famiglia senza né arte né parte, per sbarcare il lunario o ti facevi soldato, avendone il fisico, o ti ritiravi in convento, così il Nostro prese i voti, evidentemente senza aver sentito la ” Chiamata ” e cominciò a dipingere soggetti sacri su ordine dei suoi superiori per molti conventi e per  chiese della città,  per la verità senza riscuotere grossi apprezzamenti, sino a che fu scoperto da un mercante d’ arte che di nome faceva Giobatta Riviera che credette in lui e lo convinse ad abbandonare il convento adducendo come scusa quella di dover accudire alla vecchia madre vedova ed alla sorella nubile; grazie all’aiuto del Padre Generale, del quale Bernardo aveva dipinto uno stupefacente ritratto a memoria, il Nostro fu prosciolto dai voti monastici ma sino a che la madre non fosse passata a miglior vita e la sorella si fosse sposata, dopodiché avrebbe dovuto rientrare in convento. Bernardo si stabilì con la famiglia a Campi e lì  ritornò a studiare pittura, con la sorella che gli faceva da modella,  ma tutte le cose belle ahimè son destinare a finire, così morta la madre e la sorella andata sposa, i Cappuccini gli ordinarono di ritornare in convento, Bernardo cercò con mille espedienti di ritardare il suo rientro sino a che dai suoi superiori  fu fatto arrestare e venne trascinato in convento senza tanti complimenti. A Santa Barnaba il nostro povero pittore fu rinchiuso in una vera e propria cella, in isolamento e con il divieto di ricevere visite da parenti, i quali cercarono di farlo evadere, ma il tentativo fallì miseramente e come risultato lo Strozzi fu trasferito nel monastero di Monterosso, (una specie di Alcatraz dell’ epoca)  e rinchiuso in una segreta che da lui fu dipinta. Passarono tre lunghi anni, dopodiché gli fecero rinnovare i voti, lui si mostrò pentito dei suoi trascorsi e fu così convincente che, avendo riconquistato la fiducia dei suoi superiori, gli fu concesso d’ andare a trovare la sorella, raggiunta la casa della sorella si tagliò la barba, si vestì con una tonaca da prete, raggiunse il porto e s’ imbarcò su un vascello che faceva rotta per Venezia, dove personaggi importanti che ammiravano il suo modo di far pittura lo protessero e lo misero al sicuro dalla vendetta dei Cappuccini e della città di Genova che perse così uno degli artisti più grandi del periodo barocco. Emblematico poi fu il suo modo di dipingere che diventò più libero e gli fece raggiungere l’ apice della sua bravura. “Strozzi prima e dopo” si può notare in due dipinti conservati  a Genova nella Galleria Nazionale di Palazzo Spinola in Piazza Pellicceria” La Vergine addolorata” realizzata nel periodo genovese e ” L’ allegoria della Pittura” realizzata nel periodo veneziano.

strozzi, allegoria pittura026

IL PRESEPE GENOVESE DEL SETTECENTO

cultural hub

Fare una ricostruzione storicamente accettabile d’ un presepe genovese del settecento è un’impresa difficile poiché, data la fragilità dei materiali usati nel XVIII secolo per realizzare le scenografie in cui erano poste le statue presepiali, a noi “moderni” è rimasto quasi niente, sappiamo però che in buona sostanza più che ricostruire paesaggi esotici in cui porre la  stalla dove nacque Nostro Signore, si preferì ricostruire con cartoni, legno, paglia, sughero e muschio i paesini che circondavano la città di Genova.  Le figure,  in legno intagliato e scolpito dipinto in policromia, riproponevano tipologie di personaggi facilmente riscontrabili nel quotidiano, così il pastore con il suo gregge, il contadino con il bue, il vecchio claudicante e mendico, le lavandaie, le comari  che discorrono tra loro o  gli artigiani che attendono ai loro mestieri. Una convinzione molto consolidata ma priva di fondamento, attribuisce al grande scultore su legno Anton Maria Maragliano ( Genova 1664-1739) la paternità di molte sculture presepiali pervenuteci, ma non è mai stato documentato un impegno diretto di questo artista in tal senso, è però certamente possibile ipotizzare che nella sua bottega i suoi allievi abbiano prodotto statuine da presepio, produzione che con la morte del maestro ed il venire meno delle grandi committenze per la costruzione delle imponenti casse processionali, fu certamente indirizzata alla costruzione di sculture presepiali e di devozione domestica. Non il Maragliano ma il più prolifico creatore di figure presepiali fu Pasquale Navone ( Genova 1746 – 1791) un artista la cui poetica fu molto vicina a quella del Maragliano, tanto che, pur non avendo avuto a possibilità di conoscere il maestro che alla sua nascita era già morto da sette anni, fu per molto tempo considerato un suo discepolo e molte delle sue sculture migliori furono dai posteri attribuite al caposcuola come quella mostrata nella foto  presa  dalla mostra ” Presepi di Liguria, tradizione, arte, devozione, curiosità…” nel museo dei beni  culturali  Cappuccini di Genova.

IMG_2782

In alto presepe dell’ Istituto delle Figlie di San Giuseppe di Genova composto da figurine della scuola maraglianesca.

UN ‘EDICOLA BAROCCA IN UN MURO ROMANICO

edicola barocca via san donato

La chiesa di San Donato, edificata nell’omonima via probabilmente sulle rovine d’un altro tempio d’epoca longobarda, è tra le più belle del centro storico di Genova. La chiesa che si riconosce anche da lontano per la sua originale torre nolare ottogonale, venne costruita nel cuore della cinta muraria carolingia risalente al IX secolo lungo quel “carrubeus rectus usque in Ponticellum” cioè nel vicolo dritto che arriva sino alla porta di Sant’Andrea detta “Soprana” che consentiva l’accesso alla città di Genova da levante. Superando la piazzetta san Donato, lungo la fiancata sinistra del tempio, là dove inizia lo stradone Sant’Agostino che porta in piazza Sarzano, si scorge, incastonata come una gemma nell’antico muro romanico, una splendida edicola.  L’ edicola fu realizzata con una scenografia tipicamente secentesca, sormontata dallo Spirito Santo in forma di colomba,  con angeli che lateralmente sorreggono un panneggio, quasi come un sipario che s’ apre su un statua della Madonna con tra le braccia il Bambino Gesù, opera dello scultore genovese Tommaso Orsolino ( 1587 – 1675 ). La bella edicola è visibile anche imboccando lo stradone Sant’ Agostino da Piazza Sarzano. La base mistilinea è tipica dello stile barocco come anche il cartiglio sottostante impreziosito da volute e rocaille con al centro uno stemma sormontato da due angioletti che si guardano. Il contrasto tra la semplicità dello stile romanico e l’ ampollosità del barocco è un po’ stridente, non so se rendo l’idea, è un po’ come vedere un’auto panda carrozzata maserati, però alla fine lo sposalizio tra i due stili non risulta sgradevole.

MARAGLIANO SCENOGRAFO DI DIO

IMG_2745

Anton Maria Maragliano, nato a Genova nel 1664, è oggi  protagonista d’ una mostra bellissima allestita nel teatro del Falcone di Palazzo Reale. Questo artista che al tempo si rifiutò d’ entrare nella corporazione dei bancalari ( mobilieri ) proprio perché “artista”, nella sua maturità assunse il ruolo d’ innovatore della tradizionale scultura lignea locale impregnandola di quella poetica barocca che a Genova ebbe grandi interpreti  nelle figure di Filippo Parodi e del Puget per la scultura  e dagli artisti di “Casa Piola”per la pittura. Il Nostro, come era d’ uso a quei tempi, fu discepolo in primis dell’ Arata e poi per sei lunghi anni nella bottega di Giobatta Agnesi mobiliere e scultore su legno, anni in cui,  come del resto tutti gli apprendisti, non venne pagato se non con il vitto, finalmente all’ inizio del XVIII secolo si aprì una bottega sua in via Giulia ( attuale via XX Settembre) che presto diventò famosa in tutto il genovesato per l’ eccellenza con la quale realizzò i suoi lavori, fossero questi Crocifissi o casse processionali. Grazie all’ amicizia che lo legò al pittore Domenico Piola, che talvolta gli fornì disegni e spunti progettuali e più tardi a Gregorio De Ferrari, egli riusci a dare tridimensionalità ai lavori pioleschi, generando  un pàthos nei confronti dei fruitori  delle sue opere  che qualche volta sconfinò in una vera e propria sindrome di Stendhal, per esempio il gruppo scultoreo della deposizione di Cristo, illustrato nella foto soprastante in un particolare, appartenente alla chiesa di Nostra Signora della Visitazione di Genova,  mi ha tanto coinvolto emotivamente da provare dolore, non ero più il semplice visitatore d’ una mostra ma anch’io protagonista in questa scena tragica insieme a  Giovanni d’Arimatea, Nicodemo ed agli altri personaggi rappresentati in questa incredibile composizione.

 

 

 

 

 

STORIA D’UNA FONTANA ERRANTE

piazza colombo

A Genova la fontana posta al centro di Piazza Colombo venne progettata nel 1643 da Pietro Antonio e da Ottavio Corradi, la grande vasca  inferiore  è modanata a segmenti e curve ricorrenti  dalla quale mascheroni  gettano acqua in contenitori sagomati a demì lune  che anticamente servivano per abbeverare i cavalli  che trasportavano su carri merci e derrate alimentari in porto, sopra di questa, quattro delfini legati per la coda dalle cui nari zampilla l’ acqua,  sostengono quattro sirene opera dello scultore Giobatta Orsolino, all’ apice  è una coppa marmorea abbellita da una Fama alata che suona un nicchio opera dello scultore Jacopo Garvo che la realizzò nel 1673.  Come molti monumenti genovesi anche questo antico barchile ( fontana) aveva una diversa collocazione, la fontana si trovava nella zona di Ponte Reale vicino a Palazzo San Giorgio.  Nell’atrio d’ una casa del quartiere di Carignano,  in via Ilva, vi è un affresco realizzato presumibilmente negli anni 60 del secolo scorso preso da un’incisione ottocentesca,  che ben rende l’ idea di come dovesse apparire questa fontana nella sua collocazione originale.

fontana del porto antico orsolino

“SIBERIA” UNA PORTA INDIMENTICABILE

porta siberia bis

L’antica porta del Molo detta anche “Porta Siberia” originariamente si chiamava “Porta Cibaria” perché attraverso questo varco transitavano le derrate alimentari che venivano sbarcate dai vascelli e quelle in partenza per altri lidi. La porta, superlativo esempio d’architettura militare, fu ideata nel momento di passaggio dalle armi da lancio a quelle da fuoco, fu pensata con la forma d’una tenaglia e faceva parte della cerchia di mura del XVI secolo progettata dall’architetto perugino Galeazzo Alessi. Oggi il complesso è sede del museo Emanuele Luzzati per il quale, a mio avviso, si poteva trovare un sito più consono, mentre gli interni della poderosa fortificazione in cui è inserita la porta, potevano essere mostrati come dovevano apparire nel ‘500, con cannoni, colubrine e magari figuranti vestiti come soldati dell’ epoca summenzionata, che sicuramente avrebbero attirato i turisti in visita al porto antico come mosche sul miele.  Con il passare dei  secoli quest’area è stata letteralmente stravolta, soprattutto con gli interramenti che hanno fatto arretrare il mare d’un centinaio di metri, se siete curiosi di vedere come doveva apparire la Porta del Molo in origine, ebbene a Genova in via Ilva vi è un affresco nell’atrio d’un palazzo in cui un anonimo  artista dipinse nella seconda metà del secolo scorso la porta Siberia da una incisione del XIX secolo.

porta siberia

UN MONUMENTO PER UN CHIRURGO

g.navone bis

Nel Cimitero Monumentale di Staglieno (GE), nel settore contraddistinto dalla lettera A,  al n. 28 troviamo il monumento funebre eretto in memoria del chirurgo Luigi Pastorini. L’ artefice di questo gruppo marmoreo fu Giuseppe Navone ( Genova 1855 – 1917 ) che dalla scuola scultorea funebre  del” Realismo Borghese ” cioè a dire una visione molto realistica del defunto, approdò nella sua maturità artistica ad una visione più ” Simbolista”. I Simbolisti avevano come obiettivo quello di cogliere la spiritualità di tutto ciò che esiste nella realtà ma non è  materialmente visibile, praticamente la rappresentazione di idee per mezzo di forme come per esempio in questo monumento funebre dove il Nostro concepì nel marmo una complessa allegoria: due figure femminili alate, che rappresentano rispettivamente la personificazione della Medicina e della Magnificenza, distribuiscono ricchezze  ad una suora che stringe tra le sue braccia un bambino malato. La suora cappellona è emblematica dell’ assistenza ai  bisognosi e dei diseredati, il busto del defunto è posizionato all’ apice del monumento per attestarne l’ importanza ed il valore.

LA MADONNA DEI POVERI E DEI RICCHI

pierre puget

Nella Genova della metà del XVII secolo i poveri erano un vero e proprio esercito. Miserabili, diseredati, invalidi reduci dalle guerre che molto spesso imperversavano sul suolo italico, homeless e morti di fame ( intesi non in senso figurato ) invadevano le vie e le piazze della Serenissima Repubblica, tanto da essere un vero e proprio problema per l’ ordine pubblico. Nel 1652 il patrizio genovese Emanuele Brignole, su mandato del Senato di Genova,  cercò un sito dove edificare un ricovero che potesse accogliere questa turba di infelici e lo trovò sopra una collina dove scorreva ( ed ancora scorre coperto ) il rio Carbonara. Questo ricovero, oggi conosciuto come Albergo dei Poveri, fu pensato come un enorme complesso a croce latina il cui progetto si ispirò ad ospedali già esistenti a Parigi ed a Milano. I lavori per l’ imponente costruzione si interruppero dopo soli quattro anni, perché Genova fu colpita da una terribile pestilenza che decimò la popolazione, solo per volontà del Brignole, i lavori per la costruzione furono ripresi, ma si conclusero moltissimi anni dopo quando il Brignole era già passato a miglior vita facendosi seppellire nel complesso sotto una lastra di marmo senza nome, questo perché fu accusato d’ aver sperperato le “palanche” della Repubblica più per sua maggior gloria che per fare beneficenza. Obiettivamente in questa costruzione “Ospitaliera” fu adottata una dimensione gigantesca propria del periodo “Barocco” dove tutto doveva stupire per la sua magnificenza e grandiosità tese a testimoniare la gloria di Dio ma anche, lo dico sommessamente, la ricchezza e la potenza dei committenti, così in questo complesso possiamo ammirare sull’altar maggiore della sua chiesa dedicata all’ Immacolata Concezione di Maria, un gruppo statuario in marmo di Carrara realizzato nel 1666 dal celeberrimo scultore marsigliese Pierre Puget ( 1662-1671 ), mentre fuori dalla chiesa possiamo vedere i lunghi corridoi dove venivano posti i letti che dovevano accogliere i poveri, corridoi  dagli alti soffitti nei quali nei mesi invernali ci doveva essere un freddo terrificante che non poteva certamente essere lenito dalla vista dei busti marmorei dei benefattori  del complesso esposti in bell’ordine nelle loro nicchie.

IMG_2659

PRIARUGGIA

IMG_2676

Chiuso tra “Capo San Rocco” e il “Letto del pescecane”, a poca distanza dal monumento di Quarto che ricorda l’ impresa de “I Mille di Garibaldi” c’è un fazzoletto di spiaggia sassosa che prende il nome, come del resto tutto il quartiere alle sue spalle, da uno scoglio di pietra rossa. Priaruggia  nacque come scalo in quest’ansa di mare riparata che consentiva alle piccole imbarcazioni un approdo sicuro e divenne un borgo di pescatori,   i genovesi venivano qui a fare i bagni nelle acque cristalline della piccola insenatura dove sfocia il rio omonimo, le case anticamente erano state costruite praticamente sulla spiaggia, poi le distruzioni dovute ai bombardamenti dell’ ultimo conflitto mondiale le ridussero in macerie ed ora di quelle case non è rimasta memoria se non nelle cartoline dell’ inizio del secolo scorso. Nel 2008 una terribile tempesta spaccò lo scoglio che ha dato il nome a questo luogo lasciandoci tutti attoniti e un po’ più soli.

IMG_2673

barche della Società dei Pescatori Sportivi di Priaruggia

UNA NOBILE ACCADEMIA

accademia ligustica

A Genova l’ Accademia Ligustica di Belle Arti fu fondata nel 1751 da Gio Francesco Doria insieme ad un gruppo di artisti e di aristocratici genovesi, il palazzo che la ospita in Piazza De Ferrari fu progettato da Carlo Barabino e sorge dove anticamente era il convento dei frati Domenicani sede della Santa Inquisizione, La chiesa ed il convento furono distrutti all’inizio del XIX secolo ed al loro posto fu costruito un Teatro ed il palazzo dell’Accademia, anche la piazza cambiò  nome da Piazza San Domenico a Piazza De Ferrari quasi a volerne cancellare la memoria. L’ Accademia è  ed è stata una scuola di formazione artistica con al suo interno un interessante museo che custodisce soprattutto opere di pittori liguri che hanno lasciato un’orma profonda nel panorama artistico italiano.

andrea ansaldo

Compianto di Cristo morto di Andrea Ansaldo (Genova Voltri 1584 – 1638 ) olio su tela

UNA GALLERIA TUTTA D’ORO

IMG_2626

A Genova nella Via Garibaldi già via Nuova, vi è il palazzo che Tobia Pallavicino si fece costruire  tra il 1558 ed il 1561, la proprietà passò nel XVIII secolo alla famiglia Carrega  committente di questa galleria che costituisce uno dei più emblematici ambienti del rococò genovese, quello che molti definiscono Barocchetto.    Lorenzo De Ferrari                 ( Genova 1680 – 1744 ) realizzò qui la sua opera più importante ed il suo capolavoro  terminandola nel 1744 poco prima della sua morte. Lorenzo, figlio del grande pittore Gregorio De Ferrari, fu allievo di suo padre e come il padre dipinse avendo ben presente la lezione del Correggio stemperata in qualche modo dall’ influsso del Maratta e dei Maratteschi che lui aveva avuto modo di conoscere nel 1734 in un suo breve soggiorno romano. La Galleria dorata, che realizzò con la probabile collaborazione del quadriturista ticinese Diego Carlone  artefice degli stucchi,  è interamente decorata a fresco con storie mediate dall’Eneide di Virgilio. Tipica del Barocchetto genovese è la perfetta armonia dell’ ambiente interno con gli arredi e gli altri elementi decorativi della Galleria comprese le specchiere, le poltrone ed i tavoli da muro. Di fronte agli affreschi di Lorenzo si resta attoniti, non pare possibile siano passati più di 274 anni da quando li realizzò, sono così vividi i loro colori che sembrano opere dipinte ad olio e non su intonaci pluricentenari.

I giorni 13 e 14 ottobre 2018 in occasione dei Rolli days sarà possibile visitare gratuitamente questo palazzo oggi sede della Camera di Commercio di Genova.

duello tra turno ed enea

Lorenzo De Ferrari ( Enea uccide Turno re dei Rutuli sotto le mura della città di Laurento)  particolare d’ un medaglione dipinto a fresco.

UNA CLIZIA DELIZIOSA

CLIZIA

Nello splendido palazzo Balbi -Durazzo di Genova, conosciuto come Palazzo Reale perché i Savoia lo avevano acquistato dopo l’ annessione di Genova al loro regno per avere una sede di grande rappresentanza, vi è un capolavoro del periodo rococò che noi a Genova chiamiamo barocchetto genovese: la “Galleria degli Specchi”, resa famosa perché usata come location in un recente film su Grace Kelly interpretato da Nicole Kidman. In questa splendida cornice vi sono quattro statue in marmo bianco di Carrara parzialmente dorate del grande scultore Filippo Parodi ( Genova 1630- 1702 ), una delle  opere ispirata alle “Metamorfosi ” di Ovidio rappresenta Clizia la ninfa ondina che innamorata di Febo dio del sole e non corrisposta, si consumò di dolore e dalla disperazione per non poter coronare il suo sogno d’amore, per giorni e giorni non fece che seguire con gli occhi il carro del sole sino a che non si trasformò in un fiore, il girasole appunto. Il Parodi scolpisce la ninfa con il viso rivolto verso il cielo, mentre piano piano si sta trasformando, la torsione del busto dona grazia e leggerezza alla figura che da pietra che è diventa sogno, un messaggio onirico  che ci prende l’ anima e che non ci consente di guardare altro che lei.

 

L’ORATORIO DELLA MORTE

L’ORATORIO DELLA MORTE

Nel centro storico di Genova vicino alla splendida piazza della Nunziata ed alla porta turrita che consentiva l’ accesso alla città medioevale da ponente, vi è un oratorio che la gente del popolo chiama di Santa Sabina, in realtà il suo nome vero derivò dal fatto che in questo oratorio si riuniva la Confraternita “Della Morte ed Orazione” . Federico Alizeri descrive nei suoi scritti perché diverse persone diedero origine a questa “Compagnia” che all’ inizio ebbe la missione di seppellire per carità i cadaveri degli schiavi, la data della sua fondazione può farsi risalire al 1587, anno in cui l’ arcivescovo Sauli ne approvò la costituzione. In breve tempo il numero degli iscritti crebbe  così che la Confraternita poté ampliare i suoi ” Pietosi Uffizi “, che non si limitarono più a dare degna sepoltura  agli schiavi ed ai poveri ma cercarono anche di soccorrerne le famiglie alleviandole dallo stato di miseria in cui versavano. L’ oratorio fu costruito nel quarto decennio del XVII secolo sopra un’ area comprata dal priore della chiesa di Santa Sabina oggi sconsacrata ed adibita a sede d’ una agenzia della banca CARIGE di Genova.

 

 

 

 

TORRI ANTI CORSARI

torre di levante

La Serenissima repubblica di Genova sino al XVI secolo non intraprese iniziative sistematiche per proteggere i paesi del genovesato con fortificazioni che potessero salvaguardare i suoi abitanti dalle incursioni dei corsari e dei saraceni, i quali molte volte si trovavano di fronte a villaggi più o meno indifesi i cui abitanti trovavano scampo solo fuggendo sulle colline dell’entroterra. Per quanto riguarda il Golfo del Tigullio solo Chiavari e Portofino risultavano avere delle postazioni fortificate degne di questo nome prima del’500, mentre Rapallo, Santa Margherita e Zoagli erano indifese e sovente preda del terribile pirata Toghud-Dragut che seminava il terrore ad ogni suo passaggio come nel 1549 quando il pirata, nativo della Turchia, mise a ferro e fuoco Rapallo, saccheggiando il borgo e riducendo in schiavitù centinaia di uomini e donne. Di fronte a tutto ciò, nei due anni successivi molti borghi si dotarono di fortificazioni, le cosiddette “Torri saracene” ed almeno due di queste furono edificate a Zoagli una a levante del borgo marinaro detta “Guardia dell’Arenella” ed una a ponente detta “Guardia di Scalo”. La torre mostrata nella foto è quella detta ” Torre Saracena ” di Levante, è una costruzione a semplice pianta quadrata eretta su un’alta base a scarpa, all’ interno due stanze sovrapposte con piccole finestrature,

Una dimora principesca pe’ o “Monarca”

PALAZZO TURSI BIS

Il Palazzo Tursi  oltre che museo è anche sede del comune di Genova. L’ imponente palazzo, sicuramente il più fastoso di quelli eretti nella seconda metà del XVI secolo in strada Nuova ( ora via Garibaldi ), fu realizzato da Domenico e da Giovanni Ponzello a partire dal 1565 per la committenza del nobile Nicolò Grimaldi detto ” il Monarca ” per il gran numero dei titoli nobiliari che poteva vantare e soprattutto per il fatto che, facendo il banchiere, era il più grosso finanziatore del re di Spagna Filippo II, ma si sa come sono alterne le fortune di questo mondo, Filippo II s’ era messo in testa di dichiarare guerra alla regina d’ Inghilterra Elisabetta I, distruggere la sua flotta ed invadere quel’ isola piena di eretici protestanti con la sua ” invincibile armada”, purtroppo per lui, per una serie di circostanze sfortunate,  fu invece la sua flotta ad essere distrutta e  Nicolò Grimaldi vide con orrore tramontare ogni possibilità di recuperare ” le palanche ” che aveva prestato al re Filippo, fu così che egli, con sommo dispiacere, fu costretto a vendere la sua dimora prestigiosa a Giovanni Andrea Doria che la comprò per suo figlio Carlo duca di Tursi  al quale si deve l’ attuale denominazione del palazzo. Il Palazzo Tursi fa parte dei palazzi de “I Rolli” ed è stato dichiarato patrimonio dell’ umanità dal’UNESCO. Nella foto in basso la torre dell’ orologio visibile dal loggiato superiore del cortile interno.

LA TORRE DELL'OROLOGIO

Giovanni Andrea De Ferrari pittore colto

gio andrea de ferrari accademia ligustica

Secondo il Soprani, Giovanni Andrea De Ferrari nacque a Genova nel 1598 c. da famiglia benestante, la sua formazione artistica iniziò nella bottega di Bernardo Castello per approdare poi, in un secondo tempo, in quella di Bernardo Strozzi e proprio lì il nostro Giovanni Andrea affinò quel gusto per il colore che in lui divenne strumento di ricerca della ” Verità”. Il Soprani lo definisce elegante, colto e brillante in giovinezza quanto amareggiato e tormentato dalla Gotta negli anni della sua vecchiaia ( muore nel 1669). A Genova presso il Museo dell’ Accademia Ligustica delle belle Arti si può ammirare un suo dipinto rappresentante la famiglia di Giacobbe, in quest’opera è di tutta evidenza la lezione del Bassano per l’ iconografia  e le citazioni dal Roos per la natura morta  che il nostro restituisce con un linguaggio moderno vicino a quello del Grechetto che  Gio. Andrea, all’epoca della sua  maturità, dimostra di comprendere e di far suo.  Questo dipinto, costruito a piani successivi, termina con l’ apertura ad un paesaggio di sfondo ed è una delle opere di questo pittore che farà dire al Longhi”… corrente capitalissima nell’arte in qui giorni, che tocca anche Orazio De Ferrari ed il Vassallo ed eccelle, poco dopo, nel naturalismo venezieggiante di Giovanni Andrea De Ferrari”.  Dagli anni 40 del XVII secolo il pittore adotta una sigla stilistica che manterrà quasi sino alla fine della sua carriera artistica, un modo di dipingere delicato con una pittura stesa a velature sovrapposte, dai toni caldi e dal tocco vibrante. La costruzione iconografica del dipinto è molto simile a quella de ” La riconciliazione di Labano con Giacobbe “realizzato all’ incirca nel quarto decennio del ‘600, dipinto di collezione privata che Anna Orlando ha pubblicato nel suo libro” Dipinti genovesi dal cinquecento al settecento ritrovamenti dal collezionismo privato”.

Agostino Tassi un artista carogna

carmine

Agostino Buonamico ( si fa tanto per dire… il perché lo preciso più avanti ) detto Tassi nacque a Perugia nel 1605, si trasferì giovanissimo a Roma dove fece il suo apprendistato nella bottega del pittore fiammingo Paul Bril, uno degli antesignani del dipinto di paesaggio incluso quello marittimo; a Roma conobbe il pittore Orazio Gentileschi, fecero amicizia e presto diventarono inseparabili compagni di bagordi e gran frequentatori di bordelli e d’ osterie. Il Tassi uomo di natura irruente e rissosa, oggi è soprattutto conosciuto per il fatto d’aver violentato la figlia del suo amico Orazio, la bella Artemisia al tempo diciassettenne, alla quale  doveva insegnare la tecnica della prospettiva ed invece tra una pennellata e l’ altra … fu al tempo celebrato contro di lui anche un processo, perché il buon Orazio, essendo venuto a conoscenza del fatto, lo denunciò e la cosa che più mi colpì di questo processo fu che invece di torturare lui per fargli confessare lo stupro, fu torturata lei perché ammettesse d’ essere stata consenziente, mah… cose che accadevano nel XVII secolo a Roma, oggi non più perché la tortura è un reato… ma torniamo al nostro Agostino, il quale dopo aver lavorato anche a Firenze dove si fece qualche annetto di galea per risse, arrivò finalmente a Genova dove si fermò per qualche tempo dimorando nel popolare quartiere del Carmine, nel ” Galata” il museo del mare c’è un interessante dipinto suo che mostra la costruzione d’ un galeone su un lido sabbioso circondato da un capriccio di paesaggio.

IMG_2451

UN MONUMENTO FUNEBRE FUNESTO

sato varni 1864 bis

Nel cimitero monumentale di Staglieno a Genova nel settore D al n. 08 troviamo un gruppo scultoreo realizzato da Santo Varni ( Genova 1807-1885) nel 1864. Il monumento dedicato alla memoria di Maria Bracelli, fu commissionato all’artista dai due figli della defunta Anton Maria e Francesco Spinola, ultimi eredi di questa antichissima famiglia genovese. Il monumento si ispira ai modelli della fine del XVI secolo, il sarcofago è sormontato dalla statua umanizzata della Fede con sotto scritto “Io sola son guida al Cielo”, affiancata in basso da due figure allegoriche che rappresentano una il Sonno eterno con la coroncina di semi di papavero ed il cerchio e l’altra la Speranza con la ancora e lo sguardo rivolto verso la Fede. Quest’ opera è ancora lontana dal “Realismo borghese” che fu un fenomeno artistico dominante nella scultura dell’ ultimo quarto del XIX secolo, realismo che avrebbe eliminato le figure allegoriche rappresentando il             ” Dolore” nella sua concretezza più umana. Questo monumento si pensa porti sfortuna perché durante il trasporto dallo studio del Varni a Staglieno sopra un carro, venne chiesto l’ aiuto d’ un passante, ma la statua scivolò e lo uccise sul colpo restando illesa.

ACQUASOLA UN POSTO DELLA MEMORIA

BLOG

In pieno centro di Genova vi è un parco pubblico che in passato ebbe molteplici usi, da leggendario bosco pagano a discarica di detriti, da cimitero per gli appestati  a luogo dove infliggere i supplizi e negli ultimi duecento anni luogo di passeggiate, feste e giochi per bambini ed adulti. Nel settecento e nell’ottocento qui veniva praticato l’ antico gioco del pallone, la palla doveva essere scagliata contro i bastioni delle antiche  mura poste a difesa della città  e poi recuperata dai giocatori di due squadre avversarie che, molto spesso, non molto sportivamente, facevano degenerare il gioco in risse e tumulti, ma stiamo parlando di due secoli or sono, oggi come oggi son cose che  non accadono più, all’ Acquasola naturalmente. Il gioco favoriva anche le scommesse e tra i più illustri scommettitori possiamo annoverare anche Ferdinando IV re delle due Sicilie.  Oggi, dopo anni di abbandono e di liti sull’ utilizzazione di quest’area, Acquasola è tornata ad essere il parco per antonomasia dei genovesi.

acquasola d. del pino - g. piaggio prima della ristrutturazione del barabino 1818 c. incisione

Acquasola in una stampa acquarellata dell’ inizio del XIX secolo

LA VILLA DEI FANTASMI

20180422_121329 (2)

A Marassi ( Genova), soffocata dallo stadio di calcio e dai palazzi costruiti nel primo dopo guerra in corso Alessandro de Stefanis, c’è una villa che i nobili Centurione si fecero edificare nella seconda metà del ‘500. La zona a quel tempo era prettamente agricola, gli insediamenti erano rari se si esclude alcune costruzioni rurali ed alcune residenze estive di famiglie aristocratiche genovesi che se le fecero costruire sulla sponda sinistra del torrente Bisagno ai piedi delle colline che lo circondavano. La villa, come detto, perse completamente il suo rapporto con il territorio circostante pur mantenendosi sostanzialmente integra nonostante i diversi passaggi di proprietà, anche la decorazione degli interni è emblematica di quel gruppo di frescanti e decoratori che troviamo in altre dimore patrizie di campagna: Bernardo Castello allievo del Cambiaso, Andrea Semino ed i fratelli Calvi decorarono pareti e soffitti della villa e proprio questi affreschi, a mio avviso, fecero nascere la credenza che la casa fosse infestata dai fantasmi. Nei primi anni 50 del secolo scorso la villa era da molti anni disabitata e con le finestre sfondate, una dimostrazione di coraggio da parte dei ragazzini era penetrare la sera negli antichi ambienti con una candela accesa e resistere almeno mezz’ora, non ricordo, a mia memoria, che qualcuno abbia resistito per più di 10 minuti.

Nella foto “Il ratto di Proserpina” dei fratelli Calvi

ROLLI DAYS

procaccini 1

A Genova ieri e oggi domenica 20 maggio si possono visitare i palazzi dei Rolli, tra i tanti capolavori che avrete l’ opportunità di vedere, visitate la chiesa della Santissima Annunziata del Vastato, li potrete ammirare il dipinto dell’ Ultima Cena realizzato nel 1618 dal pittore Giulio Cesare Procaccini ( Bologna 1574 – Milano 1625 ). E’ un’occasione unica per ammirare quest’ opera a livello del suolo stante che la sua collocazione abituale prima del restauro è nella contro facciata della chiesa a 16 metri d’ altezza. Per capire quest’opera splendida, emblematica del ‘600 lombardo, occorre fare alcune considerazioni, la prima che pittori come il Procaccini bolognese di nascita ma milanese d’adozione, il Cerano ( Giovanni Battista Crespi detto il ) ed il Morazzone ( Pier Francesco Mazzucchelli detto il ) ebbero una formazione dovuta a fattori fondamentali, uno fu la vita e le opere dei due cardinali Borromeo, san Carlo, uno dei principali protagonisti del programma figurativo del concilio di Trento e della contro riforma   e Federico arcivescovo  di Milano che nel 1620 istituirà L’ Accademia Ambrosiana per la formazione degli artisti, che aveva come linea guida quella di diffondere la fede attraverso le immagini sacre. Queste direttive incideranno in maniera sostanziale sul modo di fare pittura dei nostri e sulle scelte iconografiche dei dipinti.  Questo capolavoro dell’ Annunziata, chiaramente ispirato dal “Cenacolo” di Leonardo, ha un effetto scenografico che raggiunge fasi di grande intensità,  finalizzato ad una interpretazione della scena rappresentata  che  coinvolga emotivamente i fruitori del dipinto sul piano emozionale.

UN GIOIELLO PERDUTO NEI CARUGGI

parete absidale                    Nel centro storico di Genova, in via San Luca, venne costruita nel XII secolo  una chiesa gentilizia dedicata a questo santo evangelista, l’ abside di questo tempio perduto nei caruggi è contraddistinto da veri e propri capolavori: la parete absidale fu affrescata dal pittore Domenico Piola ( Genova 1630-1702 ) e rappresenta San Luca che predica il Vangelo alle folle mostrando il ritratto della Madonna, questo perché, secondo la tradizione, San Luca fu il primo che ritrasse il viso della Madre di Dio, l’altare maggiore fu realizzato da Daniello Solaro nel 1698 con marmo bianco di Carrara, marmo rosso di Verona e giallo di Siena ed infine la statua dell’ Immacolata, in marmo bianco scolpito, fu realizzata all’inizio del XVIII secolo da Filippo Parodi ( Genova 1630 – 1702 ) uno dei più grandi interpreti della statuaria barocca a Genova che qui, quasi giunto al termine della sua esistenza,  esprime  il meglio della sua poetica riuscendo a mediare la forza espressiva del Bernini, suo primo maestro, con la delicatezza del Puget che l’ aveva fortemente influenzato negli otto anni in cui l’ artista marsigliese lavorò a Genova.

UN CAPOLAVORO COSTATO 620 LIRE

san luca 6

La nobile Orietta Spinola all’inizio dell’ottavo decennio del XVII secolo commissionò al grande scultore Filippo Parodi ( Genova 1630 – 1702 ) un Cristo deposto su legno scolpito ed intagliato pagandolo 600 lire, inoltre incaricò il pittore Domenico Piola ( Genova 1628 – 1703), uno dei più grandi interpreti dello stile barocco a Genova, di dipingerlo per 20 lire. Il Parodi, allievo a Roma del Bernini e suggestionato negli anni 60 del ‘600 dalle opere del Puget che a Genova lasciò numerose testimonianze della sua poetica scultorea, in questo Cristo esprime il meglio della sua maturità artistica, la cromia originale del Piola è oggi parzialmente nascosta dalle pesanti ridipinture ottocentesche, ma anche così la figura del Gesù esprime tutta la drammaticità ed il dolore per la morte dell’uomo Dio. La scultura si trova oggi in una cappella della chiesa di san Luca, originariamente chiesa gentilizia della famiglia Spinola che vicino possedeva un grande palazzo oggi sede della Galleria Nazionale ed una torre di difesa  che fu mozzata in tempi antichi ed  inglobata in un edificio.

UN PITTORE FIORENTINO A GENOVA

CHIESA S.MADDALENA

Di Sigismondo Betti, pittore fiorentino attivo tra il 1720 ed il 1765, se ne hanno scarse notizie biografiche, non si conosce con assoluta certezza neppure chi fu il suo maestro, alcuni propendono per il Puglieschi allievo del Dandini, altri per il Bonecchi discepolo del Sagrestani, certo è che nei suoi dipinti si nota uno stile piuttosto impersonale ed una certa frettolosa monotonia nella composizione,  il Betti fu molto corretto nel disegno fedele alla tradizione secentesca, a Genova visse per dieci anni e nel 1747 dipinse due affreschi nella chiesa di Santa Maria Maddalena sulle pareti laterali del transetto, raffiguranti episodi della vita di San Gerolamo Emiliani, quello mostrato nella foto, realizzato nella parete di sinistra, mostra la Vergine che libera dal carcere il Santo.

EUROFLORA 2018

IMG-20180506-WA0001

A Nervi (GE) in una serie di parchi d’ ispirazione romantica dal valore naturalistico inestimabile dove la flora mediterranea si sposa con piante tropicali ed esotiche è stata allestita quest’anno 2018 EUROFLORA. Nei parchi di Nervi palme d’ ogni tipo fanno compagnia  a cedri ed araucarie ombreggiate da pini marittimi secolari e da ulivi, ombrosi viali contornano pittoresche scenografie in cui vasti prati degradanti verso le scogliere della costa fanno da cornice, mentre tra il verde intenso dell’ erba fa capolino come un’ apparizione l’ azzurro indaco del mare. In questa meraviglia naturale sono incastonati come pietre preziose il museo Luxoro a Capolungo, il museo d’ arte moderna e la collezione Frugone custodita nella villa Grimaldi che appartenne ai Fassio, prestigiosa famiglia di armatori genovesi che nell’ottavo decennio del secolo scorso fu coinvolta in un fallimento voluto da chi slealmente voleva sbarazzarsi definitivamente di una concorrenza ingombrante e pur depredati di tutti i loro averi i Fassio chiusero il fallimento in attivo. Proprio qui in quest’ angolo di paradiso è stata allestita Euroflora, che pur non avendo le caratteristiche spettacolari dell’edizione 2011 realizzata nel complesso del Palasport di Genova, si è comunque rivelata un grande successo di pubblico con oltre 200.000 biglietti venduti.

euroflora 2011 (2)Euroflora 2011  palasport di Genova anno 2011

UN ANGELO NOCCHIERO

IMG_1965

Nel cimitero monumentale di Staglieno di Genova nel settore A, contraddistinta dal numero 25, vi è la tomba della famiglia Carpaneto per la quale Giovanni Scanzi realizzò nel 1886 questo gruppo statuario.  Lo Scanzi nato a Genova nel 1840 fu allievo alla Accademia Ligustica di Santo Varni e la maggior parte delle sue sculture si trova proprio in questo cimitero dove le famiglie più facoltose di Genova gli commissionarono i loro monumenti funebri. Per i Carpaneto realizzò questo splendido angelo nocchiero che sul piedistallo del monumento ha un’epigrafe che recita testualmente: ” Avventurato chi nel mare della vita ebbe nocchiero si fido “. Nel 1893 l’ imperatrice d’ Austria Elisabetta           ( Sissi per gli amici ) restò a lungo a contemplare questa scultura ammirandone la perfezione formale ed alla fine  fece ricopiare l’ epigrafe sul suo taccuino cosa che però non gli portò fortuna, pochi anni dopo nel 1898 mentre stava passeggiando  lungo le sponde del  lago di Ginevra fu assassinata da un anarchico italiano che la uccise con una lima colpendola al cuore.

I SUPERBI GRIFONI UMILIATI

IMG_2460

Se visiterete il “Galata” museo del mare a Genova, ad un certo punto della vostra visita vi troverete di fronte ad un grande stemma della città realizzato da un anonimo pittore ad olio su ardesia nella metà del XVII secolo, questo stemma  è un’opera proveniente dal palazzo dei Padri del Comune demolito nel 1838, da notare che i grifoni reggenti lo emblema della città, una croce rossa in campo bianco, non avevano le code tra le gambe, fu dopo i moti del 1849, nei quali i genovesi cercarono di riconquistare la libertà dal regno di Piemonte e Sardegna al quale la città fu regalata con i suoi possedimenti dai vincitori di Napoleone al Congresso di Vienna e dopo la feroce repressione perpetrata  dell’ esercito sabaudo  comandato dal generale Alfonso La Marmora, che  il re Vittorio Emanuele II pretese che i grifoni genovesi venissero dipinti con le code tra le gambe in segno di sottomissione, per umiliare la città che aveva osato ribellarsi al suo dominio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

VALERIO CASTELLO UN PITTORE PROIETTATO NEL FUTURO

castello v. allegoria dell'abbondanza fondazione carige

Nato a Genova nel 1624 e figlio del pittore Bernardo Castello allievo del Semino e più tardi seguace di Luca Cambiaso, Valerio non fu certamente influenzato nell’arte pittorica dal padre che morì quando egli aveva solo cinque anni, anzi la madre cercò d’indirizzarlo verso gli studi letterari. Molto presto, a detta del Soprani, venne invece dirottato verso l’esercizio della pittura per la quale dimostrò grande inclinazione. I suoi primi maestri furono il Fiasella e Gio’ Andrea De Ferrari ai quali però non può considerarsi debitore se non per la tecnica meccanica di preparare i colori e le tele, infatti nel panorama artistico culturale del tempo egli può ben essere considerato un attento autodidatta rivolto a cogliere ogni espressione artistica fuori dalla ristretta e provinciale area del genovesato. Perin del Vaga ed il Procaccini, poi la grande lezione di Rubens e Van Dick, mediatori di alcuni elementi della pittura veneziana del Veronese ed ancora il Correggio ed il Parmigianino, lo portarono a far maturare il suo genio libero ed indipendente per mezzo del quale realizzò nuove ed ardite soluzioni formali, quel gusto del non finito pieno d’ una sensualità  non priva d’ un certo languore, un segno grafico spezzato e guizzante che rappresenta quasi una firma nelle sue opere. Valerio fu un artista dal tratto veloce, tanto che alcuni suoi contemporanei criticarono il suo disegno, a loro avviso poco attento e  quasi bozzettistico, non capendo che la sua sensibilità poetica lo portò a privilegiare la ritmica composizione dei volumi che non l’ ottica verità del particolare. Tutto questo lo portò a creare uno stile unico e personalissimo che si staccò nettamente dalla cultura post-controriformistica della prima metà del XVII secolo, quasi un profeta pre-settecentesco e del gusto barocco. Nei suoi dipinti si riscontra una perfetta fusione tra scenografia ed azione,  colmi di quel sentimento romantico insito nel suo animo condizionato solo dalla sua libertà creatrice, che lo portò a realizzare in un vertiginoso lirismo opere di grande spessore che in un tumultuoso serpeggiare di linee curve e spezzate  sfacevano i volumi per trasformarsi in simboli pittorici d’una rappresentazione poeticamente illusiva.  La morte lo colse nel 1659 alla giovane età di 35 anni ucciso  dalla peste che alla metà del ‘600 decimò la popolazione della città di Genova, nonostante ciò, possiamo affermare che non solo nelle opere di Gregorio De Ferrari e del Lissandrino ma in gran parte della produzione veneziana ed europea del XVIII secolo è riconoscibile l’impronta di questo grande maestro genovese.

Nella foto ” Allegoria dell’ Abbondanza” dipinto realizzato ad olio su tela appartenente al patrimonio artistico della banca CARIGE di Genova.

P.S. per una catalogazione delle opere di questo maestro ed approfondimenti vedi il libro “Valerio Castello” del prof. Camillo Manzitti  edito da Umberto Allemandi

LIGABUE ED IL MALE DI VIVERE

cimabue

Una mostra sulle opere di Antonio Ligabue ( Zurigo 1899 – Gualtieri 1965 ) è stata allestita nella Loggia degli Abati del Palazzo Ducale di Genova. La mostra propone 80 opere tra dipinti, disegni e sculture di questo artista che da vivo ebbe pochissimi estimatori. Tra i dipinti vi sono animali selvaggi che lui aveva visto impagliati nei musei di storia naturale, nei circhi e sulle figurine liebig, animali domestici con i quali aveva un rapporto d’ affezione e amore, quell’amore di cui aveva disperatamente bisogno ma che sempre gli fu negato dato il suo stato mentale ed il suo aspetto che incuteva repulsione. Su oltre 800 dipinti realizzati nella sua vita più di 100 sono autoritratti che sembrano voler affermare il suo desiderio di essere visto ed apprezzato nonostante il suo aspetto,  secondo il Parmiggiani, il motore della mostra è  proprio negli autoritratti nei quali il pittore esprime tutto il suo male di vivere e la sua sofferenza…sarebbe riduttivo affermare che ci troviamo solo di fronte ad un pittore naif o  di un artista segnato dalla follia ( diversi furono i suoi internamenti in ospedali psichiatrici ) ma ad un espressionista tragico che fonde esasperazione visionaria con gusto decorativo. Nei suoi dipinti d’ animali selvaggi sono quasi sempre presenti due fattori, il primo la violenza della natura che porta il più forte a sopraffare il più debole, un memento mori che permea le sue opere di tristezza stemperata dai vivacissimi colori con i quali le realizza e il senso di disfacimento e di sporcizia data dalla presenza di insetti come le mosche e gli scarafaggi che allegoricamente ricordano la sua triste condizione di estrema povertà. La mostra terminerà il 1 luglio 2018 andatela a vedere, molte delle opere esposte sono appartenenti a collezioni private e quindi visibili solo occasionalmente.

IL PROLOGO D’ UN PARCO STUPENDO

IMG_2267

Lo scenografo Michele Canzio realizzò il parco della villa Durazzo Pallavicini tra il 1840 ed il 1846, lo realizzò come fosse un’opera teatrale ripartita in tre atti con un prologo ed un epilogo, nel prologo si passa da una intricata foresta di lecci e d’allori, che configura allegoricamente le difficoltà della vita quotidiana ( inevitabile non pensare alla “selva oscura” dantesca), ad un piccolo edificio in stile neoclassico decorato con quattro statue del Rubatto che raffigurano Ebe la coppiera degli dei che rappresenta la gioventù, Flora la dea che rappresenta il rifiorire delle piante dopo la stagione invernale, Leda che rappresenta la donna  per antonomasia e Pomona dea dei frutti, da questo edificio si accede ad un viale che conduce ad un arco di trionfo decorato con statue del Cevasco con scritta un’epigrafe che invita il visitatore ad abbandonare le preoccupazioni ed i dolori che condizionano il suo vissuto ed a godere invece delle opere grandiose della natura, un vero e proprio cammino iniziatico che lo porterà alla fine a riconsiderare quali veramente siano le cose importanti per la nostra vita.

IMG_2268

UN ALBERGO 5 STELLE PER I POVERI DI GENOVA

albergo dei poveri 2018

Nel XVII secolo una epidemia di peste colpì la città di Genova, quando scoppiò nel 1655  ebbe effetti terrificanti giacché su una popolazione di 90.000 persone ne uccise ben 80.000 lasciandosi alle spalle una spaventosa carestia per la mancanza di uomini dediti al lavoro e la cessazione quasi totale delle attività di commercio. Il numero dei poveri e dei disperati divenne così elevato che il noto filantropo genovese Emanuele Brignole  insieme ad Oberto Torre pensarono di finanziare un’idea  che prevedeva, su progetto dell’ architetto Stefano Scaniglia da Sampierdarena, la costruzione d’ un grande albergo destinato ad ospitarli. Nel 1661 la prima parte dell’ edificio fu completata grazie alle 100.000 lire versate dal Brignole per finanziare l’ opera ed alla sua morte egli lasciò metà del suo patrimonio a questa nuova istituzione creata poco fuori delle mura di Genova sulla collina di Carbonara. Il Brignole volle esser sepolto sotto una lapide senza nome nella chiesa del complesso vestito con gli abiti dei ricoverati. Oggi l’ Albergo dei Poveri è sede della facoltà di Giurisprudenza e di Scienze Politiche dell’ Università di Genova.

albergo dei poveri lito del durau

L’ albergo dei Poveri in una litografia acquarellata  del Durau realizzata nella prima metà del XIX secolo

C’ERA UNA VOLTA VILLA SAULI

palazzo sauli bis

La villa Sauli, che ha il suo attuale ingresso in via Colombo, risale al XVI secolo, fu edificata su progetto di Galeazzo Alessi ed intorno ad essa esisteva un grande parco conosciuto come “Orti Sauli” , la villa era conosciuta come “La Vigna” perché la sua facciata era decorata a tralci di vite, nell’ottocento perse i suoi giardini trovandosi in mezzo alle trasformazioni dovute al nuovo piano urbanistico che stravolse l’ aspetto di questa zona di Genova, l’ edificio finì per essere adibito prima come magazzino e poi diviso in appartamenti perdendo quasi tutto del suo originario splendore. Oggi è ancora lì soffocata dalle case circostanti e da una sopraelevazione che ne appesantisce la struttura. Un’anonimo del 1818 così la descriveva: Il palazzo Sauli é ornato da marmo alla porta con altri moduli in rustico. Il portico o atrio ne è formato da ventotto colonne doriche di marmo bianco con quattro busti di marmo. Nella facciata del secondo ordine ammiransi pure altre dodici colonne ioniche ai tre lati: vedonsi poi i piedistalli, su cui abbiano ad essere posate le altre corrispondenti a quelle del primo ordine suaccennato. Alla seconda loggia sopra la porta d’ingresso vedonsi bei rilievi nel volto con quadretti e fioroni nel mezzo, e sette altri busti di marmo. La facciata poi verso il giardino è oltremodo bella ed elegante.

palazzo sauli

Villa Sauli in un dipinto realizzato nel 1850 c.  dal pittore Domenico Cambiaso ( 1811-1894) custodito nei depositi del museo di Palazzo Bianco

 

 

I “SEPOLCRI” DI GENOVA

sepolcro cattedrale

Sin dal medioevo a Genova era diffusa la consuetudine di addobbare un altare il giovedì prima della Pasqua cristiana per ricordare la morte di Gesù Cristo, i cosiddetti “Sepolcri”. Questi allestimenti erano supportati molte volte dalle Confraternite dei Disciplinati, le cosiddette “Casacce” e  consistevano in addobbi di fiori, stoffe, vasi di grano fatti germogliare all’ombra e candele che i devoti portavano per illuminare la notte della passione di Cristo. Secondo la tradizione popolare vigente ancora oggi, dovevano essere visitate un numero dispari di chiese, nel XIX secolo alcune volte, venivano collocati nei “Sepolcri ” dei figuranti vestiti da antichi soldati romani. I più caratteristici sono quelli della chiesa di San Donato, della chiesa del Gesù e della Cattedrale di San Lorenzo mostrato nella foto dove i i cavalieri di San Giorgio vigilano sul “Sepolcro” collocato nello splendido altare dedicato a San Giovanni Battista patrono di Genova.

CATTERINA BALBI DAMA IN TRASFERTA

caterina balbi durazzo

Nella Sala delle Udienze del Palazzo Reale di Genova fa bella mostra di se il dipinto raffigurante il ritratto di Catterina Balbi Durazzo realizzato dal pittore fiammingo Antoon Van Dick ( Anversa 1599 – Londra 1641)  databile al 1624. I Balbi conobbero l’ artista ad Anversa, dove era un fiorente mercato di tessuti dei quali i nobili genovesi facevano commercio. Il dipinto è una delle opere più importanti conservate nel Palazzo di cui i Balbi furono i primi proprietari, l’ opera fu commissionata al grande pittore Anversano in occasione del matrimonio di Catterina con Marcello Durazzo, la dama ritratta con un abito sontuoso, ha dei fiori vicino che allegoricamente suggeriscono lo stato interessante di Catterina parzialmente nascosto dall’abito prezioso. Dopo un accurato restauro, realizzato  dall’atelier genovese  di Nino Silvestri, il dipinto sarà esposto nella mostra ” La Fragilità della Bellezza ” insieme ad oltre duecento manufatti restaurati provenienti da 17 regioni italiane nella Reggia di Venaria in Piemonte.

UNA SPLENDIDA PIANETA

IMG_2363

Nel centro storico di Genova, nella chiesa di Santa Maria delle Vigne è stata allestita recentemente una mostra sui paramenti sacri custoditi in questo tempio millenario, tra questi quello mostrato nella foto, una pianeta a fondo bianco realizzata tra gli ultimi decenni del XVII e l’ inizio del XVIII secolo, la tecnica è quella del “Gros de Tours” laminato in seta bianca ricamato con filo d’oro ( filato, riccio, laminetta e canuttiglia a punto posato) e fili di seta policromi in varie gradazioni a punto raso, i ricami in filo d’ oro nascono da una mensola e creano delle partiture simmetriche a volute da cui nascono elementi floreali in cui si possono riconoscere rose, anemoni doppi ed alcuni fiori di gusto orientaleggiante che ricordano altri parati coevi rinvenuti in area ligure. La mostra è nata da un’ idea della dottoressa Marzia Cataldi Gallo storica del costume presso la Soprintendenza di Genova.

IL VIALE DELLE CAMELIE DI VILLA DURAZZO PALLAVICINI A PEGLI

camelie 2

Il Parco della villa Durazzo Pallavicini di Pegli ( Genova ) è stato riconosciuto come il più bel parco ottocentesco romantico d’ Italia del quale  le camelie sono uno degli elementi floreali più importanti. Il Viale delle Camelie risale al 1856, fu ampliato dal marchese Ignazio Pallavicini e successivamente da sua figlia Teresa. Dato che il terreno originariamente aveva una consistenza prettamente calcarea qui fu sostituito con terra acida che si rivelò fondamentale per il  mantenimento del camelieto. Oggi queste piante sono dei veri e propri alberi che stupiscono per la loro altezza e che fanno di questo angolo del parco un vero gioiello nel periodo della fioritura. Scenograficamente parlando qui Michele Canzio, l’architetto incaricato della progettazione del giardino,  volle celebrare l’ incontro dell’ uomo con la natura vista dal suo lato più fascinoso: il meraviglioso ed incantevole mondo floreale.

camelie 3camelie 4

UN MAGICO VIOLINO

guarneri del Gesù

Bartolomeo Giuseppe Guarneri detto Giuseppe Guarneri del Gesù per la sigla posta sui suoi strumenti a corda,  una IHS sormontata da una croce greca posta accanto alla sua firma, è giustamente considerato il più valente di questa famiglia di liutai cremonesi ed uno dei più grandi del suo tempo, nacque nel 1698 e probabilmente fu allievo del padre  Giuseppe Giovan Battista, nei suoi primi lavori fu influenzato dallo Stradivari ma ben presto se ne discostò adottando un suo personalissimo stile agli strumenti da lui realizzati, per far ciò scelse legni non sempre pregiati ma vernici straordinarie che crearono i presupposti per far si che i suoi violini fossero unici nel loro genere, una leggenda vuole che sia morto in carcere nel 1744 condannato per omicidio, ancora oggi nel terzo millennio nessuno è riuscito a capire quale era il segreto del Guarneri nel rendere il suono dei suoi strumenti così magico.

Nicolò Paganini ( Genova 1782 – 1840 ) possedette un violino del Guarneri del Gesù che chiamava “Il Cannone ” costruito nel 1743, il grande musicista lo lasciò in eredità alla città di Genova  ed oggi è visibile  nella sala Rossa del Museo di Palazzo Tursi, qui è esposto insieme ad altri cimeli dell’artista che, come il costruttore del suo violino, aveva conosciuto la galera e questa non è leggenda ma storia, Paganini fu accusato di violenza sessuale e rinchiuso nella torre Grimaldina di Palazzo Ducale, non per molto però, perché allora come ora  la legge non era uguale per tutti.

nicolò paganini                                                                                                                Ritratto di Nicolò Paganini esposto nello spazio a lui                                                                    dedicato a Palazzo Tursi nella Via Garibaldi di Genova.

Il salotto delle virtù patrie

salotto delle virtu patrie

Un ambiente nel Museo di Palazzo Rosso di Genova è detto il Salotto delle Virtù Patrie dai soggetti che sono stati raffigurati sia sulle pareti che sul soffitto, l’ artefice di questa serie di dipinti fu il pittore Lorenzo De Ferrari ( Genova 1680-1744) su commissione di Giovanni Francesco Brignole Sale che in questa stanza aveva collocato il suo studio. Le iconografie sono tratte dalle storie delle antichità romane, nella volta è raffigurata la personificazione del Valore che viene configurata allegoricamente come emblema delle Virtù Patrie ovvero degli atteggiamenti umani tesi ad una rettitudine etica ritenuta fondamentale per governare gli uomini. I putti ed i simboli posti in secondo piano alludono appunto alle virtù quali l’ Intelligenza, Il Consiglio, la Fedeltà, la Concordia, il Soccorso e la Felicità Pubblica. Alle pareti quattro grandi tele  dipinte a tempera dal De Ferrari ripropongono i concetti già espressi negli affreschi illustrando quattro episodi della storia romana antica quali  la continenza di Scipione, la  religiosità di Numa Pompilio, la fortezza di Muzio Scevola e la giustizia di Tito Manlio Torquato.

LA MAIOLICA LIGURE NEI CONTENITORI DA FARMACIA

blog (2)

Gli originali dei contenitori per i medicamenti appartenenti agli ospedali di Pammatone e degli Incurabili  di Genova oggi non più esistenti sono conservati nel museo delle ceramiche liguri di Palazzo Tursi, i vasi furono realizzati da manifatture savonesi, Albisolesi e genovesi tra il XVI ed il XVII secolo e sono rappresentativi della grande stagione della maiolica ligure conosciuta in tutta l’ Europa per le sue caratteristiche di lucentezza e leggerezza. Le forme dei contenitori furono realizzate al tornio con parti a stampo, i decori furono solitamente ispirati da scene bibliche, mitologiche, allegorie, fiori o animali di gusto orientaleggiante, il colore di fondo era solitamente bianco, i decori e le iscrizioni realizzate in blu.

Le caratteristiche peculiari della maiolica savonese dei secoli XVII /XVIII erano le seguenti:

1) LUCENTEZZA

2) MANCANZA DI CRAQUELEURE

3) DIFETTI DI COTTURA AL VERSO DEL MANUFATTO

4) NEI PUNTI NON INVETRIATI E NELLE SBECCATURE E’ VISIBILE IL COLORE DEL BISCOTTO  MARRONE SCURO

5) LEGGEREZZA RISPETTO AI MANUFATTI DI ALTRE REGIONI

6) PRESENZA D’UNA MARCA SOTTO VERNICE AL VERSO TRANNE CHE NEI MANUFATTI D’ ALTA EPOCA.

 

“GRECHETTO” A PALAZZO BIANCO

grechetto_ilsacrificiodinoè pal.bianco

Giovanni Benedetto Castiglione detto “il Grechetto” nacque a Genova nel 1609 e morì a Mantova, dove era stato nominato pittore di corte dai Gonzaga, nel 1664. Il nostro si formò a Genova tra la fine degli anni 20 ed i primi anni 30 del XVII secolo, la sua poetica fu inizialmente  influenzata dal Paggi e dallo Scorza, ma soprattutto dagli artisti fiamminghi che nel primo 600 avevano suscitato nei genovesi il gusto per la pittura nordica ricca di paesaggi, d’ animali e di nature morte, sino ad allora considerata inferiore rispetto ai dipinti di figura e  tra questi pittori soprattutto Jan Roos, così Grechetto scelse di mettere i soggetti animali e le nature morte in primo piano nei suoi dipinti facendoli diventare i veri e propri protagonisti delle sue opere, relegando le scene di carattere religioso negli sfondi, tutto ciò diverrà la caratteristica peculiare della sua pittura. Il dipinto del museo di Palazzo Bianco  ci mostra il sacrificio di Noè dopo essere scampato al diluvio universale, l’ opera  risente solo in parte delle suggestioni Cortonesche acquisite dal Grechetto nel suo soggiorno romano, nella sua tavolozza infatti predomina uno schema compositivo ancora legato alla sua prima maniera dove i rossi ed i bruni predominano sugli altri colori. Questo dipinto faceva parte delle collezioni degli ospedali civili di Genova ed ora, come già detto, fa bella mostra di se nel museo genovese di Palazzo Bianco in Via Garibaldi.

TORPETIUS CHI ERA COSTUI?

san torpete (2)

Gaius Silvius Torpetius in un secondo tempo detto “Torpete” e per i francesi Tropez, fu un cortigiano dell’ imperatore Nerone, convertitosi al cristianesimo morì martire per decapitazione nel primo secolo dopo Cristo. Il culto per questo santo fu importato a Genova da mercanti pisani che possedevano una loggia vicino al luogo dove nel XII secolo fu edificato un tempio a lui dedicato. La chiesa più volte rimaneggiata fu ricostruita completamente a causa della sua distruzione avvenuta a seguito del  bombardamento dei vascelli francesi del re Sole nel 1684. Il nuovo tempio fu realizzato nel quarto decennio del 1700 su progetto di Gio. Antonio Ricca il giovane e divenne chiesa gentilizia della potente famiglia Cattaneo. Ogni anno alcuni cittadini di Saint Tropez, cittadina della Costa Azzurra, organizzano una visita devozionale alla chiesa di San Torpete che fa bella mostra di se in piazza San Giorgio nel centro storico di Genova.

“Van Dyck e i suoi amici” una mostra da non perdere

mostra van dick

Rubens, il grande pittore fiammingo, soggiornò a Genova diverse volte dal 1604 al 1606, qui vide palazzi sontuosi e personaggi ricchi come monarchi che vestivano vesti  preziose ed erano disposti a spendere cifre spropositate per abbellire con quadri e suppellettili le loro dimore. La potente classe oligarchica genovese sin dalla fine del XVI secolo s’ era trasformata da mercantile a bancaria, gli interessi sui prestiti fatti ai re di Spagna venivano restituiti in argento  ed un terzo di quello che dalle Americhe arrivava all’ imperatore  finiva nelle tasche dei genovesi per l’ esattezza quasi 2.700 tonnellate tra il 1600 ed il 1680. Rubens ritornato ad Anversa, prese da parte il suo discepolo più capace Antoon Van Dyck allora ventiduenne, gli regalò un cavallo e gli disse di scendere in Italia per visitare prima di tutto Genova dove avrebbe potuto conoscere importanti committenti per il suo futuro lavoro d’ artista. Il giovane Van Dyck ci mise un mese e mezzo per arrivare da noi e qui trovò una comunità di pittori fiamminghi che avevano aperto botteghe ed atelier a Genova e che  avevano in qualche modo già contaminato la cultura pittorica degli artisti locali, Vincent Malò, i fratelli De Wael, Jan Roos, Guglielmo Fiammingo e tanti altri avevano dato una scossa allo ormai stanco tardo manierismo dei pittori autoctoni genovesi convertendoli ad uno stile nordico che la locale importante committenza sembrava ormai gradire.  Questa mostra allestita nello splendido Palazzo della Meridiana e curata da Anna Orlando mette in evidenza proprio questa conversione Malò allievo di Rubens fu maestro del nostro Anton Maria Vassallo, Jan Roos, che cambiò il suo nome in Giovanni Rosa, fu maestro di Stefano Camogli detto ” Il Camoglino “, anche la ritrattistica, nella quale Van Dyck era superlativo, cambia e da immagini stereotipate e prive di vitalità interiore si passa a figure in cui l’ aspetto psicologico è predominante,  il realismo in cui sono dipinti i vari personaggi ci raccontano di uomini, donne e bambini che esprimono con i loro sguardi la grandezza d’ un’ epoca conosciuta come “El Siglo de los Genoveses” un’ epoca d’ arte e di splendore.

coll carige

“Sacra Famiglia e San Giovannino” olio su tela di Antoon Van Dyck ( Anversa 1599-Londra 1641)  di proprietà della Fondazione CARIGE in mostra a Palazzo della Meridiana.

UN PITTORE TRECENTESCO PER LA CHIESA DEL CARMINE

IMG_0584

La chiesa di N.S. del Carmine fu edificata nel settimo decennio del XIII secolo da frati carmelitani giunti a Genova al seguito del re Luigi IX di Francia di ritorno dalla settima crociata. L’ impianto della chiesa conserva la struttura gotica con un’abside a pianta rettangolare tipica degli Ordini Mendicanti del XIII  secolo che  costituisce un unicum a Genova, un altro esempio di abside rettangolare era nel monastero di Valle Christi a Rapallo oggi in rovina. Un recente restauro del coro ha riportato alla luce affreschi trecenteschi di scuola giottesca che sono stati attribuiti a Manfredino da Pistoia attivo a Pistoia ed a Genova dal 1280 al 1293, i dipinti murali risalgono al 1292.

manfredino da pistoia1292 C.

PIERINO BECCARI IL BIMBO CHE NON VOLEVA MORIRE

tomba beccari1

A Genova nel Cimitero Monumentale di Staglieno vi è una tomba realizzata nel 1888 da Lorenzo Orengo ( Genova 1838 – 1909 ), il monumento è dedicato al piccolo Pierino Beccari morto all’età di soli cinque anni. L’Orengo frequentò la Accademia Ligustica di Belle Arti ed in seguito, per parecchi anni, l’ atelier di Santo Varni, questo artista,  a buon diritto, è considerato lo scultore più rappresentativo dello stile detto ” Realismo Borghese “,nelle sue opere, pur usando un linguaggio fortemente descrittivo non privo di freschezza rappresentativa, curò anche lo aspetto psicologico dei soggetti rappresentati come per esempio  in questo monumento sepolcrale in cui l’ angelo più che assumere un aspetto consolatorio e di redenzione ci appare come un gendarme con quella sua enorme statura comparata a quella di Pierino minuta e delicata, la mano dell’ angelo non accompagna ma blocca, ferma una vita ancora tutta da vivere, anche l’ espressione del bimbo è rivelatrice, sembra dirci non vorrei andare …. ma devo.

Un Sant’ Antonio Abate d’ un Polittico perduto

IMG_0868

Nel centro storico di Genova e più precisamente in piazza Sarzano è l’ ingresso del museo d’ arte medioevale di Sant’ Agostino, nella parte dedicata ai dipinti è conservata una tavola di pioppo dipinta ad olio rappresentante Sant’Antonio Abate, l’ artefice del dipinto, che è firmato e datato 1504, è Antonio Brea ( attivo tra il 1498 ed il 1527 circa ) che lo realizzò insieme a suo cognato di cui si sa poco e niente. L’ opera proveniente dalla chiesa di Sant’ Antonio Abate di Costarainera ( vicino ad Imperia ) faceva parte d’ un polittico andato perduto, il dipinto a fondo oro del santo, contraddistinto dagli attributi comuni nelle sue rappresentazioni, ( il bastone forcuto al quale sono appese due campanelle ed un maialino ) costituiva la tavola centrale del polittico. Dagli esami riflettologici  all’ infrarosso si è notato che, contrariamente alla pennellata sottile e lineare del  tratto preparatorio di suo fratello Ludovico, Antonio realizzò il disegno preparatorio   con tratti vigorosi nei contorni mentre le zone d’ombra furono  definite  con un tratteggio diagonale.

BALILLA O MANGIAMERDA?

balilla

Di Giovanni Battista Perasso detto “Balilla” ( Genova 1735 -1781 ) storicamente si sa molto poco, comunque, prendendo per buone le tradizioni tramandate dal Sestiere di “Portoria”, questo personaggio mitico sarebbe stato identificato nel ragazzino che nel 1746 scagliò una pietra contro le truppe austriaco/piemontesi che avevano occupato la città di Genova ed a Portoria volevano costringere la popolazione a spingere un pesante cannone che s’era impantanato, cannone che sarebbe stato usato più tardi contro gli stessi genovesi, il Balilla prese dunque un sasso e lo scagliò contro un ufficiale austriaco gridandogli la famosa frase:  “Che l’ inse ? ” ( che la incomincio? ) e la rivolta divampò immediatamente come un furioso incendio. Come detto prove storiche che fosse proprio il Perasso da identificarsi con questo personaggio non se ne hanno, tra l’ altro un testimone oculare dei fatti del 1746, in uno scritto il Bellum Genuense, affermò che il ragazzo aveva un altro soprannome molto meno nobile, soprannome documentato anche dalla Rota Criminale della metà degli anni 50 del ‘700  ovvero ” Mangiamerda”. Questo non impedì nel ventennio dell’ era fascista di farne un’ icona del regime ” Fischia il sasso/ il nome squilla/del ragazzo di Portoria/e l’ intrepido Balilla/ sta gigante nella storia….” Il monumento eretto in suo onore, realizzato dallo scultore Vincenzo Giani         ( Como 1831 – 1900) oggi collocato  di fronte al Palazzo di Giustizia dove anticamente era l’ ospedale di Pammatone, secondo lo storico Federico Donaver, rappresenta, più che il personaggio in se stesso, l’ ardire  generoso d’un popolo che giunto al colmo dell’oppressione, spezza le sue catene e si rivendica la libertà.

LA CUPOLA SALVAGO UN’ARCHITETTURA ISPIRATA DAL MARE?

IMG_2038

La cappella dei Salvago della chiesa di Santa Maria della Cella di Sampierdarena (GE),  è sormontata da una cupola  descritta così dal Ratti nel 1780: ” una bellissima architettura tonda con istucchi d’ottimo gusto”, mentre l’ Alizeri nel 1875 così la descrive: ” ..una gentil cupolina tutta mossa a rilievi di lacunari e rosoni”. L’ artefice sembra esser stato Giovanni Battista Castello detto “Il Bergamasco “( 1509 – 1569)  che tante testimonianze delle sue capacità artistiche  lasciò a Genova  nei palazzi di via Garibaldi. Si tratta sicuramente d’ una  costruzione molto particolare  e guardandola dal basso verso l’alto sembra lo scheletro d’un riccio di mare, un omaggio al mare dunque, mare che, prima del periodo industriale, faceva di Sampierdarena e delle sue  le sue spiagge il  posto prediletto dai genovesi per fare il bagno d’ estate.

Charles Dupaty e Genova

vista del palazzo dal giardino pensile

Nel 1785 Charles Dupaty, giurista, letterato e scrittore francese, nelle sue “Lettres sur l’ Italie ” così descrive Genova: “Esco dai palazzi… sono sconvolto, colpito e rapito, non mi riconosco più. Ho gli occhi pieni d’oro, di marmi, di cristalli…in colonne, capitelli,ornamenti d’ogni genere, d’ ogni forma… se volete vedere la più bella strada che ci sia al mondo, andate in ” Strada Nuova ” ( ora Via Garibaldi  *) a Genova, una folla di palazzi che se la battono per ricchezza, altezza, volume, mostrando i loro portici, le facciate, i peristili che brillano di uno stucco bianco, nero, di mille colori. Sono dei quadri esteriormente.

* nota di chi scrive

Nella foto il Palazzo Lomellino di via Garibaldi visto dal suo splendido  giardino pensile.

UNA MADONNA PER DIVERSE VOCAZIONI

tomaso orsolino

Nella chiesa di Santa Maria della Cella a Sampierdarena (GE) e più esattamente nel secondo altare della navata sinistra commissionata nell’anno 1602 dal nobile Castellino Pinelli, sopra l’ altare si trova una statua secentesca in marmo bianco di Carrara attribuita a Tomaso Orsolino  ( 1587-1675). la statua  originariamente rappresentava una Madonna del Carmine ma fu adattata successivamente al culto del Santo Rosario., la serie delle quindici tavolette poste a corona nella nicchia con dipinti i “Misteri del Rosario” sono state attribuite al pittore Domenico Fiasella detto il Sarzana ( 1589-1669).

C’ERA UNA VOLTA IL PRESEPE D’UN RE

IMG-20171211-WA0002

C’era una volta un re…così potrebbe iniziare questa storia,un re d’un regno circondato da montagne innevate al quale, per una serie di circostanze, fu regalata Genova ed i suoi possedimenti. Questo re commissionò a Giobatta Garaventa ( Genova 1777-1840), scultore su legno che aveva sin dall’ inizio del secolo XIX un know how di grande prestigio circa la creazione di statuine presepiali, un presepio monumentale composto di statue di grandi dimensioni ( 40-50 cm. h. ) in legno scolpito ed intagliato dipinto in policromia che in origine era composto da ben 87 pezzi tra personaggi ed animali di cui ancora 85 esistenti. Si presume che il reale committente fosse Vittorio Emanuele I e che il presepe fosse destinato alla chiesa di San Filippo di Torino, la sua realizzazione risalirebbe al primo quarto del XIX secolo, proprio quando al Regno di Piemonte e Sardegna fa annessa Genova, il condizionale è d’obbligo perché sin d’ora non è stato trovato alcun carteggio in merito a questa opera post-maraglianesca della quale si persero le tracce sin dall’inizio del secolo scorso fino ad arrivare al 2013 quando, in un’asta, fu messo in vendita l’intero presepe che fu acquistato da un privato ma vincolato dalla Soprintendenza per il suo valore storico artistico.

Oggi solo 27 pezzi degli 85 esistenti sono stati restaurati ed esposti nel salone da ballo del palazzo Reale di Genova dove resteranno in visione ai visitatori del Palazzo sino al 25/3/2018.

Oltre che il restauro delle parti lignee realizzato con grande perizia  dall’ atelier di Nino Silvestri e quello dei tessuti da parte del laboratorio Arachne, il suggestivo allestimento è stato curato da Giulio Sommariva in collaborazione con gli allievi dei corsi di scenografia e decorazione dell’Accademia Ligustica di Belle Arti.

PALAZZO DUCALE UNA PRIGIONE DORATA

palazzo ducale 2 (2)

Il Palazzo Ducale di Genova, che dovrebbe chiamarsi più correttamente Dogale in quanto sede dei Dogi genovesi,  ebbe la sua origine nel periodo che va dal 1291 ed il 1308. Con la riforma politica attuata da Andrea Doria, i dogi da nomina “perpetua” diventarono biennali, tuttavia, dopo la loro elezione, aveva inizio la “reclusione” del Doge al quale era concesso di uscire dal palazzo solamente in cinque occasioni all’anno ed a date prefissate, per cerimonie ufficiali, e talvolta, ma in rare circostanze, per eventi eccezionali, sempre comunque sottoposti all’inflessibile cerimoniale, paradossalmente, anche in caso d’un parente gravemente ammalato, per poterlo visitare al Doge occorreva un decreto del Senato. Tutto quanto sopra aveva lo scopo di non distogliere la massima autorità della Serenissima Repubblica dalle cure del governo, in pratica però il Doge non appena eletto diventava un “prigioniero di stato”. Scaduto il mandato biennale l’ ex Doge doveva per tutto il resto della sua vita improntare la sua esistenza ad una sobria austerità, per cui la suprema carica di rettore dello Stato non da tutti era ambita specialmente alla fine del XVIII secolo quando Genova era in piena decadenza, anzi  molti eran disposti a fare carte false pur di non essere eletti.

“TORRETTA” UN MARCHIO PRESTIGIOSO

torretta 1819

A Genova sin dal 1200  le leghe che venivano usate dagli argentieri per la fabbricazione di oggetti sacri e profani dovevano essere uguali il più possibile a quelle delle monete in circolazione. Tali monete, che potevano essere d’oro, argento o rame, coniate nel palazzo della Zecca, dovevano avere un peso ed un titolo ( rapporto tra metallo nobile e non ) prestabiliti, a questi lo stato dava un valore legale, conseguentemente anche le verghe d’oro e d’argento provenienti dalla Zecca di Genova avevano le stesse caratteristiche delle monete e su di esse veniva posto il marchio della città che garantiva la purezza del metallo nobile. Questo marchio a partire dal 1200 raffigurò un castello stilizzato composto di tre torri, delle quali la centrale più alta, questa marchiatura fu mediata da quella che compariva sul recto delle prime monete d’argento coniate dalla Zecca di Genova e rappresentava simbolicamente l’ antica forma Civitatis Januae già presente sul sigillo plumbeo del Comune, come emblema della città. Tradizionalmente l’ immagine sopra descritta viene associata al “Castrum” ossia alla prima roccaforte posta sul colle di Sarzano nel IX secolo a difesa del nucleo abitato, probabilmente, invece, si ricollega ad un uso alto medioevale di rappresentare la città come una forma chiusa con una grande porta e torri laterali. Il punzone con cui venivano marchiati i metalli era chiamato “Griffo” presumibilmente perché il Grifone, animale fantastico metà leone e metà aquila era ed è tuttora associato allo stemma della città di Genova, successivamente esso venne chiamato in modo improprio “Torretta” ,termine convenzionale ormai accettato e condiviso da tutti……( da Rovereto e il suo territorio di F. Burlando ed. De Ferrari )

Gli oggetti d’ argento punzonati “Torretta” sono tra i più ricercati sul mercato collezionistico ed antiquario, nella foto coppia di doppieri genovesi punzonati Torretta e datati 1819 di collezione privata genovese in vendita a euro 6.000,00 se interessati contattatemi  e- mail maurosilvio.burlando@gmail.com

 

IL COMPLESSO DI SANT’IGNAZIO

logge

Il complesso di Sant’ Ignazio, attuale sede dell’ Archivio di Stato, ha la sua origine da  una villa sub urbana genovese del XV secolo, ristrutturata dalla famiglia De Franceschi nel XVI secolo con Andrea Semino ( Genova 1526 – 1594 ) e la sua bottega incaricati di affrescare l’ intera magione con episodi di storia romana e con iconografie ispirate dalle ” Metamorfosi ” di Ovidio; nel 1659, acquistata dai gesuiti per farne la sede del loro noviziato, fu ampliata con la costruzione d’ una chiesa ( oggi sala per le conferenze )e da diversi muri perimetrali che chiusero la vista a mare, nel 1773 passò alle monache agostiniane sino ad arrivare al 1810 quando, con la soppressione napoleonica degli ordini religiosi, fu adibita a caserma e tale rimase per molti anni; con i bombardamenti della seconda guerra mondiale, ormai ridotto in rovina, fu abbandonato l’ intero complesso alle ortiche, sino ad arrivare al 1986 quando si iniziò il restauro degli edifici per poterli adibire alla conservazione del patrimonio cartaceo dell’ Archivio di Stato Genovese. Oggi è meta di tanti studiosi che indagano sulla storia della Serenissima Repubblica di Genova, le ” filze ”  cartacee (°),  conservate in locali privi di luce e di umidità, se messe una dietro l’ altra formerebbero una catena lunga 40 chilometri.

filze

(°) la conservazione dei documenti cartacei in filze risale al ‘400, consisteva nel prendere i fogli di carta straccia ripiegarli e forarli con un ago e corda legandoli insieme in modo da formare dei gruppi omogenei.

UNA “GIUSTIZIA” INGIUSTAMENTE DIMENTICATA

la giustizia del pisano

Molti anni or sono, nell’anno del Signore 1311,l’ imperatore Arrigo VII scese in Italia con l’ intento di pacificare le diverse fazioni pro o contro l’ imperatore che quotidianamente seminavano lutti e distruzioni, arrivato a Genova la sua amata moglie Margherita di Brabante  contrasse il morbo della peste e morì prematuramente all’età di 35 anni, il suo sposo addoloratissimo chiamò da Pisa Giovanni Pisano ( Pisa 1248 c. – Siena 1315 c.), uno dei più valenti scultori italiani del XIV secolo, chiedendogli di realizzare un monumento funebre per sua moglie Margherita, l’ artista lo realizzò in marmo bianco statuario ed il monumento fu posto nella chiesa genovese di San Francesco di Castelletto. Nel corso dei secoli la chiesa fu colpita da diversi eventi dannosi, ma fu la costruzione nel 1550 della splendida strada Nuova ( ora Via Garibaldi ) che gli diede il colpo di grazia nonché le soppressioni d’epoca napoleonica durante le quali il complesso venne o distrutto o inglobato in altri edifici. Ma che ne fu del monumento funebre della povera Margherita?  il complesso statuario venne smembrato temporibus illis e dopo molti anni si riuscì a recuperare la figura dell’ imperatrice sorretta da due angeli acefali in esposizione nel museo di Santo Agostino, la statua della Giustizia, facente parte del gruppo statuario, fu  invece rinvenuta nel giardino d’ una villa genovese nel 1960 ed  acquistata dallo stato italiano, la potete ammirare nella Galleria Nazionale di Palazzo Spinola di Piazza Pellicceria nel centro storico di Genova.

JACOPO DA VARAGINE UN SEPOLCRO SENZA PACE

jacopo 2

Jacopo da Varagine ( Varazze ) nato nel 1228 c. e morto a Genova nel 1292 all’età di 70 anni, fu frate domenicano ed arcivescovo di Genova dal 1292, famoso per aver cercato di pacificare i violenti conflitti cittadini tra la parte Guelfa e quella Ghibellina che erano degenerati a tal punto dall’incendiare la Cattedrale di Genova. Il nostro fu anche storico e autore di testi come la “Legenda Aurea” che per moltissimo tempo influenzarono la iconografia cristiana in Italia ed in Europa. Il suo sepolcro originariamente si trovava nel coro alla sinistra dell’ altar maggiore della chiesa di San Domenico, fu rimosso nel 1592 in ossequio dei dettami controriformistici, nel 1614 le sue ossa furono trasferite in sacrestia e nel 1616 sotto l’ altar maggiore, dopo di che, quando la chiesa di San Domenico fu distrutta per la costruzione del teatro dell’ opera Carlo Felice,  il sarcofago fu nuovamente spostato, oggi lo troviamo nel museo della scultura ligure di Sant’Agostino in Piazza Sarzano. La statua fu  realizzata da un anonimo scultore genovese del XIII secolo in marmo bianco apuano, l’ artista che la scolpì, più che esser fedele alla reale fisionomia del vescovo, si dimostrò più interessato a rendere i tratti del volto compatibili con la severa dignità della carica.

jacopo 3                                                                                  Particolare del volto della statua funeraria di Jacopo da Varagine

IL NEOCLASSICISMO DEL RUBATTO

tomba peirano (2)

Carlo Rubatto ( 1810-1891 ) nacque a Genova dove  frequentò L’ Accademia Ligustica di Belle Arti, lì seguì i corsi di Ignazio Peschiera, quindi si recò a Firenze dove terminò i suoi studi, fu uno scultore legato allo stile neoclassico, nella sua maturità artistica fu influenzato dal “Romanticismo” che però non gli fece mai abbandonare l’ impronta classicista dei suoi primi lavori, così come è evidente nella tomba della famiglia Peirano nel cimitero monumentale di Staglieno ( Genova ) realizzata dal nostro  nel 1878 in cui in un contesto architettonico neoclassico si muovono i diversi personaggi improntati di una teatralità propria della corrente romantica.

A PALAZZO SPINOLA RITORNA L’AUTUNNO

autunno particolare                                    particolare dell’autunno di Francesco Da Ponte

A Palazzo Spinola di Piazza Pellicceria nel centro storico di Genova, c’ è il secondo appuntamento del ciclo dedicato alle quattro stagioni attribuite al pittore veneto del cinquecento Francesco Da Ponte detto ” Bassano” , questo insieme di dipinti costituisce il nucleo più antico del palazzo essendo appartenuti ai Grimaldi a cui si deve la costruzione di questo splendido edificio, l’ incontro, curato da Farida Simonetti, si concluderà nelle antiche cucine del palazzo, dove il titolare della ditta Profumo illustrerà la tecnica di preparazione di alcuni prodotti dolciari tipici dell’ autunno come canditi e marron glacées, la partecipazione all’incontro è inclusa nel biglietto d’ingresso al museo. Ricordate il giorno : giovedì 21 Settembre alle ore 17.

UNA PALA MILIONARIA PER PALAZZO SPINOLA

PSP ludovico brea

Nell’anno del Signore 1483 fu realizzata questa pala a fondo oro per la cappella del notaro Pietro Fazio nell’antica chiesa della Consolazione di Genova. Il dipinto mostra l’ascensione di Gesù Cristo in cielo ha dimensioni importanti essendo alta cm. 258 x cm.123 di base e l’ artefice di questo dipinto fu il pittore Ludovico Brea nato a Nizza verso il 1430 e morto nel 1525 c.. Ludovico era figlio d’ una famiglia di bottai ed esercitò la sua arte soprattutto nel ponente ligure, a Genova lasciò un capolavoro visibile nell’ invisibile cappella Ragusea della chiesa di Santa Maria di Castello, dico invisibile perchè la cappella è nascosta dietro la porta d’un finto armadio della sacrestia della chiesa, qui è conservata la pala di “Ognisanti” detta anche impropriamente “Paradiso” commissionata da Tommasina Spinola quella che s’ era innamorata perdutamente di Luigi XII re di Francia, amore platonico naturalmente, e che alla falsa notizia della morte del re s’ era a sua volta lasciata morire dando il nome alla via dove era la sua casa: piazza dell’ Amor Perfetto.  Ma torniamo alla nostra pala che apparteneva ad una collezione privata acquisita dallo stato e data alla Galleria Nazionale del Palazzo Spinola di Piazza Pellicceria. Un’acquisizione che ha generato un mare di polemiche per l’ alto prezzo pagato ben euro 1.200.000. Gli esperti della Sotheby’s e della Christie’s affermarono che il dipinto era valutabile un terzo del prezzo pagato, e così si scatenò una guerra tra i detrattori ed i difensori di questo acquisto, la verità, a mio avviso, è che anche se il dipinto fu realizzato da un pittore minore rispetto ai grandi artisti prerinascimentali, ci troviamo pur sempre davanti ad un’opera storicamente citata, in uno splendido stato di conservazione e soprattutto di certa attribuzione, per cui è estremamente difficile quotare un’ opera del genere, sommessamente avrei suggerito agli esperti delle famose case d’asta citate di un pò di prudenza nell’ esprimere pareri derisori nei confronti del nostro stato visto che numerose volte le loro quotazioni sono state superate in maniera abnorme, concludendo non sono gli esperti che possono esprimere una valutazione su un dipinto del genere ma è sempre il mercato che ha l’ ultima parola.

 

 

 

LA SALA CAMBIASO DI VILLA IMPERIALE

IMG_2154

Uno dei pittori liguri  più noti fu certamente Luca Cambiaso ( Moneglia 1527 – El Escorial 1585 ), nel 1565 il nostro  realizzò l’ affresco della volta del salone di rappresentanza della villa Cattaneo Imperiale il cui disegno preparatorio è conservato alla National Gallery di Edimburgo in Scozia. L’ iconografia del dipinto a fresco è mediato dalla storia della Roma di Romolo il suo fondatore , ” Il ratto delle Sabine “, nel riquadro centrale la tragicità della scena è evidenziata dai corpi dei romani e delle donne sabine che lottano per cercare di resistere alla violenza del rapimento, mentre l’ uso di colori violenti, della luce  e delle zone d’ ombra accentua ulteriormente la dinamicità del racconto. In questa opera grandiosa  il Cambiaso abbandonò la tecnica della plastica a stucco per evidenziare le partizioni della volta, optando per una decorazione tutta pittorica basata sulla bravura di creare l’ illusione di spazi e profondità. La sequenza dei riquadri intorno all’affresco centrale è tratta dai racconti di Tito Livio e rappresenta gli eventi successivi al rapimento delle donne dei Sabini.

IMG_2155

“Ratto delle Sabine” di Luca Cambiaso ( particolare del riquadro centrale )

 

PETRARCA SULLE CASE DEI GENOVESI

20170724_135215_resized

..Stupende a riguardarsi nell’alto torreggiare le moli di superbi palagi: sorgevano a piè delle rupi le marmoree magioni dé vostri cittadini, splendide al pari delle più splendide regge, e a qual si voglia città nobilissima invidiabil decoro: mentre vincitrice della natura l’arte vestiva gli sterili gioghi dé vostri monti di cedri, di viti, di olivi spiegando all’occhio la pompa di una perfetta verdura…sorretti da travi dorate echeggiavano al suono dei flutti, i quali spumeggiando si rompevano in sull’ingresso e dentro ne spruzzavano le muscose pareti… di quale stupore non lo colpivano le sontuosissime vesti…il vedere nel mezzo dei boschi e delle remote campagne lusso e e delizie da disgranare le urbane magnificenze?  così Francesco Petrarca scrisse nel 1358 a proposito delle case di campagna dei genovesi.

Nella foto il castello duecentesco Simon Boccanegra costruito forse da frate Oliverio in stile gotico, lo stesso artefice  che fece erigere il palazzo del mare ( palazzo San Giorgio ) nel porto antico, il castello, situato nei parchi dell’ ospedale di San Martino di Genova, è ora adibito a centro congressi.

PIETRO TEMPESTA ASSASSINO PER AMORE

collezione carige fuga in egitto

Pieter Mulier il giovane detto “Cavalier Tempesta”, nome poi italianizzato come Pietro Tempesta, fu un pittore olandese nato ad Haarlem nel 1637 e morto a Milano nel 1701, fu apprezzato dalla committenza privata soprattutto per le sue opere a cavalletto raffiguranti per lo più marine tempestose, da qui il nome, o pastorali. La sua carriera cominciò  a Roma dove tra l’ altro affrescò un salone di palazzo Colonna con scene di marine, iconografie che ripropose anche a Genova in Palazzo Lomellino dove recentemente è stata scoperta una sala affrescata dal nostro che arrivò nella nostra città nel 1668, non si conosce la causa del suo trasferimento da Roma, certo non è da escludere che fosse per amore d’ una dama genovese, amore contrastato dal fatto che Pietro era già sposato, per cui quando la moglie si mise in viaggio per ricongiungersi al marito, l’ artista pagò un sicario che la uccise a Sarzana. Provato il fatto,  fu condannato a morte, pena poi commutata in 20 anni di prigione da trascorrere nella torre Grimaldina. Alla fine però restò in prigione solo  dal 1675 al 1684 perché i Borromeo di Milano, suoi protettori, riuscirono a fargli ottenere la grazia, incredibilmente nel XVII secolo la legge non era uguale per tutti….

Nella foto pubblicata, la fuga in Egitto della Sacra Famiglia, un olio su tela di Pietro Tempesta appartenente alla collezione della fondazione  della banca CARIGE di Genova.

UN INDIMENTICABILE NINFEO

IMG_1922

“Barocco” era una parola  all’inizio usata in senso dispregiativo, in portoghese Barroco era un termine usato per indicare  una perla irregolare, malformata insomma, Baroque nel dizionario della Academie (1694) significava una cosa stravagante e bizzarra,  eppure lo stile barocco, nato a Roma come reazione alla riforma Luterana, fu l’ ultimo stile che ebbe valenza europea, la sua mission fu “stupire” e nell’architettura si realizzò con opere che ancora oggi riescono a catturare l’attenzione anche del più distratto visitatore. In via Garibaldi a Genova l’ atrio di Palazzo Lomellino è impreziosito da un ninfeo monumentale emblematico dello stile tardo barocco probabilmente fatto realizzare dai Pallavicini quando subentrarono nella proprietà del palazzo nel secondo decennio del XVIII secolo, il ninfeo sfruttava la caduta delle acque provenienti dalla cisterna della retrostante collina di Castelletto. L’ opera fu progettata da Domenico Parodi ( Genova 16722-1742 )e realizzata da Francesco Biggi, nella foto un particolare della fonte superiore dove un genietto versa acqua da un’urna.

ninfeo palazzo lomellino in via nuova

parte inferiore del ninfeo con i due tritoni giganteschi che originariamente fungevano da cornice ad una scena ispirata ai miti greci: ” la caduta di Fetonte” gruppo scultoreo realizzato in stucco  che già nel 1875 risultava disperso e la cui attuale collocazione è ignota.

Gian Carlo Dinegro marchese ballerino

IMG_1896

Il marchese Gian Carlo Dinegro nel 1802 comprò il cosiddetto ” Baluardo di Santa Caterina ” impegnandosi a creare una cattedra di botanica  e ad accrescere la vegetazione esotica che già il precedente affittuario aveva fatto piantare in quella che oggi è il parco pubblico ” Villetta Dinegro”.  Il Dinegro fu appassionato compositore di poesie e pur essendo un esteta, pare mai si sia accorto del fatto che  era, come dire, un poeta i cui versi facevano acqua da tutte le parti, i suoi contemporanei, personaggi autorevoli come Guerrazzi e Manzoni, pur essendogli amici, lo definivano come un  ostinato amatore delle Muse, che ogni dì gli chiudevano le finestre in faccia…  oppure il Marchese Dinegro è un uomo che … bisogna mangiare alla sua tavola, non leggere i suoi versi… e volergli bene. Invece per la danza era tutta un’ altra musica, pare che fosse un ballerino eccezionale tanto da superare ed oscurare veri e propri protagonisti del balletto. La Villetta Dinegro fu distrutta dai bombardamenti durante il secondo conflitto mondiale, al suo posto fu costruito il museo d’ arte orientale ” Edoardo Chiossone” da dove è stata scattata la foto con la vista della città, un luogo ameno immerso nel parco che domina la centralissima Piazza Corvetto.

Un monumento per un condannato a morte

mazzini

Forse non tutti sanno che il monumento dedicato a Giuseppe Mazzini a Genova che sovrasta una delle più belle piazze della città, fu regalato ai genovesi dalla massoneria italiana, la statua del grande rivoluzionario collocata in cima ad una colonna dorica quasi fosse uno stilita, ha ai lati del basamento due figure allegoriche ” il pensiero ” che ha sembianze femminili, e ” l’azione” che è rappresentata da una figura maschile dall’aspetto fiero che con una mano addita lo stendardo dove è la scritta: “Dio e Popolo”. L’opera scultorea fu realizzata da Pietro Costa ( Celle Ligure 1849- Roma 1901 ) figlio di un povero calzolaio emigrato in America che aveva lasciato la famiglia in Italia,                  ( evidentemente a quei tempi il ricongiungimento familiare non era contemplato ), il Costa frequentò l’ Accademia Ligustica di Belle Arti seguendo i corsi di scultura di Santo Varni e poi perfezionò la sua arte a Firenze e Roma. Il Monumento fu inaugurato nel 1882 con grande presenza di popolo, singolare fu vedere tra i tanti personaggi presenti alla cerimonia numerosi gruppi che sventolavano bandiere con lo stemma reale sabaudo, dico singolare perché quando Mazzini era vivente sulla sua testa pendevano numerose condanne a morte per alto tradimento, condanne emesse dai tribunali del re che vedevano in lui un pericoloso sobillatore di folle. Nel cimitero monumentale di Staglieno ( Genova ) è anche la  tomba dove il corpo di Mazzini fu posto dopo la sua imbalsamazione.IMG_1979

ALESSANDRO DE STEFANIS CHI ERA COSTUI?

alessandro de stefanis oregina

Si può sacrificare la propria vita a 23 anni per un ideale? evidentemente si se questo ideale è la “libertà”. Nel Santuario di Nostra Signora di Loreto ad Oregina ( Genova ), vi é il monumento sepolcrale di Alessandro De Stefanis  nato a Savona nel 1826 e morto a Genova nel 1849. Alessandro fu uno dei tanti patrioti che trovarono la morte nella feroce repressione delle truppe piemontesi, comandate dal generale La Marmora, inviate dal re Vittorio Emanuele II per soffocare la ribellione dei Genovesi contro la decisione presa dalle potenze vincitrici di Napoleone a Vienna di regalare Genova ed i suoi territori al re di Piemonte e Sardegna. Il Nostro aveva già partecipato come volontario alla prima guerra d’ indipendenza distinguendosi per il suo valore, gli venne conferita una medaglia d’ argento proprio da quei piemontesi che poco tempo dopo l’ avrebbero ammazzato.  Alessandro fu assegnato alla difesa del forte Begato posto sulle alture di Genova, durante una perlustrazione rimase coinvolto in un conflitto a fuoco col nemico e fu ferito ad una gamba, riuscì a rifugiarsi in una cascina ma venne trovato dalla soldataglia piemontese che dopo averlo preso a calci infierì su di lui con le baionette colpendolo al basso ventre per rendere più lunga la sua agonia, lo trovò esanime un compagno d’ armi che riuscì a portarlo nell’ospedale di Pammatone e poi a casa sua dove si spense dopo 28 giorni d’ agonia. Il monumento funebre, fatto erigere dal fratello, ha sulla base un’epigrafe che tra l’ altro recita:….lo rattenne in mezzo al cammino la misteriosa fortuna dell’oppressore/ ferito a Genova nei moti d’aprile/ penò 28 dì/poi lo spirito magnanimo volò alla patria dei liberi perdonando….

“TEMPUS FUGIT” UN AFFRESCO ISPIRATO DALLE GEORGICHE DI VIRGILIO

carro del tempo

Il Palazzo Balbi Senarega di Genova  è un edificio contraddistinto dal n. 4 di via Balbi, oggi sede dei dipartimenti delle facoltà umanistiche dell’ Università di Genova, l’ edificio è compreso tra i 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova e cioè tra quelli che potevano essere sorteggiati per accogliere illustri personalità in visita alla Serenissima Repubblica Genovese. Il secondo piano nobile è contraddistinto da grandiosi cicli di affreschi che furono realizzati dai maggiori artisti genovesi nella seconda metà del XVII secolo. Nella foto il soffitto della sala detta ” del Carro del Tempo ” dipinta a fresco da Valerio Castello  nel 1659 poco prima d’ essere ucciso, come gran parte della cittadinanza, dalla grande peste che a Genova fece migliaia di vittime. La copertura del soffitto è ampliata da un grande finto colonnato barocco realizzato dal Seghezzi, mentre uno sfondato da cui si intravede il cielo mostra la corsa del carro del Tempo condotto dal dio Crono che ha in mano una falce ed è raffigurato nell’ atto di divorare i propri figli. Il carro trascinato dalle Ore che reggono una clessidra,  travolge i simboli della ricchezza e delle glorie terrene, facendo intendere che nulla può resistere al passare inesorabile del tempo.           ” SED FUGIT INTEREA FUGIT IRREPARABILE TEMPUS” ( dalle Georgiche di Virgilio )

UNA CHIESETTA DIMENTICATA

 

IMG_2026

Durante le seconda guerra mondiale e più precisamente il 9 Giugno 1944, i bombardieri della R.A.F. rasero al suolo il chiostro quattrocentesco della chiesa sampierdarenese di Santa Maria della Cella, rivelando l’ antichissima chiesetta dedicata a Sant’ Agostino  che era stata inglobata nel chiostro e di cui si era persa la memoria. In questa chiesa nel 725 d.C. vennero custodite temporaneamente le spoglie di Sant’Agostino che Liutprando re dei Longobardi fece trasferire per  nave dalla basilica cagliaritana di San Saturnino dove furono custodite per 300 anni,  tutto ciò per impedire che le sacre reliquie cadessero nella mani dei saraceni che a quel tempo imperversavano in Sardegna e che le avrebbero certamente distrutte. La consegna delle spoglie fu a titolo oneroso poiché Liutprando dovette versare qualcosa come 60.000 scudi d’oro, ma in fine il corpo del santo giunse a  Genova e fu custodito temporaneamente nella cella ( da qui il nome ) della chiesetta, dopo di che fu trasferito definitivamente a Pavia capitale del regno longobardo, nella chiesa di San Pietro in Ciel  D’Oro dove ancora oggi è conservato.

UN CONVENTO SCANDALO PER LE MONACHE DI CLAUSURA

salita s. brigida

Anticamente la famosa via Pré di Genova era molto più vicina al mare di come non sia oggi, alle sue spalle prima dell’ anno 1403 c’ era una verdeggiante collina ricca di torrentelli che da lì scendevano verso il mare, contadini ed ortolani, che vivevano in città, la percorrevano per portare i loro prodotti in via Pré dove c’ era un mercato ortofrutticolo, la collina era anche frequentata da donne e bambini che andavano a cogliere ginestre. Un giorno un gruppo di suore agostiniane passando da quei luoghi ameni decise di fermarsi e di fondare un convento professando la regola del Santissimo Salvatore dettata da  santa Brigida, svedese di nascita, vissuta tra il 1303 ed il 1373 che godeva grande fama in Europa per i suoi scritti, le sue profezie ( quelle che riguardavano Genova erano nefaste ) ed i suoi miracoli. L’ arco ancora presente nella salita di S. Brigida segnava l’ entrata del grande complesso monastico che ospitava oltre che le monache anche una comunità di frati, fu questo fatto singolare che alimentò a dismisura ciaeti ( chiacchere ) sulla allegra vita dei religiosi. Il complesso conventuale, che comprendeva anche una chiesa gotica, fu  soppresso dopo 400 anni ed oggi ne  restano poche tracce.

UN COMO’ PER IL DUCA DEGLI ABRUZZI

IMG_2113

Nel Palazzo Reale di Genova, visitando la mostra “Il Duca e il mare” nella quale è possibile visitare gli appartamenti di Luigi Amedeo di Savoia duca degli Abruzzi, nel cosiddetto “Studio del Re ” ho visto uno splendido comò genovese della fine del XVIII secolo. Il mobile in stile neoclassico ha il fronte a due cassetti e due tiretti soprastanti sostenuti da una catena, sostegni a piramide rovesciata desinenti verso il basso con puntali in bronzo, le ferramenta sono in bronzo dorate al mercurio probabilmente francesi, i montanti sono sporgenti rispetto al corpo del mobile che si presenta lastronato  a lisca di pesce con preziose essenze lignee brasiliane e filettato in bois de violette, il piano è  in marmo. Una curiosità: il piano dei mobili del ‘700 realizzato in marmo era costosissimo, tanto che il grande  Giuseppe Maggiolini da Parabiago realizzava i suoi comò privi di piano, perché se il committente optava per il piano in marmo il costo del mobile aumentava in maniera più che significativa.

C’era una volta Santa Maria Della Pace

IMG_2017

A Genova c’ era una volta una chiesa intitolata a Santa Maria della Pace, questo tempio si trovava nel quartiere di San Vincenzo vicino alla Porta degli Archi oggi non più esistente. La chiesa fu chiusa nel 1810 per le leggi di soppressione napoleoniche ed infine demolita completamente nell’ultimo quarto del XIX secolo, ma, come affermato  dal Lavoisier:  ” nulla si crea,  nulla si distrugge e tutto si trasforma”, ritroviamo nella chiesa di San Teodoro a Di Negro uno splendido gruppo scultoreo in legno dipinto in policromia realizzato da Anton Maria Maragliano ( 1664-1739 ) databile al primo quarto del XVIII secolo rappresentante la Madonna Immacolata con angioletti che originariamente apparteneva alla chiesa di Santa Maria della Pace.

MIGLIAIA DI EX VOTO PER LA MADRE DI DIO

sala ex voto

La cima del monte Figonia, che sorge alle spalle di Genova nella valle del torrente Polcevera, era anticamente un terreno lasciato libero per i contadini del luogo che lì potevano fare fieno e tagliare legna, sulla cima era collocata una vecchia torre d’avvistamento che aveva la funzione di segnalare alle popolazioni del litorale l’ arrivo delle feluche dei pirati barbareschi provenienti dalla Corsica, qui nel 1640 un contadino di nome Benedetto Pareto, mentre si riposava dopo aver fatto fieno, vide un’ apparizione in cui una bellissima Signora gli disse d’ essere la regina del Cielo e gli indicò il punto nel quale costruire una cappelletta a Lei dedicata. Oggi il Santuario della Madonna della Guardia è uno dei luoghi dedicati alla Madre di Dio più famosi d’ Italia, la devozione nei confronti della Madonna, già molto radicata nei genovesi, si evidenzia in questo sito visitando le stanze degli ex voto in cui tantissime persone hanno voluto lasciare testimonianza di gratitudine nei confronti di Maria per grazie ricevute,  migliaia di cuori d’ argento furono fusi anni addietro e trasformati negli splendidi porta ceri   dell’altar maggiore.

sala ex boto bis

 

UN CAMINO MONUMENTALE PER ELEONORA DORIA E GIOBATTA GRIMALDI

IMG_1938

A Genova, nel salone principale  del Palazzo detto “della Meridiana” posto nell’omonima piazza costruito su commissione di Giovanni Battista Grimaldi e la sua sposa  Eleonora Doria nel settimo decennio del XVI secolo, fu costruito un imponente camino monumentale da Giovanni Battista Castello detto “il Bergamasco” la cui decorazione interna è costituita da una fascia di piastrelle  che si rifanno alla tradizione dei laggioni di matrice islamica, sull’opera sono presenti gli stemmi delle famiglie Grimaldi e Doria, i montanti sono costituiti da due telamoni antropomorfi desinenti nella parte inferiore con una zampa di leone, la  maestosa cimasa  ha al centro  Giove re degli dei che stringe nella sua mano destra una saetta ed ai lati due figure femminili.

UNA VILLA IN STILE TUDOR PER IL MARCHESE SERRA

IMG_2086

Nei dintorni di Genova, tanti anni or sono, vicino al rio Comago, sorgeva la villa Pinelli Gentile circondata da nove ettari di terreni agricoli, nel 1851 il marchese Orso Serra di ritorno da un viaggio londinese effettuato in occasione dell’Esposizione Universale, ispirandosi ai disegni di un cottage in stile Tudor tratto dall” Encyclopaedia of Cottage, farm and Villa Architecture” di J. C. Loudon, dopo aver acquisito la proprietà del complesso, fece ricostruire la villa  in stile neogotico con  un prospetto tricuspidato e con vicino una torre medioevale, i terreni circostanti furono ripensati come un parco all’inglese. La villa si specchia in un grande lago dando alla sua immagine un che di magico, mentre i cigni osservano distrattamente le persone che visitano questo posto incantevole apparentemente disattenti a tutto quello che li circonda.

IMG_2094

 

 

 

 

 

 

 

 

IL “DRAMMA ETERNO” DI MONTEVERDE

IMG_1967 (2)

Oggi 5 Giugno 2017 è l’ ultimo giorno della settimana dei cimiteri storici europei, a Genova nel cimitero monumentale di Staglieno, tra i tanti capolavori conservati, voglio ricordare il monumento funebre della tomba Celle realizzato da Giulio Monteverde  (1837 – 1917 )  in cui è evidente la carica “simbolista” voluta dare dall’artista a  questa sua scultura datata 1893. Il simbolismo fu un movimento culturale nato in Francia nel XIX secolo del quale Baudelaire pubblicò ” il manifesto “, gli artisti simbolisti cercavano di superare la pura apparenza delle cose trovando un legame tra il dato oggettivo e i sentimenti soggettivi, tentando così di ritrovare la spiritualità che esiste nella cruda realtà ma fa parte del regno dell’invisibile. Il gruppo scultoreo è intitolato “Dramma eterno” e si ispira alla contraddizione simbolista tra il bellissimo corpo femminile rappresentante la vita   che cerca di liberarsi dall’abbraccio del macabro scheletro velato che rappresenta la morte, non c’ è speranza di redenzione in quest’ opera ma solo la disperazione di dover accettare l’ ineluttabilità del destino che tocca ad ogni essere umano.

UNA VILLA PRINCIPESCA PER CAROLINA DI BRUNSWICK

villa rosazza

Nella Villa Rosazza che i Dinegro fecero costruire nel XVI secolo su un’ altura dominante il porto di Genova, risiedette dal 1815 Carolina figlia del duca di Brunswick Wolfenbuttel che a 27 anni si sposò con il trentatreenne  principe di Galles poi incoronato re del Regno Unito con il nome di Giorgio IV. Il principe aveva fama d’ essere un “tombeur de femmes”  e di avere il vizietto di bere in maniera spropositata, comunque sta di fatto che dopo la nascita di una bimba la coppia praticamente si separò di fatto alimentando il “gossip” delle cronache mondane dell’ epoca.  Carolina compì numerosi viaggi prima di approdare a Genova  dove stette sino alla morte del re Giorgio III, nel 1820 tornò in Inghilterra sperando d’ essere incoronata regina ed invece a Londra dovette subire un processo durato cinque mesi che si risolse con un non luogo a procedere ma che le rovinò definitivamente la reputazione già abbastanza deteriorata dalle avventure amorose che le erano state appioppate,  vere o presunte  che fossero,  negli anni precedenti, per questo gli inglesi le rifiutarono l’incoronazione e lei preferì ritornare nel suo ducato dove pochi mesi dopo morì forse per una crisi cardiaca.

LUCA BAUDO GENOVESE D’ADOZIONE PER AMORE DI BIANCHETTA

luca baudo

Il pittore novarese Luca Baudo nato nel settimo decennio del XV secolo, venne a Genova e qui conobbe Bianchetta sorella del pittore Giovanni Barbagelata, s’ innamorò di lei, la sposò e fu attivo nella nostra città sino alla fine del primo decennio del secolo XVI, ancora oggi è visibile nella chiesa di San Teodoro a Dinegro  una pala del Baudo commissionata dai Lomellini proprio per quel tempio, dove è conservata da 520 anni, la pala rappresenta Sant’ Agostino in trono con a sinistra Santa Monica ed a destra Sant’ Ambrogio, in questa sua opera datata 1497 è di tutta evidenza il tratto pittorico della sua maturità dove l’ impianto iconografico è più semplice e monumentale rispetto ai suoi lavori giovanili  che tendevano  ad avere  una decorazione sovrabbondante ed iper-descrittiva.

LAGGIONI E AZULEIOS PER LA CAPPELLA DEI SALVAGO

IMG_2036

Nella chiesa di Santa Maria della Cella a Sampierdarena ( Genova ), dietro all’altare del Rosario vi è l’ antica cappella gentilizia dei Salvago oggi Battistero, le pareti sono un’interessante testimonianza di come la maiolica ispano/moresca abbia influenzato i manufatti prodotti a Genova e nei suoi possedimenti sin dal XVI secolo. Il nome maiolica deriva dall’isola di Maiorca da cui proveniva  la maggior parte delle terracotte smaltate usate per le decorazioni parietali e pavimentali. Gli Azulejos  erano appunto delle mattonelle in terracotta smaltata liscia o in rilievo che avevano decori diversi visibili su un insieme di manufatti accostati gli uni agli altri che davano luogo ad un  disegno  particolare,  contrariamente ai “laggioni ”  creati nostri “figuli” (  fabbricatori di  mattonelle e stoviglie cioè i lavoranti della cosiddetta “arte sottile “) che   avevano solitamente dei decori che  potevano esser visibili sul singolo pezzo).

IMG_2035   Azulejos  (particolare)

VITTORIO EMANUELE II RE GALANTUOMO MA NON TROPPO…

monumento a Vittorio Emanuele II primo rè d' Italia

Una delle più belle piazze di Genova è certamente quella dedicata a Luigi Emanuele Corvetto, politico genovese ai tempi della occupazione napoleonica, al centro della piazza, posta sopra un grande basamento marmoreo, troneggia la statua equestre del re Vittorio Emanuele II realizzata dallo scultore milanese Francesco Barzaghi che fu inaugurata nel 1886, la dedica che si legge sul monumento recita testualmente: ” I Genovesi al re Vittorio Emanuele II” e sin dall’inizio fu pesantemente contestata dalla popolazione stante che il re in una lettera indirizzata al generale Lamarmora definiva i genovesi:”….vile ed infetta razza di canaglie.. ” Ma per capire come mai il re avesse tanta acredine nei confronti dei genovesi occorre fare un passo indietro nel tempo, nel 1815 durante il Congresso di Vienna,  le nazioni che sconfissero Napoleone Bonaparte decretarono la fine della gloriosa Repubblica Genovese annettendo la città e tutti i suoi territori al regno di Piemonte e Sardegna, dopo la fine miseranda della prima guerra di indipendenza, quando il re del Piemonte Carlo Alberto abdicò a favore di suo figlio Vittorio Emanuele, i genovesi si sollevarono contro le autorità piemontesi di occupazione riuscendo a liberarla, ma il 5 aprile 1849, coadiuvati dalla flotta inglese che impediva rifornimenti dal mare, le truppe piemontesi comandate dal generale Alfonso Lamarmora forti di 30.000 uomini riuscirono a sfondare le difese dei cittadini genovesi e irruppero come un torrente in piena  nella città saccheggiando, rubando, violentando ed uccidendo uomini, donne, vecchi e religiosi che si trovarono davanti, fu a questo punto che il re “Galantuomo” scrisse al suo generale una lettera complimentandosi per la vittoria conseguita contro la città ribelle della quale trascrivo la parte più significativa: “…spero che la nostra infelice nazione aprirà finalmente gli occhi e vedrà l’ abisso in cui s’ era gettata a testa bassa…che ella impari ad amare gli onesti che lavorano per la sua felicità e a odiare questa vile e infetta razza di canaglie di cui essa si fidava e nella quale, sacrificando ogni sentimento di fedeltà, ogni sentimento d’ onore, essa poneva tutta la sua speranza…”

A pochi metri di distanza dal monumento,  nella chiesa dei Padri Cappuccini e più precisamente nelle catacombe di questo tempio secentesco, c’è una cripta celata da una lastra  senza nome dove riposano in eterno tutti quegli eroi dimenticati che cercarono invano di riconquistare la perduta libertà.

IMG_2009

UN SOFFITTO A VOLTA SORPRENDENTE

ALLEGORIA DELLA PACE

A Genova contraddistinto dal n. 2 di via Garibaldi già Via Nuova, vi è il palazzo commissionato da Pantaleo Spinola all’architetto Bernardo Spazio sostituito alla morte di questo avvenuta nel 1563 dal maestro Gio. Pietro Orsolino. Oggi  è la prestigiosa sede del Banco di Chiavari e della Riviera Ligure. Al primo piano nobile vi sono due sale disposte simmetricamente, in una di queste tra il sesto ed il settimo decennio del XVII secolo il grande interprete della pittura barocca genovese Domenico Piola coadiuvato da Paolo Brozzi che immaginò una sorprendente impaginazione architettonica, realizzò un grande affresco sulla volta rappresentante “l’ Allegoria della Pace “, riconoscibili tra gli dei dell’ Olimpo: Ercole con la sua clava e Giano (Janus), il dio dalle due facce, una rivolta verso il passato ed una verso il futuro che  alcuni storici affermano abbia dato il nome alla città.

GIUSEPPE BENETTI (1825-1914) UNO SCULTORE GENOVESE

IMG_1951.JPG

A Genova, il cimitero monumentale di Staglieno, uno dei più famosi al mondo, è un vero e proprio museo dell’ arte statuaria auto celebrativa della nuova classe aristocratico borghese che si era creata dopo la proclamazione del Regno D’ Italia. Il sito, per la sua grandiosa dimensione, sin dall’inizio del suo esistere, ebbe visitatori illustri, Nietzsche, Maupassant, Twain e la principessa Sissi,  sono solo alcuni dei tanti personaggi storici che si soffermarono ad ammirare la statuaria delle grandi gallerie di questo cimitero disseminato di viali alberati lungo la collina che fanno da cornice a questa città dei morti. Tra i tanti artisti ai quali fu commissionata la realizzazione d’ una tomba monumentale ci fu Giuseppe Benetti ( Genova 1825-1914), discepolo del Varni alla Accademia Ligustica,  il quale fu inizialmente portato a  rappresentare modelli accademici per poi aggiungere progressivamente ad un marcato realismo il profilo psicologico ed emotivo dei personaggi rappresentati, come ad esempio nella “tomba Piaggio” qui pubblicata, realizzata in marmo bianco di Carrara nel 1873.

I MAESTRI ANTELAMI A SANTA MARIA DI CASTELLO

navata centrale

Santa Maria di Castello fu il primo tempio Mariano di Genova, si hanno notizie documentate di questa chiesa sin dal 658 d. C. fu ricostruita nel XI  e successivamente nel XIII secolo, per molto tempo ebbe la funzione di cattedrale estiva essendo posizionata nella zona sopraelevata del Castrum, era più facilmente difendibile quando era più facile per le feluche saracene attaccare la città.  I Magister Antelami  contribuirono significativamente alla costruzione ed alla sistemazione interna di questa bella chiesa museo. Gli Antelami, giunti a Genova verso la fine del XI secolo, provenivano dalla regione montuosa che è collocata tra il lago di Lugano e quello di Como, furono loro ad importare in città lo stile architettonico romanico, si costituirono come una corporazione di costruttori e lapicidi utilizzando ampiamente materiale romano di scavo  appartenente a templi ed ad altri complessi architettonici,  reimpiegandolo, come per esempio in questa chiesa, con le grandi  colonne di granito  e capitelli corinzi risalenti al III secolo dopo Cristo nella navata centrale.

UN CRISTO ROMAGNOLO IN UN MUSEO GENOVESE

cristo sorretto angeli msa bis

A Genova, in Piazza Sarzano, dove nel medio evo venivano organizzati tornei tra cavalieri, vi é il Museo di Sant’ Agostino, nella parte dedicata alla pittura medioevale troviamo questo dipinto ad olio su tavola di pioppo risalente alla fine del XV secolo, le caratteristiche iconografiche e stilistiche hanno fatto attribuire questo Cristo morto sorretto dagli angeli all’ ambito di Bernardino e Francesco Zaganelli attivi in Emilia Romagna tra il XV e l’ inizio del XVI  secolo, questi due fratelli originari di Cotignola          ( Ravenna ), furono a capo d’ una fiorente bottega e la loro poetica, seppur legata alla cultura romagnola/ferrarese e veneta, risentì anche della cultura nordica, dovuta al fatto che la loro città ( Cotignola ) fu assoggettata agli Sforza e quindi ebbe numerosi contatti con Milano e Pesaro, centri nei quali la cultura fiamminga ebbe grande fortuna, anche in questo dipinto la scena rappresentata è tipicamente nordica.

UN NINFEO DEDICATO AI CULTORI DEL VINO

bacco ebbro

In fondo al giardino pensile del palazzo di Nicolosio Lomellino in via Garibaldi a Genova vi è un bellissimo ninfeo il cui soggetto dionisiaco sarebbe stato ispirato da Domenico Parodi ( Genova 1670- 1742), secondo il Magnani, in un nicchione con stalattiti e vascone in pietra di Finale, è posto un grande gruppo in stucco che raffigura un grande Sileno che versa da un’anfora l’ acqua della fonte  ( il vino ) nella bocca d’ un Bacco ebbro; con questa coreografia lo spazio esterno si sposa con la tematica iconografica della sala con Bacco che incorona Arianna affrescata dallo stesso Parodi nell’ appartamento di via Garibaldi.

C’ERA UNA VOLTA LA BELLA ELENA

ninfeo

In via Garibaldi, già via Nuova, il primo palazzo sulla sinistra andando verso Piazza della Meridiana è sede del Banco di Chiavari, originariamente il palazzo apparteneva al marchese Benedetto Spinola che sulla terrazza fece costruire questo ninfeo monumentale formato da concrezioni e conchiglie poste come tessere d’ un mosaico che mostrano una città in fiamme, nel mezzo era posto un gruppo scultoreo realizzato da Pierre Puget (  Marsiglia 1620 – 1694) il grande scultore barocco francese,  gruppo che rappresentava il rapimento di Elena di Troia acquistato dal Comune di Genova nel 1964 ed oggi conservato nel museo della statuaria e dell’ arte medioevale di Sant’ Agostino in piazza Sarzano. l’ opera scolpita dopo il 1683, fu forse realizzata in collaborazione, ma ciò non toglie nulla alla splendida e complessa composizione, se mai qualche perplessità lo può dare lo sfondo che rappresenta una città in fiamme, ora noi sappiamo che Elena fu consenziente nel seguire Paride a Troia e quindi la città rappresentata non può essere Sparta, per cui l’ ipotesi più verosimile è che il gruppo statuario  non rappresenti il rapimento di Elena ma la riconquista della bella Elena da parte del marito Menelao dopo che gli achei avevano messo a ferro e fuoco la città di Priamo.

 

di  MSA ratto di elena

UNA SIBILLA A PALAZZO REALE

IMG_1510

A Genova, nel salotto della regina di Palazzo Reale, fa bella mostra di se questo dipinto del pittore emiliano Ercole de Gennari ( 1597-1658) rappresentante la ” Sibilla Cumana ” realizzato verso il 1650. Singolare la leggenda che narra la sorte di questa donna bella e sfortunata, Deifobe, così si chiamava, greca di nascita andò a Cuma città della Campania vicina ai Campi Flegrei ed arrivata al lago d’ Averno  vicino al comune di Pozzuoli prese residenza, si fa per dire, in una caverna conosciuta come l’ antro della Sibilla, dove esercitava la sua professione di oracolo ispirata dal dio Apollo, trascriveva i suoi vaticini in esametri su foglie di palma le quali, alla fine della predizione venivano portati via dai venti. Questa sacerdotessa di Apollo fu una delle più importanti figure profetiche dell’ antichità,  faceva i suoi vaticini in stato di trance ed era temuta e rispettata, aveva però un  handicap: era bellissima, così bella che Apollo si innamorò di lei e le chiese d’ avere un rapporto d’ amore, lei prese con una mano una manciata di granelli di sabbia e chiese al dio di farla vivere un anno per ogni granello, Apollo accondiscese alla sua richiesta, ma a questo punto la bella Deifobe ci ripensò e non ne volle sapere di concedersi al dio, allora  Apollo, che come sua sorella Diana era piuttosto vendicativo, la fece vivere ma non le diede il dono della giovinezza, così La nostra povera sibilla pluricentenaria incartapecorì sino a diventare tanto piccola da restare solo ” voce”.  La morale può essere scherza coi tuoi ma lascia stare gli dei.

L’ESALTAZIONE DELLA VENDETTA IN UN AFFRESCO CINQUECENTESCO

ulisse saetta i proci

Tra i palazzi dei “Rolli” dichiarati dall’UNESCO patrimonio dell’umanità, vi è quello di Gerolamo Grimaldi edificato tra il il 1536 ed il 1544, chiamato più tardi Palazzo della Meridiana. Il salone principale fu affrescato e decorato su commissione del figlio di Gerolamo Gio Battista Grimaldi che a partire dal 1565 incaricò Giovanni Battista Castello detto ” Il Bergamasco ” di realizzare la composizione degli spazi che furono poi concretamente realizzati  da Antonio da Lugano. Gli affreschi con le storie di Ulisse furono dipinti dal pittore Luca Cambiaso ( Moneglia 1527 – El Escorial 1585) che impresse ai personaggi che compongono la scena centrale dipinta sul soffitto un forte dinamismo realizzato sia con sapienti giochi prospettici,  con un attento studio della luce, nonché con un accurato esame dei rapporti tra le figure e lo spazio, riuscendo a dare corposità e profondità ad una superficie piana. L’ affresco centrale rappresenta Ulisse che con l’ aiuto della dea Minerva e di suo figlio Telemaco uccide con l’ arco, che solo lui sapeva tendere, i pretendenti alla mano di sua moglie Penelope e del suo trono, i cosiddetti Proci. Il Nostro realizzò le sue figure come fossero ritratti ad olio,  così come la natura morta rappresentata con estrema cura nonostante fosse destinata ad esser contemplata dai fruitori posti in basso  a molti metri di distanza.

ulisse che saetta i proci particolare

particolare del dipinto di Ulisse che saetta e Proci

ROLLI DAYS E NON SOLO……

giovan battista paggi

IN OCCASIONE DELLE GIORNATE DEI “ROLLI”  ( 1 E 2 APRILE 2017 ) NELLE QUALI MOLTE DELLE DIMORE NOBILIARI GENOVESI PUBBLICHE E PRIVATE SARANNO APERTE ALLA POPOLAZIONE, SARA’ POSSIBILE ANCHE VISITARE LA PRESTIGIOSA COLLEZIONE D’ ARTE DELLA BANCA CARIGE, NELLA FOTO” VENERE ED AMORE ” DIPINTA DAL PITTORE GENOVESE GIOVAN BATTISTA PAGGI (GENOVA 1554 – 1627 ) NATO DA UNA NOBILE FAMIGLIA CHE NON DISDEGNAVA IL COMMERCIO, INTRAPRESE LA CARRIERA ARTISTICA CONTRO IL PARERE DI SUO PADRE, FU PERSEGUITO PER OMICIDIO, PER QUESTO FUGGI’ DA GENOVA E VISSE PER MOLTI ANNI A FIRENZE ALLA CORTE MEDICEA. ARTISTA COLTO ED AMICO DI UOMINI DI LETTERE, RITORNATO A GENOVA SI AFFERMO’ COME RAPPRESENTANTE D’ UNO STILE PITTORICO CARATTERIZZATO DALL’ UNIONE  DEL TRADIZIONALE  STILE DEL CAMBIASO   CON IL TARDO MANIERISMO TOSCANO.

UNA PASSAGGIO PER ACCEDERE ALLA GENOVA SOTTERRANEA

ponte monumentale bis

A Genova, in corso Andrea Podestà, sopra il Ponte Monumentale che divide la centralissima  via XX Settembre, esiste un tombino dal quale si può accedere all’interno del ponte, da qui inizia un vero e proprio viaggio nella Genova sotterranea, non consigliabile a chi soffre di claustrofobia perché alcuni passaggi sono alti poco più d’ un metro ed occorre percorrerli a carponi, questa Genova segreta che pochi conoscono è  piena di cunicoli e grotte che conducono a chilometri di tunnel dei quali solo una piccola   parte é visitabile su prenotazione presso un gruppo che organizza visite guidate, per informazioni digitare info@crig.it

CARMELITANI V/S GESUITI BOTTE SENZA ESCLUSIONE DI COLPI

collegio dei gesuiti ingresso

Nel primo quarto del XVIII secolo i Carmelitani vollero costruire una chiesa nella strada Balbi  proprio a ridosso del Collegio dei Gesuiti ( ora sede dell’ Università di Giurisprudenza) con gran dispetto di questi ultimi che cercarono in ogni modo di intralciare i lavori di costruzione, naturalmente a Genova nacquero due partiti: quello del popolo che parteggiava per i Carmelitani e quello dei nobili che teneva per i Gesuiti, la discordia ebbe tanta eco da ispirare anche un poemetto satirico del Buttari : “… le berrette, i Cappucci, i Preti, i Frati,/ le liti, le discordie e le contese,/l’ assalto, le percosse e l’ altre imprese,/che non s’ udiron mai nei tempi andati;/le Scuole chiuse e i Gesuiti armati/gli Scalzi del Carmelo alle difese,/le mura diroccate ai due del mese,/il concorso del Volgo e de’ Soldati,/il Grandinar de sassi in nuovi e rari/ordigni che in mezz’ora opraro tanto/con abbater le fabbriche e i ripari…”, purtroppo tra una sassaiola e l’ altra un converso dei Carmelitani fu colpito in pieno petto da un colpo d’ ariete e rischiò di morire, per cui la vertenza andò a processo, ed i giudici ritenendo risibili le ragioni dei Gesuiti ( la nuova costruzione avrebbe tolto loro l’ aria ) nel 1725 riconobbero il diritto dei Carmelitani ad innalzare la nuova chiesa. Nella foto il maestoso scalone d’ ingresso del collegio dei Gesuiti con a lato  due leoni giganteschi disegnati da Domenico Parodi e  realizzati all’inizio del XVIII secolo in marmo bianco di Carrara.

L’ AMICIZIA FAVORISCE IL GENIO

maragliano 2

Anton Maria Maragliano ( Genova 1664 –  1739 ) fu ed è uno tra i più apprezzati scultori su legno della ” Genova barocca”, l’ amicizia che lo legò al grande pittore Domenico Piola, che aveva casa e bottega a Genova in Salita San Leonardo, gli permise di crescere artisticamente, infatti il Nostro, utilizzando i disegni usciti da ” Casa Piola “, ebbe la possibilità di dare tridimensionalità  ai progetti pioleschi  pieni di grazia e di elementi scenografici che egli seppe magistralmente interpretare con le sue sculture in legno intagliato e scolpito dipinto in policromia.  Nella Foto viene mostrato un particolare della cassa processionale dedicata a Sant’ Antonio Abate  realizzata dal Maragliano nel 1703 ed acquistata nel 1874 dalla Confraternita di Sant’Antonio Abate e  San Paolo Eremita per l’ oratorio di Sant’Antonio di Mele ( Genova ).  La nascita di questa Casaccia ( Confraternita ) risale al 1536 quando il vicario dell’ arcivescovo di Genova Marco Cattaneo diede facoltà ai cittadini di mele di istituirla in onore di Sant’Antonio.

maragliano 3

Cassa processionale di Sant’Antonio Abate  ( particolare di un angelo )

 

 

Henry Thomas Peters an english man bancalaro

sala delle udienze 1

Henry Thomas Peters nato a Windsor nel 1792 giunse a Genova all’età di 25 anni,  impiantò una fabbrica di mobili in via Balbi condotta con tecniche d’ avanguardia ed  in breve tempo divenne famosissimo e, pur essendo mazziniano, ebbe come clienti anche “Casa Savoia” che gli commissionò molti mobili, come per esempio il sediame mostrato nella foto che è a tutt’oggi collocato nella sala delle udienze di palazzo reale in via Balbi. Peters fu un personaggio veramente difficile da raccontare, né ben si comprende come abbia raggiunto in breve tempo fama e fortuna, dato l’ atteggiamento dei genovesi nei confronti dei “foresti ” ( forestieri ), comunque sta di fatto che il Nostro guadagnò somme spropositate che gli consentirono  di fare una vita da gran signore, sino a che, dissipatore per sua natura, non si ridusse in miseria, la sua azienda fallì e lui finì in prigione. Più che per il suo stile, che richiama quello francese ed inglese del primo quarto del XIX secolo, è ricordato, come sopraddetto, per l’ introduzione di tecniche industriali nell’ebanisteria genovese e per la raffinata qualità dei suoi mobili da molti imitati ma mai eguagliati.

STORIA D’ UN RAPIMENTO RAPITO

ratto-di-proserpina

Uno dei capolavori più significativi dell’ arte pittorica del periodo barocco a Genova è il celeberrimo ” Ratto di Proserpina ” di Valerio Castello ( Genova 1624 – 1659 )  conservato nel Palazzo Reale in via Balbi. Il dipinto acquistato dalle Regie Finanze nel 1821 per arredare una sala dell’ antico palazzo Balbi Durazzo comprato da casa Savoia per farne la loro sede di rappresentanza, fu requisito nel 1929 dall’allora ministero per l’ Educazione Nazionale e collocato a Roma in Palazzo Madama dove restò per quasi settant’anni. Il grande dipinto ( cm. 147 x cm. 217 ), grazie all’interessamento di Luca Leoncini allora conservatore di Palazzo Reale di Genova, fu restituito nel 1996  e ricollocato nella Sala delle Udienze dove il sovrano riceveva dignitari, ambasciatori e coloro ai quali era stata accordata udienza. L’ iconografia si rifà ad uno dei miti dell’ antichità classica: Proserpina figlia di Cerere  dea delle messi venne rapita da Plutone dio degli inferi che si era innamorato di lei dopo che  Proserpina  rifiutò inorridita le sue avances perché di sposare il dio del regno dei trapassati  non ne aveva nessuna voglia, né aveva voglia di passare tutta l’ eternità nel suo regno oscuro. Chi scrive riusci a reperire in una prestigiosa   mostra d’ antiquariato di Firenze un bozzetto dell’ opera sopra descritta.

fototeca-burlando-2-bis

LA BASILICA DEI CONTI DI LAVAGNA

img_1882

Il borgo dove venne costruita la basilica dei Fieschi si trova a pochi chilometri dal centro  di Lavagna, è un sito particolare, consiglio di visitarlo in un giorno feriale, quando non c’è molta gente, per ritrovare lo spirito di tranquillità e di meditazione che ispira questo luogo. La basilica fu eretta nel XIII secolo da Sinibaldo Fieschi , eletto pontefice col nome di Innocenzo IV, presenta una facciata rivestita sulla sommità a fasce di marmo bianco e d’ ardesia estratta dalle vicine cave della val Fontanabuona dove i conti Fieschi avevano i loro possedimenti, al centro un rosone in stile gotico-romanico ed un portale caratterizzato da un’ architrave e da un affresco del XIV secolo. Il campanile è formato da una massiccia torre quadrangolare alleggerita da polifore, la basilica, da lontano, ci appare come una nave  arenata in un mare di viti e d’ olivi.

img_1883

UNA MADONNA ERRANTE

tomaso-orsolino.jpg

In cima alla salita Martin Piaggio, che i genovesi continuano a chiamare salita dei Cappuccini, sopra ad un pilastro marmoreo, fa bella mostra di se una statua della Madonna regina di Genova con la corona  imperiale sulla testa e lo scettro stretto nella mano destra. L’ opera, attribuita allo scultore  Tommaso Orsolino ( Genova 1587 c. – 1675 ), fu realizzata certamente dopo il 25 marzo 1637, data nella quale la Serenissima Repubblica di Genova elesse la Madonna quale sua regina e protettrice. Originariamente la statua non era lì dove oggi la possiamo ammirare, ma era posta sulla porta di Ponte Reale posta nell’omonima via, dalla quale venne rimossa nel 1840. Il Ponte Reale aveva la funzione di collegare il Palazzo Reale con la darsena e la ferrovia in modo da evitare agli augusti personaggi ed ai loro ospiti il traffico della zona portuale, fu completamente demolito nel 1964  per la costruzione della    ” Sopraelevata ” .

 

LE CATACOMBE DEI FRATI CAPPUCCINI

img_1816

Con l’ editto di Saint Claud Napoleone Bonaparte nel 1904 stabilì che le tombe dovessero esser poste fuori delle città in pubblici cimiteri e che le lapidi dovessero essere tutte uguali in modo da osservare il principio dell’ egalité propugnato dalla rivoluzione del 1789, per i morti illustri fu creata una commissione che doveva decidere se scolpire o meno  sulla tomba un epitaffio. Le norme vennero di lì a poco applicate anche al regno d’ Italia creando molto malcontento, vi ricordate del carme ” I Sepolcri ” di Ugo Foscolo ? . A Genova l’ uso d’ aver sepoltura in chiesa era molto diffuso tra le classi abbienti che imperterrite continuarono a perpetrarlo alla faccia degli editti di Napoleone, ad esempio se andate a visitare la chiesa dei Cappuccini di Genova intitolata alla S.S. Concezione, vedrete che il pavimento è letteralmente formato da lapidi, alcune poste anche a parete come quella di Nina Giustiniani che ebbe la sventura d’ innamorarsi di Camillo Benso conte di Cavour quando già era maritata col vecchio marchese, il quale venuto a conoscenza della tresca amorosa, ritenne opportuno rinchiudere la moglie nel suo palazzo di via Garibaldi, mettendo in giro la voce che era pazza, una prigione dorata dalla quale Nina si liberò gettandosi dalla finestra dell’ avito palazzo, ma tornando alla nostra chiesa, vi troveremo un falso confessionale che cela una botola chiusa a chiave, sotto di essa è posta  una scala che porta alle catacombe di questo tempio ed alla sua cripta dove per centinaia di anni furono sepolti i confratelli che facevano parte del convento, ma anche i cittadini genovesi  e non solo che continuarono a farsi seppellire in questo luogo sacro. Cosa singolare è riscontrare su diverse lapidi l’ assenza di simboli cristiani, ma scolpiti nel marmo compassi, ali spiegate, piramidi e l’ occhio onniveggente che contraddistinguono i membri delle sette massoniche.

falso-confessionale

SINIBALDO SCORZA NOBILE PITTORE

scorza

Sinibaldo Scorza nato a Voltaggio nel 1589, paese dell’ oltre giogo che a quel tempo apparteneva alla repubblica genovese, era di nobile famiglia legata ai Fieschi di Lavagna, si trasferì giovanissimo nella bottega genovese del Paggi, ma più che da questo maestro egli rimase affascinato dall’arte  dei fiamminghi che erano presenti a Genova in quel tempo  in particolare Jan Roos,  Snyders e dal veneto Jacopo Bassano; l’ ammirazione per questi maestri lo indirizzarono verso una pittura naturalistica di paesaggio e di animali, scelta non facile allora, perché i pittori di genere erano considerati minori rispetto a quelli di         ” Storia “. Viaggiò a Torino dove il duca di Savoia lo nominò pittore di corte, scoppiata la guerra tra i Savoia e Genova, fu accusato di alto tradimento e si rifugiò a Roma dove ebbe l’ occasione di conoscere altri pittori d’ oltralpe, che gli consentirono di approfondire i suoi studi sul naturalismo fiammingo, infine, scagionato dalle accuse,  ritornò a Genova dove si stabilì  sino alla morte che lo spense alla giovane età di soli 42 anni nel 1631. Il dipinto mostrato nella foto, appartenente al Museo dell’ Accademia Ligustica di Belle Arti, ci  mostra un pastorello il quale  suonando uno strumento a fiato guarda le sue greggi, questo ramino  sembra appartenere all’ ultimo periodo del pittore, la sua firma, presente sull’opera, venne messa in luce durante un restauro  effettuato presso l’ Accademia. Questa ed altre opere di questo artista, ingiustamente poco valutato sino a non molti anni fa, sono esposte nel Palazzo della Meridiana di Genova nella bella mostra a lui dedicata dalla mia amica Anna Orlando ” SINIBALDO SCORZA favole e natura all’alba del barocco “,

LA CONFRATERNITA DI SANTA ZITA

abito-della-confraternita-di-santa-zita1

Le Confraternite a Genova erano gruppi di persone riunite sotto forma di associazioni laiche con finalità spirituali e caritative. Per svolgere la sua attività ciascuna Confraternita disponeva d’ una cappella ed  aveva a capo un priore ed un ecclesiastico; fra il 1480 ed il 1582 in città esistevano già 134 Confraternite, ognuna aveva un Santo Patrono al quale era intitolata una cappella – oratorio detta ” Casaccia “. Attualmente le Confraternite che operano sotto l’ Arcidiocesi genovese sono ben 180, la tradizione delle processioni devozionali è l’ occasione per le Confraternite di sfilare per le strade indossando i caratteristici abiti che le contraddistinguono .

Nella foto l’ abito dei confratelli di Santa Zita e del S.S. Sacramento ed anime purganti, composto da una cappa bianca ( la cappa è una veste di taglio largo e semplice destinata a ricoprire tutta la persona) il colore distingueva il servizio e lo scopo sociale, in questo caso il suffragio ai confratelli defunti , il mutuo soccorso e la cura dei pellegrini e dei malati poveri. Il tabarro che era una corta mantella di velluto, raso o seta spesso ricamato con fili preziosi. Il cordone invece è  destinato a legare la veste e ricorda l’ antico uso penitenziale di percuotersi durante i giorni della passione di Cristo ed infine il cappuccio che non era indossato come copricapo ma allo scopo di non permettere di riconoscere l’ identità del confratello che svolgeva il servizio, essendo questo prestato per penitenza e non per acquisire popolarità o meriti, inoltre rendeva i confratelli tutti uguali senza distinzione sia gli aristocratici, sia i popolani.

C’ERA UNA VOLTA S.MARIA DEI SERVI

madonna-del-santo-amore

La guerra non guarda in faccia nessuno, uccide i buoni ed i cattivi, distrugge gli arsenali e le chiese lasciando dietro di se solo polvere e rovina, sia per i perdenti di turno, sia per i vincitori, la guerra è un controsenso, eppure ancora oggi gli uomini continuano a farla, perché evidentemente la “Storia ” non è sufficiente per dimostrarne l’ inutilità.                        A Genova, tra il colle di Carignano e quello di Morcento, proprio alle spalle del grattacielo progettato dal Piacentini  in   piazza Dante, là dove scorreva il rio Torbido, c’era una volta una chiesa dedicata a Santa Maria dei Servi, detta così perché furono i padri “Serviti ” a ricostruirla in stile gotico nel 1327. In quel punto esisteva già dal XII secolo un luogo di culto dedicato a San Girolamo che venne demolito per edificare il nuovo tempio. Durante il secondo conflitto mondiale la chiesa venne completamente distrutta da un bombardamento alleato e solo nel 1972, nel moderno quartiere della Foce, fu costruita una nuova chiesa dedicata a Santa Maria dei Servi dove sono stati riposizionati i pochi reperti rimasti della antica chiesa come il frammento dell’ affresco di controfacciata mostrato nella foto sopra raffigurante la Madonna del Santo Amore attribuibile ad un pittore ligure / lombardo e databile al terzo decennio del ‘400, e l’ altare  maggiore  distrutto in mille pezzi  ma ricomposto con  grande perizia ed amore dai restauratori della Soprintendenza di Genova.

img_1827

UN DIPINTO MISTERIOSO

leonardo-da-pavia-bis

A Genova, vicino alla fermata del metrò di Sarzano, vi è l’ ingresso del museo di Sant’ Agostino, qui nel settore dedicato all’arte medioevale si può ammirare una misteriosa tavola riportata su tela che raffigura La Madonna con il Bambino tra i santi Giovanni Battista, Erasmo, Chiara e Francesco d’ Assisi. Il dipinto datato 1466 è firmato ” Leonardo da Papia ” che i critici in primis avevano individuato in Leonardo Vidolenghi pittore pavese, attribuzione peraltro incerta. Opera dunque datata e firmata ed allora vi chiederete perché misteriosa? ebbene la risposta è che di questo dipinto non si conosce la provenienza, né la committenza e neppure la sua collocazione originaria, opera indubbiamente interessante in cui elementi tardo gotici coesistono con altri rinascimentali, ad esempio in una elementare prospettiva il Nostro realizza un’ iconografia su di un unico pannello invece di indirizzarsi verso la struttura tradizionale del polittico suddiviso in scomparti, collocando i personaggi rappresentati in una nicchia avente la parete di fondo decorata con azulejos (*), che erano comuni a Genova come rivestimento parietale in epoca rinascimentale, l’ impiego dell’arco a tutto sesto poi è utilizzato come raccordo spaziale tra l’ osservatore ed il dipinto come fosse una cornice.

(*) Le azulejos sono un tipico ornamento dell’architettura portoghese e spagnola consistente in piastrelle di ceramica non molto spesse e con una superficie smaltata e decorata.

UN GIARDINO CONCEPITO COME UN’OPERA TEATRALE

parco-2

La Villa Durazzo Pallavicini a Pegli ( Genova ) è giustamente famosa per il suo parco che il marchese Ignazio Pallavicini fece progettare dallo scenografo del teatro Carlo Felice Stefano Canzio, i lavori si protrassero per sei anni dal 1840 al 1846 e realizzarono un’ opera considerata uno dei più bei giardini romantici ottocenteschi, un parco concepito come un’ opera teatrale in tre atti con un prologo introduttivo ed un epilogo, ogni atto è composto di quattro scene composte da architetture, torrenti, fontane, laghetti, piante esotiche ed autoctone, scelte una per una per le loro caratteristiche compositive o evocative, si passa da luoghi ombrosi ed inquietanti ad altri sereni e luminosi, da scenografie neoclassiche ad ambientazioni medioevali ed esotiche, vivendo un racconto che porta ad un unico filo conduttore. Nel primo atto si invita il visitatore ad abbandonare le preoccupazioni quotidiane per immergersi nella natura, nel secondo atto viene rappresentata la storia rievocando eventi ispirati al mondo cavalleresco medioevale, il terzo atto è quello della purificazione, attraverso una grotta che rappresenta gli inferi si arriva alla scenografia del lago grande che rappresenta il “Paradiso ” che dovrebbe essere il fine ultimo della nostra esistenza.

parco-3

Un ringraziamento alla signora Sara Caprini e all’ ” Arco di Giano ” che mi hanno fornito le belle foto pubblicate in questo post

UNA GALLERIA REGALE

galleria-degli-specchi-bis

A Genova, a pochi passi dalla Stazione di Porta Principe, vi è lo splendido palazzo Balbi Durazzo acquisito da casa Savoia all’inizio del XIX secolo come dimora di rappresentanza, qui é la famosa  “Galleria degli Specchi” che aveva nelle sue decorazioni un programma moraleggiante, infatti gli dei rappresentati negli affreschi di Domenico Parodi ( 1672-1742) realizzati nel primo 700 : Venere, Bacco ed Apollo sono le divinità pagane ritenute responsabili della rovina dei grandi regni dell’ antichità ( Assiro, Persiano e Greco-Romano ), l’ affresco del centro della volta mostrato nella foto rappresenta la toeletta di Venere.

galleria-degli-specchi-ter

Mèghi a Megùin de Zena ( medici e mediconi di Genova ) contro a peste

speziali

A Genova nel 1515  alla foce del torrente Bisagno, dove oggi è il complesso della Fiera del Mare,  fu ultimato un Lazzareto usato per ricoverare i malati di ” morbo pestifero “. Oggi di questo edificio non resta più niente, anche se, a detta degli storici, era amplissimo. Il Lazzareto si era reso necessario, come detto sopra, per cercare d’ isolare la peste che nel 1656 fece 92.000 vittime riducendo alla metà la popolazione di Genova. Bartolomeo Alizeri ” fisico e medico de primari del grande spedale di Pammatone ” pubblicò un libro a proposito di come ci si doveva comportare in caso di contagio o per evitarlo, la peste fu da lui definita ” un tossico”  fra i veleni corrosivi, fermentativi e vaporosi, per evitarlo i medici, preti e farmacisti, che erano le categorie più esposte al contagio, non dovevano indossare indumenti di lana per il dimostrato loro potere di trattenere il sale venefico e contagioso, dovevano indossare una casacca di tela cerata ed un cappuccio forato all’altezza degli occhi ed una maschera sulla bocca contenente sostanze odorose quali timo, rosmarino e salvia, in mano era d’ obbligo tenere delle palle con balsami, anche queste per allontanare il pericolo di contagio ( da lì forse nacque il detto non raccontiamoci delle palle! ) e come dieta “pesce” perché Aristotele aveva affermato che i pesci erano immuni alla peste. Le cure che andavano per la maggiore erano: la somministrazione di pietre preziose finemente polverizzate dagli ” Speziali “, i massaggi alla regione cardiaca con l’ olio di scorpione….. le piaghe poi venivano lavate con l’ aceto e poi medicate con un miscuglio di sale comune e fuliggine da camino…. da evitare assolutamente gli amuleti perché indegni per dei buoni cristiani.

Nella foto una sala del museo di Palazzo Tursi dedicata agli speziali ed ai cerusici.

 

PICCIONI MONUMENTALI

belgrano

Gli italo argentini regalarono a Genova il monumento equestre del generale Manuel Belgrano ( 1770-1820) che dal 1927 troneggia su una base di granito rosso delle Ande in Piazza Tommaseo. Belgrano, il cui padre era Ligure di Oneglia, oltre ad essere generale, fu patriota,  creatore della bandiera dell’ Argentina ed uno dei principali artefici della indipendenza e dall’affrancamento dalla corona spagnola del paese sud americano, pochi sanno che  esiste un altro monumento uguale  nella città argentina di Rosario da Fé. Detto ciò è un peccato che i piccioni di Genova, da quando hanno saputo di vivere nella città che ha dato i natali a Cristoforo Colombo, come affermato dal mio amico Roby Carletta nel suo libro “Genovesi quelli del belandi”.. la fanno cadere dall’alto… e posizionati sull’austero monumento aspettano pazientemente che un malcapitato ci passi sotto per bombardarlo senza pietà.

 

UN ARCILE OSPEDALIERO

arcile

Il grande arcile, in mostra nel Museo dei Beni Culturali Cappuccini di Genova, apparteneva in origine all’antico ospedale di Pammatone oggi non più esistente. L’arcile era un mobile destinato a custodire la farina o le granaglie ed era  caratterizzato da un piano sagomato a schiena d’asino, desume il suo nome dal latino medioevale,  la sua tipica forma   imitava le sepolture gotiche ad arca. L’ arcile mostrato nella foto, realizzato in legno di noce, risale alla metà del XVII secolo ed ha del miracoloso che sia arrivato fino a noi uomini e donne del terzo millennio, infatti questi mobili d’ uso comune erano destinati a diventare legna da caminetto quando perdevano la loro utilità.

CIAETI (chiacchere) PERICOLOSI

supremi-sindicatori

Se a Genova visiterete il Palazzo Ducale ( oddio dovrebbe chiamarsi Dogale dato che era il luogo dove risiedeva il Doge, suprema autorità della Serenissima Repubblica di Genova ), entrando nel Palazzo dall’ingresso posto in Piazza De Ferrari, prima del grande atrio voltato progettato dal Vannone alla fine del XVI secolo, vi troverete nel ” Cortile Minore ” realizzato a cielo aperto, qui incastonato nella parete di sinistra vedrete una specie di buca per le lettere con scritto sopra :” Avvisi alli Illustrissimi Supremi Sindicatori “, cosa serviva?  ebbene chiunque poteva scrivere una lettera firmata o anonima denunciando delitti veri o presunti, anche se non direttamente a conoscenza dei fatti, il tipico modo di dire dei genovesi  m’ han vouxou dì  ( ho sentito dire in giro ), così gli armigeri venivano inviati a casa del denunciato, lo accompagnavano nel palazzetto criminale o alla torre Grimaldina dove c’ era un locale chiamato “Examinatorio” qui il malcapitato veniva coscienziosamente torturato dai giudici ( sempre forestieri per garantire l’ imparzialità del giudizio ) fino alla piena confessione, che, dopo mezzora di “corda “(*) arrivava puntualmente.

(*) La ” Corda ” consisteva nel legare le braccia del’ imputato dietro la schiena con ai piedi dei pesi più o meno gravi   ed alzare il corpo di strappo a qualche palmo da terra.

VALERIO CASTELLO PROFETA DEL GUSTO BAROCCO

valerio                                                                                       Valerio Castello ( 1624-1659) nato a Genova, figlio del pittore Bernardo Castello, non fu certamente influenzato dai modi di dipingere  del padre che morì quand’egli aveva solo cinque anni, anzi la madre cercò d’ indirizzarlo verso gli studi letterari, molto presto però, a detta del Soprani, i suoi interessi si rivolsero verso l’ esercizio della pittura per la quale dimostrò sin da giovanissimo grande inclinazione. I suoi primi maestri furono il Fiasella e Gio. Andrea De Ferrari, ai quali però non può considerarsi debitore se non per la tecnica meccanica di preparare i colori e le tele, infatti nel panorama artistico culturale del tempo in cui visse, egli può ben essere considerato un attento autodidatta rivolto a cogliere ogni espressione artistica fuori dalla ristretta e provinciale area del genovesato. Perin del Vaga ed il Procaccini, poi la grande lezione di Rubens e Van Dick ed ancora il Correggio ed il Parmigianino, fecero maturare il suo genio libero ed indipendente che lo portò a realizzare nuove ed ardite soluzioni formali, quel gusto del non finito pieno d’ una sensualità non priva d’ un certo languore, un segno grafico spezzato e guizzante che rappresenta quasi una firma nelle sue opere. Valerio fu un artista dal tratto veloce, tanto che alcuni suoi contemporanei criticarono il suo disegno, a loro avviso poco corretto, quasi bozzettistico, non capendo che la sua sensibilità poetica lo portava a privilegiare la ritmica composizione dei volumi  che non l’ ottica verità del particolare. Tutto ciò lo portò a creare uno stile nuovo e personalissimo che si staccò nettamente dalla cultura post-controriformistica della prima metà del XVII secolo, quasi un profeta pre-settecentesco e del gusto Barocco. Nei lavori di questo artista si riscontra una perfetta fusione tra scenografia ed azione, colmi di quel sentimento romantico che era insito nel suo animo, condizionato solo dalla sua libertà creatrice, libertà che lo portò a realizzare in un vertiginoso lirismo opere insigni che in un tumultuoso serpeggiare di linee curve e spezzate sfacevano i volumi per divenire simboli pittorici d’ una rappresentazione poeticamente illusoria. La morte  lo colse alla giovane età di soli 35 anni, ucciso dalla grande pestilenza che alla metà del 1600 decimò la popolazione di Genova, nonostante ciò possiamo affermare che non solo nelle opere di Gregorio De Ferrari e di Alessandro Magnasco, ma in gran parte della produzione europea del XVIII secolo è riconoscibile l’ impronta di questo grande maestro genovese. 

antichita-burlando-bis                                                                                                            Antichità Burlando  Via Roma  55 r   Genova ( anno 1997)

UN VAN DICK IN MOSTRA

van-dick

Nel museo Beni Culturali Cappuccini di Genova, in occasione del Natale  è stata allestita una mostra : ” Contempliamo il Presepio, la bellezza di Maria nell’arte” dal 3 Dicembre al 2 febbraio 2017, se la visiterete avrete la possibilità di vedere un dipinto di collezione privata  del grande pittore fiammingo Antoon Van Dick ( Anversa 1599 – Londra 1641 ) rappresentante La Madonna con il Bambino e San Giuseppe, oltre ad altri preziosi reperti inerenti all’Avvento.

DAI BRIGNOLE ALLE BRIGNOLINE

venditrice-di-pomodori

Il presepe del signor Checco Brignole fu donato al convento di Nostra Signora del Rifugio in Monte Calvario dove le suore Brignoline lo hanno amorevolmente conservato per centinaia di anni, si tratta d’ un eccezionale complesso di figure presepiali di grandi dimensioni composte da manichini lignei articolati più una decina di animali interamente  intagliati e dipinti  in policromia.. Nonostante la grande qualità delle figure, questo presepe è poco conosciuto, fu attribuito per molto tempo alla bottega del Maragliano, ma al di là delle vesti sontuose dei signori e quelle misere dei popolani che richiamavano esplicitamente la moda in auge nel genovesato nel XVIII secolo, nulla riconduceva questo straordinario presepe a Genova sotto l’ aspetto formale, per esempio a differenza dal genovese dove le figure sono così caratterizzate da formare veri e propri ” tipologie di personaggi ” immediatamente riconoscibili, in questo presepio le figure sono tanto particolareggiate da formare quasi una galleria di ritratti, l’ autore, con compiaciuto distacco, realizzò i suoi personaggi con un verismo sconcertante mettendo impietosamente in evidenza rughe e deformità patologiche. Queste considerazioni di carattere stilistico e formale ricondussero questo presepio ad una bottega napoletana attiva nell’ultimo quarto del XVII secolo, forse quella di Nicola Fumo ( 1647-1725 ) uno dei più importanti scultori napoletani  del periodo tardo barocco.

nano-moro-2

nella foto un nano moro del seguito del Re mago Baldassarre

IL PRESEPE DELLA DUCHESSA

presepe-duchessa-di-galliera-foto-allestimento-2

La duchessa Maria Brignole Sale e suo figlio Filippo De Ferrari commissionarono a Voltri     ( Genova )   un ambiente appositamente destinato  all’esposizione del loro presepio che fu donato al Santuario di Nostra Signora delle Grazie nel 1873. Questo presepio composto da numerose  statuine di scuola genovese e napoletana realizzate nel XVII, il XVIII ed il XIX secolo, si presentava in uno stato di grave deterioramento; grazie al contributo della Compagnia di San Paolo ed alla partecipazione di numerose associazioni culturali, commerciali e da privati, si è potuto procedere al restauro delle statuine, alcune delle quali vengono presentate al pubblico nella mostra ” Legno, stoppa, crine e tessuti preziosi, il Presepe della duchessa di Galliera a Palazzo Spinola ”  dal  16 Dicembre 2016 al 5 Gennaio 2017. La differenza sostanziale tra le statuine genovesi e quelle partenopee sono i materiali usati per animare i diversi personaggi, le genovesi avevano il corpo, la testa e le membra in legno intagliato e scolpito mentre le napoletane avevano il corpo in canapa  con le mani, i piedi e le teste in terracotta dipinta.                                                                                                     Alcune statuine genovesi , secondo lo storico Sommariva, sono da attribuirsi a Pasquale Navone ( Genova 1746 – 1791 ).

La Galleria Nazionale di Palazzo Spinola è  nel centro storico di Genova in Piazza Pellicceria

IL SALOTTO DELLA PACE

img_1483

Dalla Stazione Principe di Genova comincia la via Balbi percorrendo la quale si arriva a Piazza della Annunziata, a metà strada sulla nostra destra troviamo lo straordinario palazzo Balbi – Durazzo, oggi museo, comunemente conosciuto come Palazzo Reale dopo che i Savoia l0 acquistarono nella prima metà del XIX secolo per farne la loro sede di rappresentanza. Il palazzo è d’ una bellezza fascinosa  essendo riuscito  a preservare molti dei suoi ambienti dai danni inferti dal tempo e dagli uomini, come per esempio il cosiddetto ” Salotto della Pace ” che prende il nome dall’affresco della volta rappresentante in allegoria l’ abbraccio della Pace con la Giustizia, realizzato dal pittore genovese Domenico   Parodi ( 1672 – 1742 ) che lo portò a termine alla fine del suo percorso artistico, le riserve che si trovano ai lati della volta furono invece dipinte dal pittore bolognese Jacopo Antonio Boni  ( 1688- 1766 ) e rappresentano l’ allegoria delle  quattro stagioni, da notare che gli stucchi rococò, parzialmente dorati in oro zecchino, furono realizzati contemporaneamente ai dipinti ed avevano una  duplice funzione: decorativa e di raccordo spaziale ai dipinti.

UN MACABRO TROFEO PER LA TORRE GRIMALDINA

torre-grimaldina

Nell’aprile dell’ anno del Signore 1507 a Genova ci fu una ribellione contro la repubblica aristocratica ed i francesi, i cittadini incoronarono doge un popolano di nome Paolo da Novi, ma nello stesso mese i nobili ripresero il sopravvento e misero una taglia di 800 ducati per chi avesse consegnato loro il doge eletto dal popolo, intanto il nostro Paolo,visto che tirava brutta aria, cercò di fuggire per mare alla volta di Roma, per far ciò si imbarcò sulla nave d’ un camogliese, un certo Corsetto, il quale fece finta di assecondarlo ma, essendo a conoscenza della taglia, lo imprigionò e poi lo consegnò ai francesi che lo riportarono a Genova, qui, dopo un processo sommario al quale presenziò rivestito di stracci che lo avevano obbligato ad indossare per disprezzo, fu condannato a morte per alto tradimento, e per far si che la ribellione non si ripetesse mai più,  come monito ai popolani riottosi, oltre ad essere decapitato, il suo corpo fu squartato in quattro pezzi da esporre nei diversi quartieri della città, la sua testa doveva invece esser posta sulla sommità della torre Grimaldina come macabro trofeo.  La Torre Grimaldina risalente ad epoche remote sino al XIV secolo fu chiamata ” Torre del popolo” e venne usata come carcere sino al 1930.

IL DISCEPOLO CHE SUPERO’ IL SUO MAESTRO

sala-della-primavera

Gregorio De Ferrari nato a Porto Maurizio ( Imperia ) nel 1647 dopo un alunnato dal Fiasella durato un lustro, soggiornò a Parma nel periodo che va dal 1669 al 1673, lì conobbe il Baciccio ed i dipinti del Correggio che su di lui ebbe un’ influenza riscontrabile in molti dei suoi lavori di frescante. Il suo barocco personalissimo, pur essendo talvolta simile a quello del suocero e suo maestro  Domenico Piola, si staccò decisamente dallo stile di quest’ ultimo per arrivare ad un rococò d’ una luminosità diffusa dove i personaggi sono proiettati in spazi aperti movimentati  in maniera convulsa e vertiginosa dalla sua vibrante pennellata.  A partire dal 1686 Gregorio è impegnato con il Piola nella decorazione del secondo piano nobile del palazzo Rosso di Genova per la committenza di Gio Francesco I Brignole – Sale, nel salotto con sulla volta affrescata ” L’ allegoria della Primavera” realizzata da lui, trionfano al centro dello spazio incorniciato dagli stucchi di Giacomo Maria Muttone la dea Venere, che con atteggiamento seducente trionfa su Marte dio della guerra, mentre Eros a  cavallo d’ un cigno da fuoco ad alcune fiaccole e tutto intorno ninfe e putti festanti giocano tra i fiori.

L’ARABA FENICE GENOVESE

img_1660

A Genova, prima che fosse costruito il ponte monumentale alla fine dell’800, quando esisteva al suo posto la porta di Santo Stefano, nota ai più come porta degli  Archi che consentiva l’accesso alla città dalle cinquecentesche mura progettate dall’Alessi, la via XX Settembre non esisteva ancora, si chiamava via Giulia e nel secondo tratto, superato il fornice della grande porta, si restringeva notevolmente sino ad arrivare a Piazza San Domenico, l’ attuale Piazza De Ferrari. In quel tratto di strada esisteva una chiesa costruita nel 1650 per desiderio del nobile genovese  Gio Tomaso Invrea  dedicata alla Nostra Signora del Rimedio, che per esigenze urbanistiche fu demolita nel 1896. Fino a qui nulla di nuovo sotto il sole, i genovesi, per mancanza oggettiva di spazio, erano specialisti nel demolire e ricostruire , alcune volte con risultati abbastanza discutibili. Bene chi non conosce il mito dell’ araba fenice che giunta alla fine della sua vita bruciando rinasceva dalle sue  fiamme? ebbene questo tempio nel 1899 fu ricostruito così com’era in Piazza  Alimonda indimenticabile nella memoria collettiva per i tragici accadimenti del luglio 2001 durante il G8 di Genova.

CONOSCETE MONSIEUR LACROIX?

lacroix

Nelle vite dei pittori, scultori ed architetti genovesi  del Soprani- Ratti edito nel 1769 si legge: verso la fine dell’ ultimo scorcio di secolo ( stiamo parlando del 1600 ) * venne a Genova il signor Lacroix nativo di Borgogna, scultore il cui nome è appresso noi di gran risonanza, costui fu molto eccellente nello scolpire immagini di crocifissi onde le fatture di lui sono tenute in gran pregio. Egli ne formò dei bellissimi in avorio ed alcuni in legno di giuggiolo, lavori, che nelle case dei nostri cittadini, come cose rare li custodiscono. In quei lavori si scorge la diligenza all’ ultimo grado portata e l’ intelligenza condotta ad un modo così perfetto che sembra nulla potervisi desiderare di più.  E’ anche da notarsi che le misure di dette sue immagini d’ ordinario non eccedono la grandezza di un palmo e mezzo ( un palmo genovese è uguale a 25 cm. circa ) * …..Di grandezza maggiore dei nominati crocifissi dovette farne qui uno : ed è quello che sta locato al principale altare dell’ ampia chiesa della Nunziata del Guastato….

Oggi questo crocifisso è visibile nella chiesa sopra menzionata nella cappella di nostra Signora della Mercede, oltre alla sua provenienza dalla Francia  poco si sa del Lacroix, neppure il nome se non l’ iniziale C.  non si conosce la data di nascita ne dove morì, insomma un grande artista che sembra non aver voluto lasciare alcun segno del suo esistere se non un capolavoro che riesce a commuovere chi lo guarda.

  • nota di chi scrive

Andare al “Reginetta “? meglio di no!

palazzetto-criminale

A Genova in via Tomaso Reggio c’è una costruzione dove oggi è l’ Archivio Di Stato, anticamente era ubicato lì il Palazzetto Criminale  dove le celle erano chiamate con nomi decisamente gradevoli come per esempio: Reginetta, Diana, Canto e Stella, gradevoli per il nome, non certamente per chi doveva soggiornarvi ed udire il pianto dei detenuti e le urla di chi subiva i suplizi. Il palazzo esercitava le sue funzioni dalla fine del ‘500, aveva 32 celle  delle quali 18 segrete dedicate agli “ospiti ” che non si desiderava pubblicizzare, 11 palesi e 3 riservate alle signore. Alle finestre erano collocate robuste inferiate di ferro e non c’ era  nessun sistema per chiuderle in modo da proteggersi dal freddo, i letti erano inesistenti, ci si poteva coricare per terra sulla paglia, sempre che il detenuto potesse pagarne l’ acquisto, per pranzo e cena veniva somministrata una pagnotta  di scadente qualità qualche volta accompagnata da una scodella di zuppa d’ olio e acqua  chiamata “opera pia ” fornita da particolari istituzioni religiose.

UN’ESTASI INDIMENTICABILE

pelle

Honoré Pellé, artista nato a Gap nel sud della Francia nel 1641, giunse a Genova presumibilmente nel settimo decennio del XVII secolo, non ci sono cartolari che possano attestare un discepolato presso la bottega di Pierre Puget il cui principale committente fu il marchese Francesco Maria Sauli, tuttavia è probabile che ciò sia avvenuto perchè proprio  il Sauli giudicò il suo primo lavoro documentato e quando il Puget rientrò definitivamente in Francia, il Pellé aprì a Genova una sua bottega dove era possibile lavorare il marmo, il legno e fondere metalli; abitava in via Balbi vicino alla chiesa della S.S. Annunziata del Vastato, e in questo tempio, nella cappella posta nel transetto destro dedicata a Sant’ Antonio da Padova ( o se preferite  da Lisbona dove il santo nacque ),  c’ è un ” S. Antonio da Padova in estasi ” in legno intagliato, scolpito, dipinto in policromia e parzialmente dorato che è stato a lui attribuito, ( attribuzione non da tutti condivisa ) che ci mostra  come  questo maestro  avesse assimilato in pieno la lezione barocca.

ACASEUA DE ZENA ( ACQUASOLA DI GENOVA )

acquasola

A Genova, collocata sopra un’altura soprastante la centralissima Piazza Corvetto, l’ Acquasola era uno dei luoghi preferiti dai genovesi per fare passeggiate o per portare a spasso i bambini nel secolo scorso. L’ area dove sorge l’ attuale parco poggia su una parte delle mura del 300. Nel XVII secolo questo sito venne chiamato ” I Muggi ” ( I Mucchi ) perchè fu usato come discarica della terra e delle pietre di risulta prodotte dalla realizzazione della Via Nuova ( ora via Garibaldi ); nel periodo della grande pestilenza che colpì Genova nel 1657, l’ area venne usata per la realizzazione di fosse comuni dove vennero sepolte le migliaia di vittime del contagio. Finalmente  alla fine del terzo decennio del XIX secolo sotto la direzione del Barabino l’ area fu finalmente adibita a parco pubblico. In questo luogo, di nascosto, si riunivano di notte presso una panchina prestabilita i rivoluzionari ” Carbonari ” quali  i fratelli Ruffini, Mazzini e Bixio, si parlava di libertà e di repubblica in un periodo in cui ciò significava essere condannati a morte o nella migliore delle ipotesi alla prigione per molti molti anni. Di giorno invece il parco era usato per giochi di varia natura  tipo pallone e pallamaglio, quest’ ultimo giudicato deleterio per la frequenza con la quale venivano colpiti in viso o in testa gli ignari passanti ed anche per cavalcate che talvolta mettevano a rischio la vita dei poveri pedoni data la velocità che alcuni giovani  imponevano alle loro cavalcature.

A GENOVA C’ERA UNA VOLTA IL GHETTO

piazza-gallo

Dopo l’ epidemia di peste del 1656 che aveva decimato la popolazione, per favorire la ripresa degli affari, fu favorito l’ insediamento in città degli ebrei e così nel 1660 nacque il primo ghetto genovese. Il ghetto era collocato nell’ area tra vico del Campo, vico Untoria e piazzetta dei Fregoso mentre la Sinagoga sorgeva tra vico del Campo chiamato anticamente ” Vico Degli Ebrei ” e Vico Untoria, tutta l’ area era circondata da cancelli di ferro le cui porte venivano chiuse dai Massari dall’una di notte fino all’alba, in modo da impedire rapporti d’ amicizia con i cristiani e peggio ancora commerci sessuali. In città non si ebbero mai persecuzioni vere e proprie, ma, a date scadenzate dalle autorità ecclesiastiche, gli ebrei, le ragazze erano esentate, venivano scortati  da truppe mercenarie nella chiesa di San Siro o in quella delle Vigne  ad ascoltare sermoni obbligatori, quando uscivano dalla chiesa, seppur scortati, erano oggetto di dileggio, urla, fischi, bersagli per frutta marcia e talvolta lordure di tutti i generi…. alla faccia della tolleranza.

IL TRIBUNALE DELL’ INQUISIZIONE A GENOVA

teatro-carlo-felice

A Genova, nella centralissima Piazza De Ferrari lì dove oggi è il teatro ” Carlo Felice” c’ era una volta l’antico convento di San Domenico che fu la sede del Tribunale dell’ Inquisizione; con la riforma protestante la mole dei processi aumentò considerevolmente, ma quasi sempre questi si conclusero con lievi condanne, altro discorso fu per i reati di stregoneria, nel 1492, mentre Colombo si apprestava a scoprire il nuovo mondo, a Genova veniva prescritto che la colpevole venisse: ” scoiata per la terra, aut sia marchata cum ferro ardente in lo volto, aut tagiato lo naso o una delle orechie, o cavato un oiho a iudicio et arbitrio del podestà ” . Alla fine del XVI secolo il Daneo ci racconta che, nella sola città di Genova, in soli tre mesi, furono condannate a morte più di cinquecento persone accusate di questo delitto, i roghi per le malcapitate venivano generalmente predisposti in piazza Banchi, dove le poverette, dopo aver subito torture inenarrabili, venivano bruciate tra il gran tripudio della popolazione.

UN SANTO PARAFULMINI IN UN CARUGGIO GENOVESE

s-vincenzo-ferrer-1747

San Vincenzo Ferrer sacerdote spagnolo nato nel 1350 a Valenza operò strenuamente per l’ unità della Chiesa all’ epoca divisa dallo scisma d’ occidente con un papa a Roma ed uno ad Avignone, morì in Bretagna nel 1419, veniva invocato contro i fulmini ed i terremoti. Nel centro storico di Genova e più precisamente nel Vico degli Orti di Banchi, c’ è una bella edicola marmorea datata 1747 dedicata a questo santo  frate domenicano.

SAN FRUTTUOSO DI CAMOGLI

img_1686

L’ abbazia di San Fruttuoso di Camogli, situata nell’omonima baia all’interno del parco di Portofino, è accessibile solo dal mare o percorrendo impervi sentieri all’interno del parco. Si tratta d’ un complesso medioevale la cui costruzione iniziò nel X secolo, la cupola medio bizantina è decorata con 17 preziose arcatelle in pietra del monte, mentre la grande torre nolare ottogonale  realizzata nel X secolo è forse l’ aspetto architettonico più interessante dell’ intera costruzione.                                                                                                                                    Posto nella baia di San Fruttuoso a circa 17 metri di profondità, è la statua bronzea del Cristo degli abissi alta due metri e mezzo circa realizzata dallo scultore Guido Galletti, per la fusione furono impiegate campane, eliche di sommergibili, medaglie ed altri elementi navali, da molti anni  è diventata una meta obbligata per tutti coloro che amano il mondo subacqueo.

cristo

Alberto da Genova ignorante ma santo

eremo-di-sant-alberto-4

Alle spalle di Sestri Ponente ( Genova ), sopra una collina è l’ eremo di Sant’ Alberto da Genova, di questo santo, la cui data di nascita secondo alcune fonti sarebbe indicativamente alla fine del 1100, non si conosce il luogo di nascita, si suppone sia il genovesato, ne si conosce l’ anno della sua morte, praticamente di questo santo si sa poco e niente; da giovanissimo faceva il pastore, poi entrò a far parte dell’ abbazia di Sant’ Andrea che era posta tra Sestri Ponente e Cornigliano, scelse la regola cistercense  e presumibilmente, trovandosi a disagio  in mezzo a confratelli colti ed istruiti mentre lui non aveva ricevuto alcun tipo di istruzione, preferì lasciare il convento dedicandosi ad una vita solitaria e di preghiera, si ritirò quindi  in una grotta sulle pendici del monte Contessa in un pianoro chiamato “la Rocca ” e lì visse da eremita sino alla fine della sua vita in odore di santità. Il primo luogo di culto fu eretto a soli due decenni dalla sua morte lì dove oggi è il Santuario a lui dedicato.

eremo-di-s-alberto

 

 

 

UNA “CONVERSIONE DI PAOLO “DI VALERIO CASTELLO

valerio-castello

A Genova, nella Galleria Nazionale di Palazzo Spinola in Piazza Pellicceria, è conservata, in deposito dalla chiesa di Santo Stefano, questa pala d’ altare raffigurante la conversione di San Paolo del pittore Valerio Castello ( Genova 1624 – 1659 ). Valerio la realizzò verso la fine degli anni 40 del XVII secolo per la chiesa di San Paolo di Pré, in seguito alla soppressione dell’ edificio sacro l’ opera passò nel 1797 alla chiesa di Santo Stefano. In questo dipinto si notano l’ utilizzo di modelli compositivi ripresi dalle opere di Rubens e più precisamente dal ritratto equestre di Giò Carlo Doria dal quale in nostro ha ricavato la postura del cavallo impennato. Anche in quest’ opera si può notare lo stile assolutamente ” moderno ” di questo artista che nel suo atelier formò pittori quali Stefano Magnasco, Giovanni Battista Merano e Bartolomeo Biscaino, la peste si portò via questo grande pittore  all’ età di soli 35 anni, ma nonostante la brevità della sua vita, il numero delle sue opere giunto sino a noi è grande e testimonia come al suo tempo, come del resto in seguito, Valerio abbia avuto grandi estimatori.